I religiosi dell’accoglienza contro la Pat: “Impegni disattesi senza preavviso, non possiamo più restare in silenzio”
Fondazione sant’Ignazio e Opera dei Gesuiti di Trento, assieme a diversi ordini religiosi trentini, rompono il silenzio e accusano la Provincia: “Sulla residenza Fersina sono stati disattesi senza preavviso impegni concordati mesi fa, i drammatici effetti di questo cambio di rotta saranno pagati soprattutto dai migranti che si trovano a condividere, in uno spazio chiuso, servizi ridotti al minimo e un elevato rischio di contagio”
TRENTO. “Uscire da un sofferto silenzio” è questo il titolo del comunicato che porta la firma della Fondazione sant’Ignazio e dell’Opera dei Gesuiti, assieme a diversi ordini religiosi trentini, fra cui Gesuiti, Dehoniani, Comboniani, Cappuccini e le suore Canossiane, realtà che da tempo hanno aperto le porte dei loro conventi e delle loro comunità per accogliere, accompagnare e difendere uomini e donne, famiglie intere con bambini costrette dalle guerre e dalle carestie a fuggire dai loro paesi ed approdare nel nostro territorio.
“Non possono più restare in silenzio – spiegano – rispetto alle modalità con le quali l’attuale Amministrazione Provinciale sta gestendo la prevista, già siglata ed avviata chiusura della residenza Fersina”. La residenza Fersina è la più grande struttura di accoglienza di Trento, la stessa verso la quale la politica leghista ha scelto di convogliare la maggior parte dei richiedenti presenti sul territorio. “Questa struttura nata per la pronta accoglienza – sottolineano i religiosi – fin dall’inizio si è mostrata poco adatta a permanenze di lungo periodo che richiedono un maggiore rispetto della dignità e libertà delle persone”.
Ad oggi all’interno della residenza Fersina sono ospitate circa 120 persone, per le quali, ricordano Fondazione sant’Ignazio e l’Opera dei Gesuiti, era stato previsto e concordato da mesi, “dopo una serie di confronti fra la Provincia e gli enti dell’accoglienza, tra i quali anche la Diocesi di Trento”, l’avvio dei primi trasferimenti in vista di una continua e graduale fuoriuscita dei migranti verso alloggi già in gran parte approntati. “Questa soluzione stava permettendo non solo di ridurre il rischio di contagio e le conseguenti difficoltà di gestione della convivenza in struttura, ma anche di avviare finalmente percorsi individualizzati di integrazione a tutela dei diritti dei migranti e della comunità che li accoglie”.
Peraltro grazie a questo approccio di “accoglienza diffusa”, nel corso degli anni, era stato possibile procedere verso un graduale inserimento di moltissime persone “le stesse che oggi fanno parte integrante e sono risorsa significativa del tessuto sociale e produttivo del nostro territorio”. Stando a quanto riportato dai religiosi però, Piazza Dante è riuscita a disattendere persino la delibera che aveva firmato “senza alcun tipo di preavviso o forma di confronto, la Provincia ha firmato un accordo con la Croce Rossa, attuale ente gestore della struttura, il quale proroga di 6 mesi lo status quo. A subire i drammatici effetti di questo cambio di rotta sono in primis i migranti che in questi tempi difficili si trovano a condividere in uno spazio chiuso servizi ridotti al minimo e un elevato rischio di contagio”.
Proprio per questo le varie organizzazioni, da anni impegnate in seri ed efficaci percorsi di accoglienza, già da qualche mese si erano messe a disposizione della Provincia per rendere effettive le richieste contenute nella delibera firmata alcuni mesi addietro, che prevedeva il graduale svuotamento della Residenza Fersina. “Abbiamo appreso la notizia della proroga a posteriori, senza alcuna possibilità di confrontarsi né di dare il nostro contributo. Il dialogo, pietra miliare di una società solida e solidale come quella trentina, viene così relegato a comunicazioni unilaterali e perentorie”.
Più volte infatti, i religiosi hanno chiesto di avere un confronto su questa materia senza però avere delle risposte. “Pertanto – concludono – come credenti, cittadine e cittadini e parti attive del nostro territorio, ci sentiamo obbligati a rendere pubblico questo nostro disagio che sta pesando inutilmente su di una parte molto fragile di popolazione nella quale riconosciamo prioritariamente dei fratelli e sorelle. È a loro nome che usciamo dal sofferto silenzio, perché non diventi complicità a loro danno”.