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Chi accetterebbe oggi di abbandonare Venezia per ricostruirla? Il dramma della contemporaneità prigioniera del suo passato

Il rinnovamento è sempre stata la norma, fisiologico come in natura. Poi è sopraggiunto il Barocco, epoca densa di sconforto e malinconia. Il romanticismo nella figura di Nietzsche ha ripercorso a ritroso questa latente decadenza per provare a curarla, parlando attraverso metafore, ma accolto da una platea o troppo mondana o troppo risentita ha prodotto solo deformazioni ulteriori
DAL BLOG
Di Tiberio Chiari - 16 December 2019

Cerca di recuperare quanto omesso dai temi che quotidianamente invadono la nostra comunicazione e la nostra esperienza

Lo stato d’animo con il quale un popolo spossato affronta il futuro aggrappandosi al passato è sempre patetico, in ogni sua esternazione. L’osservare quanto poco ci sia oggi la volontà di gestire razionalmente una visione futura del presente rende certe nazioni quali la nostra qualcosa di simile a nazioni ospizio, nazioni piene di esseri umani che per quanto biologicamente non ancora pronti alla demenza senile delirano all’unisono in preda ad una dilagante disarticolazione tra vita e pensiero.

 

 

In queste nazioni gli uomini vivono raccontando il ricordo, affannandosi a salvare tutti i pezzi di passato possibili rimasti ancora intatti nel mondo materiale, rendendo così la nazione la proiezione della personalità transitoria di uomo che sta svanendo e che tenta di aggrapparsi alle abitudini per ricostruire quel proprio sé vitale ormai perduto che mai più tornerà.

 

Nessuno direbbe oggi in Italia: abbandoniamo Venezia per ricostruirla. Nessuno sostituirebbe la Basilica di San Marco rimodellandola secondo la forma disegnata da Beniamino Servino, anche se questa sarebbe un’opera forse più adeguata al contemporaneo. L’idea è però sconvolgente, ma se non fossimo prigionieri della storia una nuova Venezia rimodellata e ricostruita al massimo dello stato dell’arte e della sensibilità contemporanea sarebbe perlomeno qualcosa differente dall’asfissiante disperazione che occupa le opere e i giorni del nostro quotidiano e piagnucoloso tergiversare.

 

Sicuramente sono segno di impotenza le incompiute barriere gialle flottanti del M.O.S.E., corrotte sotto ogni prospettiva, come degne di compassione sono le immagini disperate del Sindaco di Venezia e di qualche supposta personalità pubblica che passeggia come teletrasportata su di un pianeta alieno con stivali da pesca, senza avere una missione precisa da svolgere, fantasmi al limite dell’inanimato. Nei secoli dediti alla creazione tutti erano certi che ogni immagine e idea che il genio portava alla visione dei contemporanei per essere realizzata avrebbe superato quello che il passato aveva fino ad allora costruito. Il rinnovamento è sempre stata la norma, fisiologico come in natura.

 

Poi è sopraggiunto il Barocco, epoca densa di sconforto e malinconia, con l’Europa secolarizzata e spaventata dall’irreversibilità del destino che tende a far naufragare tutto nel vuoto. Il Barocco come rimedio ha saputo inventare il collezionismo, l’accatastare oggetti senza connessione cercando nell’alchimia una soluzione all’arcano dell’incompiutezza, incapace di accettare la transitorietà ha proposto infine svanendo l’incerto progresso come cura.

 

Dall’opulenta tristezza del Barocco in Europa nessuno si è più completamente ripreso, il romanticismo nella figura di Nietzsche ha ripercorso a ritroso questa latente decadenza per provare a curarla, parlando attraverso metafore, ma accolto da una platea o troppo mondana o troppo risentita ha prodotto solo deformazioni ulteriori che hanno popolato quasi un secolo di storia turpe. Chi tende all’azione premeditata è ridicolo che si rivolga alle allusioni nietzschiane, questo è il grande paradosso, le profezie parlano di eventi non di organizzazioni. L’uomo posto davanti all’infinito processo naturale, intuito nemmeno come progresso, sembra non avere forze per affrontarlo completamente e inizia a ritirarsi.

 

E così fino ai nostri gironi, siamo diventati esseri sempre meno confidenti, sempre meno aperti ad ogni forma di evoluzione e immaginazione alternativa e ci troviamo costretti ad ammirare le pietre consumate di una città e di una civiltà sofferenti. Venezia è invasa da ogni tipo di calamità, deturpata e sofferente mentre gli esseri umani che la popolano sono circonfusi dal terrore del vuoto, eterei, completamente occupati in una transumanza senza meta.

Posta questa situazione non abbiamo nemmeno il coraggio di immaginare un’eutanasia per porre fine a questa situazione, d’altronde molti tra gli impauriti si rifiutano di concedere l’eutanasia non solo alle città ma anche alle persone che soffrono senza più speranza. Il terrore sembra rendere paralizzare e portare a un deficit cognitivo che inibisce l’empatia.

 

Nonostante si provi ad evaderlo dal pensiero razionale il destino della mondanità è il suo continuo trapassare, la soluzione migliore per affrontare questo destino è creare, in alternativa rimane l’impotente mugugno e l’imprecazione. Il dramma come d’esempio delle immagini di Beniamino Servino è il dramma della nostra contemporaneità ed è tutto racchiuso nel fatto che queste creazioni rimangano appunto mere immagini, se si declinassero nella realtà materializzandosi, se le volessimo realizzare, significherebbe che saremmo finalmente altrove, non più storicamente condannati, ma di nuovo e in parte liberi.

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