"Un trentino su tre è povero", la Provincia smentisce e anche l'Istat
Fraccaro: "Nel Trentino di Rossi la disoccupazione ha raggiunto il suo massimo storico". Ma l'Istituto di statistica definisce "confuse e imprecise le notizie comparse in queste ore sugli organi di informazione". E anche l'Istat solo una settimana fa spiegava che il dato reale è del 15,8%"
TRENTO. "Confuse e imprecise le notizie comparse in queste ore sugli organi di informazione. Le persone che in Trentino si trovano in una situazione a rischio povertà o vivono in uno stato di grave deprivazione sono pari al 15,8% non ad un terzo della popolazione". Sono dovuti intervenire l'Istituto provinciale di statistica della Provincia (Ispat) e l'Agenzia del lavoro con una nota, per smentire quanto oggi titolavano in prima pagina i principali giornali cartacei della provincia. In un caso si trovava che "Un trentino su tre è povero" e subito la politica ha cavalcato, anche giustamente se fosse stato vero, l'incredibile dato. "Nel Trentino di Rossi la disoccupazione ha raggiunto il suo massimo storico - scrive l'onorevole Fraccaro dei 5 Stelle - e la povertà dilaga a macchia d’olio: un trentino su tre è in difficoltà economica e in pochi anni i “nuovi poveri” sono passati dal 5 al 30%. Di fronte a questa piaga sociale la cordata Patt-Pd dimostra tutta la sua ipocrisia: i soldi per pagare i vitalizi d’oro ci sono, come pure quelli per foraggiare sanità e scuole private, con elargizioni sempre più generose".
Ovviamente il dato non è reale e solo una settimana fa pubblicavamo anche noi la nostra analisi sui dati Istat: il dato medio sulla povertà e sull'esclusione sociale in Italia ha raggiunto dei picchi molto alti nel 2015 arrivando addirittura al 28,7%, il che vuol dire che, praticamente, un italiano su quattro è a rischio povertà o esclusione sociale. Se in Trentino davvero ce ne fosse uno su tre saremmo a dei livelli altissimi. E sarebbe ancor più terribile visto che nel 2014 le persone a rischio povertà ed esclusione sociale erano il 13,6%. Nella realtà sono quindi aumentate in un anno del 2,2%, non del 16,4%. "E comunque in calo rispetto al picco del 2012 - continua l'Ispat - del 19,2%. Il Trentino in pratica risulta allineato come di consuetudine a paesi come la Norvegia e la Svezia, i più "virtuosi" nella Ue. Per fare un confronto: l'indice in Italia è pari al 28,7%".
"Se si scompone l'indicatore - prosegue l'Istituto - che tiene conto di condizioni diverse, la percentuale si abbassa ulteriormente: solo il 10,2% della popolazione è in senso stretto a rischio povertà (la soglia di reddito nel 2015 è pari a 9.508 euro annui); il 5,1% vive in una situazione di grave deprivazione materiale (calcolata su voci diverse, come ad esempio essere in arretrato nel pagamento del canone di affitto o il non potersi permettere una vacanza di una settimana) e il 5,2% infine vive in famiglie con intensità lavorativa molto bassa. Certo, nel lungo periodo di crisi questa quota di popolazione è aumentata anche in Trentino, passando dal 7,5% del 2007 al 15,8% del 2015. Ma resta migliore anche al valore medio dell'l'Europa a 28 stati (23,7%). Confrontando il Trentino con i paesi nordici, tradizionalmente noti per l'elevato welfare, si rileva inoltre l'ottima posizione della provincia di Trento. La quota di popolazione a rischio povertà o esclusione sociale è pari al 15,0% in Norvegia, al 16,0% in Svezia, al 16,8% in Finlandia e al 17,7% in Danimarca. Altri Paesi noti per il loro benessere si posizionano per tale indicatore sopra il Trentino: la Germania al 20,0%, la Francia al 17,7% e la Austria al 18,3%".
Ben venga, allora, la proposta dei 5 Stelle di proporre il reddito di cittadinanza (battaglia legittima politicamente che si può sostenere come non sostenere), perché la povertà c'è, ed è indiscutibile che moltissime persone siano in un reale stato di bisogno. Ma dire che un trentino su tre è in stato di povertà rischia di essere davvero molto fuorviante. Il dato incredibile è stato riportato dai quotidiani riprendendo dei numeri presentati dalla Fondazione Franco de Marchi. E a quello sulla povertà si aggiungeva quello sui "lavoratori vulnerabili" che, per la Fondazione, sarebbero 60.000. "Anche qui - comunica l'Ispat - il dato di circa 60.000 unità è sicuramente in eccesso. In primo luogo, dire che tutti gli iscritti alle liste dei disoccupati e tutti i lavoratori in cassa integrazione siano vulnerabili è una generalizzazione eccessiva. Le persone si iscrivono al centro per l'impiego quando sono in cerca di lavoro o hanno perso il lavoro, anche se hanno l'aspettativa di trovarne uno in breve tempo, e questo per godere di una serie di benefici, in primis l'indennità di disoccupazione e l'accesso alle politiche attive. Anche i lavoratori stagionali, per esempio, tra un periodo e l'altro di lavoro si iscrivono al centro per l'impiego, ma sembra azzardato considerarli tutti persone vulnerabili. Per quanto riguarda i dati, comunque, al 30 settembre 2016 gli iscritti ai Cpi sono 38.498, in calo di 1.787 unità rispetto allo stessa data dell'anno precedente. Va poi poi considerato che 12.200 disoccupati provengono dai settori agricolo e turismo per cui, nella maggior parte dei casi, lavoreranno alla ripresa della stagione. Questi lavoratori rappresentano quasi il 40% (37.4%) dei 32.600 iscritti come disoccupati (che quindi prima lavoravano)".
Insomma i numeri sono numeri e la matematica non è un'opinione. Ma usando numeri diversi cambiano le somme e anche le opinioni diventano manipolabili.