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Olimpiadi 1936, quell'incredibile amicizia in bianconero: un bel libro sulla storia di Jesse Owens e Luz Long

DAL BLOG
Di Paolo Ghezzi - 04 May 2024

Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)

Speriamo che il campionissimo trentin-etiope Yeman Crippa, neo-maratoneta, possa dimostrare a Parigi, alle prossime Olimpiadi, di che stoffa è fatto un corridore dell’altopiano che è diventato un recordman italiano correndo sulle strade di Montagne, Giudicarie. Piccola valle del piccolo Trentino. Gli incroci di origini, di storie, di colori di pelle arricchiscono il mondo, anche quello sportivo.

 

Le Olimpiadi sono fatte per le sfide e le leggende. E da leggenda è l’incontro tra un nero americano e un biondo tedesco, ventitreenni coetanei, alle Olimpiadi di Berlino nel 1936, Olympia-Stadion, tra Charlottenburg e Spandau, ai margini occidentali della capitale, 4 agosto. Olimpiadi che avevano rischiato di essere boicottate, dagli Usa e da altri Paesi preoccupati per la rivoluzione hitleriana. Ma poi le rassicurazioni del regime sulla “tolleranza” (provvisoria) per gli ebrei avevano convinto gli alti gradi del comitato olimpico internazionale.

 

Il tedesco era perfettamente “ariano” e aveva un nome da predestinato per il salto in lungo, Luz Long. Iscritto a giurisprudenza e neopatentato, a vent’anni il papà gli regalò una DKW cabriolet di colore rosso scarlatto, nuova fiammante. … Luz ribattezzò subito la sua auto Blutblase, bolla di sangue, per via del suo colore. … Una fotografia, che lo ritraeva mentre sorrideva seduto al volante della sua auto scoperta, fu utilizzata come pubblicità dalla società petrolifera Shell” (il libro di Giuseppe Assandri, “Berlino 1936. La storia di Luz Long e Jesse Owens”, San Paolo, 192 pp., 16 euro, da cui è tratta la citazione, è pieno di queste chicche biografiche).

 

Più lungo di lui, di Long, però saltò il figlio, perfettamente nero, di un afroamericano dell’Alabama che si era stancato dei razzisti del Sud e delle minacce del Klu Klux Klan, e che era emigrato con la famiglia a Cleveland, Ohio. Jesse (Cleveland, guardacaso, di secondo nome) Owens, che già aveva vinto i 100 metri piani, e che vincerà anche 200 e staffetta (sostituendo all’ultima ora un bianco ebreo che non poteva correre sotto gli occhi del dittatore), aveva la velocità esplosiva dello sprinter che, nella rincorsa sulla pedana del salto in lungo, si trasforma in un lunghissimo balzo in avanti, decisamente più lungo di quello di Long. Longer than Long. 8 metri e 6 centimetri contro 7 e 87. Oro Usa, argento Germania.

 

Ma la vera storia comincia prima del risultato del 4 agosto 1943.

 

Comincia quando Owens, che arriva trafelato dall’altro estremo dello stadio, brucia i primi due salti di qualificazione, mettendo il piede oltre la riga bianca dello stacco, e ha ormai un solo salto per entrare in finale. E allora l’”ariano” Luz da Leipzig (Lipsia),figlio di un ricco farmacista, classe 1913 come Jesse, che ammira il “negro” (come si scriveva allora) venuto da Cleveland, fa un gesto sportivo e cavalleresco, un gesto da amico: appoggia un fazzoletto bianco qualche centimetro prima del limite di pedana, per aiutare il concorrente, l’avversario, il “nemico”, a non fare un altro salto nullo.

 

E dopo la gara, per nulla arrabbiato con se stesso e per nulla ostile a Jesse, Luz fa il giro di pista d’onore col vincitore, gli solleva il braccio, posa per i fotografi spalla a spalla sul prato. Tanto che all’indomani un gerarca nazista, pur complimentandosi a denti stretti per il secondo posto, rimprovererà Long per aver fraternizzato troppo con un atleta di “razza inferiore”.

 

Bella storia di sport e di politica, insomma, questa dell’ Olympia-Stadion, che Giuseppe Assandri ha trasformato in un libro appassionante, per ragazzi ma non solo.

