Invece di bacchettare le imprese, Visco pensi al sistema bancario
E' segretario alla Presidenza della Camera dei deputati, eletto in Trentino Alto Adige nel 2013 con il Movimento 5 Stelle
E’ vero che spesso in questi anni abbiamo assistito all'abbattimento del costo del lavoro, con il rischio di impresa scaricato sui lavoratori e la compressione dei diritti, ma ciò è avvenuto per colpa di politiche del lavoro fallimentari ispirate dai centri finanziari e di una moneta unica che ci ha costretti a una svalutazione interna.
Il governatore di Bankitalia Visco non è nella posizione di ergersi sul pulpito e bacchettare il mondo produttivo italiano, come avvenuto nel corso dell'ultimo Festival dell'Economia.
Le banche italiane, anche nell’avanzato Nord-Est, hanno dimenticato il loro mestiere di sostegno, servizio e potenziamento dell’economia reale. I banchieri di istituti come Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Mps e certi altri intermediari toscani oppure Carige - e l’elenco potrebbe continuare - hanno utilizzato il risparmio a fini privati e clientelari, foraggiando solo cricche di imprenditori amici e chiudendo i rubinetti alle piccole e medie imprese che sceglievano di stare onestamente e coraggiosamente sul mercato.
Sugli scandali del credito, che vedono tra i colpevoli anche la politica locale e nazionale, Bankitalia ha vigilato male, malissimo. E spesso si è girata dall’altra parte troppo a lungo. Dunque, Visco ha responsabilità enormi.
C’è poi un problema di contesto per le nostre imprese, a partire da un sistema fiscale esoso e complicato. Fino al 3 giugno gli italiani hanno lavorato per l’erario: solo per metà anno, in pratica, si produce ricchezza per sé, per la propria famiglia o per i propri dipendenti. Ma soprattutto c’è troppa burocrazia, regole astruse che si contraddicono a vicenda, una legislazione tanto stratificata quanto folle.
Il M5S vuole semplificare e aiutare le aziende a tornare competitive. Anche ripensando il ruolo del settore pubblico. Usciamo dalla dicotomia Stato-mercato e ragioniamo su uno Stato che crei mercato, che incentivi, con investimenti produttivi, il privato a investire a sua volta. Ricerca di base, formazione continua per i lavoratori e spinta sui comparti del futuro: è così che si sostiene la domanda aggregata e si tira il Paese fuori dalla crisi.