 

Assandri, che già ha pubblicato una storia resistenziale su Sophie Scholl della Rosa Bianca, evita l’agiografia, la retorica e il sentimentalismo sportivo per descrivere la parabola esistenziale di due coetanei che attraversano da giovani un’epoca difficile e burrascosa, tra la crisi del Ventinove e la guerra mondiale del Trentanove.

 

In un montaggio serrato e avvincente, le due storie avanzano in parallelo, una in America, l’altra al di qua dell’oceano, e si intrecciano infine a Berlino: Olimpiadi già decise prima dell’ascesa di Hitler e che il dittatore usa come grande mezzo di propaganda dell’efficienza e della ospitalità tedesca. La guerra la sta già preparando, nella sua testa e nei programmi di riarmo, ma intanto la Germania è in pace col mondo e deve mostrarsi sorridente e rassicurante. Tre anni dopo, in Polonia, non saranno più corse e partite, ma panzer, bombe e cannoni.

 

Assandri è bravo nel raccontare, di questa storia di un bianco e di un nero, le zone grigie: il razzismo negli Stati Uniti, gli sgarbi di Roosevelt che non riceve il quattro volte campione olimpionico Jesse; Luz che, pur non entusiasta del Führer, prende ovviamente la tessera del partito nazista. E sul podio, dietro a Jesse che fa il saluto militare con mano alla fronte, stende il braccio nell’orrendo Hitlergruss.

 

E ci sono anche i capitoli tristi: Owens, senza più un dollaro, che accetta umilianti (e truccate) sfide con i cavalli negli Stati Uniti; nella primavera 1943 Long, non più esentato dalla guerra come atleta, arriva in Sicilia da militare della Luftwaffe, e si innamora delle bellezze classiche e naturali dell’isola, finché il 14 luglio viene ucciso da un colpo di mortaio americano che lo dissangua: “Gli spari a poche decine di metri coprono ogni altro suono. Solo i colori sono rimasti, ma sempre più sbiaditi. Poi un immenso silenzio. Luz riposa, con gli occhi chiusi. Solo. O forse no. In uno spazio morbido, qualcuno gli tiene la mano. Lo accompagna in un sonno quieto, profondo”, racconta Assandri. Luz Long ha trent’anni. Dato per disperso, il suo corpo sarà ritrovato e identificato dalla Croce Rossa nel 1950. Dal 1961 riposa nel sacrario militare germanico di Motta Sant'Anastasia, vicino a Catania, insieme ad altri 4500 compagni in divisa tedesca. (I figli di Owens e di Long si ritroveranno poi insieme in alcuni momenti pubblici celebrativi di quella strana amicizia in bianconero).

 

Berlino 1936”, insomma, è anche una piccola grande storia del Novecento insanguinato, secolo con cui pensavamo di aver chiuso i conti con le guerre. Finché un altro dittatore, quello di Mosca, ha invaso e bombardato l’Ucraina e ci ha riportati brutalmente al ventesimo secolo e alle sue armi dilanianti.

 

Nel libro c’è anche la grande regista di regime Leni Riefenstahl che gira per il suo film “Olympia” (uscito nel 1938) chilometri di magnifiche pellicole sulle gare, e poi chiede agli atleti, tra cui Jesse Owens, di rifare i loro gesti atletici su un set. E poi esalta, anche con un sapiente uso del rallentatore, le scultoree forme di bianchi e di neri: film d’arte e propaganda ma senza censure razziste. Testimonianza in bianconero della superiore bellezza dell’atletica leggera, superiore anche alle miserie della politica e della propaganda.

 

Luz e Jesse si sono capiti, istintivamente, proprio perché volavano più alto di quelle miserie, e anche delle loro storie individuali. Corpi di saltatori che staccano da terra e che per uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto lunghissimi metri si librano liberi nell’aria.

 

Librarsi è anche ciò che fanno i libri. E il libro di Assandri, “Berlino 1936”, quest’aria libera dello sport “sbarrieratodalle razze, questa breve amicizia in bianconero, ce la restituisce viva, vera, allegra e dolorosa, con tutti i colori delle loro vite. Con le parole che restituiscono Luz e Jesse, dagli archivi, alla vita.

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