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Apre a Trento Ramé, spazio ''poliedrico di incontri'' per giovani artisti e libere performance: si parte con ''Fischi per fiaschi'' e Giorgio Mascitelli

DAL BLOG
Di Paolo Ghezzi - 02 October 2024

Ragazzo del 57, giornalista dal 79, troppo piccolo per il 68, ha scansato il 77 ma non la direzione dell’Adige (8 anni 8 mesi e 3 giorni) e la politica (24 mesi in consiglio provinciale tra il 2018 e il 2020)

Ramé, al 66 di via Madruzzo, è uno spazio “poliedrico di incontri”, nuovo e fiducioso, prevalentemente pensato per giovani artisti e libere performance, inventato – con fidato gruppetto stretto di amiche e amici – dal vulcanico Piergiorgio Reggio (presidente di Progetto 92, già presidente di Fondazione Demarchi e direttore del Margine), pedagogista freiriano ma anche figlio di un pittore, insomma vocato alla dimensione cultural-artistica, come forma di dialogo e di sperimentazione.

 

Nel fitto programma della tre giorni di apertura di Ramé, da venerdì 4 ottobre a domenica 6 ottobre (qui il programma completo www.spaziorame.com) c’è anche, venerdì alle 20.30, la presentazione di un libro dal titolo curioso, “Fischi per fiaschi”, scritto da Giorgio Mascitelli, classe 66 come il civico di Ramé, blogger di Nazione Indiana e già autore di alcune prove narrative che non sono passate inosservate, per la casa editrice DeriveApprodi di Bologna che così inaugura la collana “sconfini”, affidandola allo stesso scrittore milanese.

 

In “Fischi per fiaschi”, storia breve (novanta paginette cm 20x13, euro 12) ma di stile pungente e di tema imponente (la disumanizzazione del mondo del lavoro), ci ho respirato Fantozzi e il signor Veneranda, naturalmente, ma anche Jannacci e Gaber – e non solo per l’ambientazione milanese – e Gogol, Jerome Klapka Jerome e Wodehouse, ma certo anche, in versione light ma egualmente amara, profumo di Kafka, peraltro esplicitamente evocato.

 

Il fischiante del titolo è Gian John Ricchieri, che non sa trattenersi dallo zufolare con le sue labbra intonate, dal leggendario “(Sittin’ on) the dock of the bay” di Otis Redding fino all’inno aziendale dell’infernale “posto” (ah, Ermanno Olmi, che avevi capito tutto!) di lavoro metropolitano. E qui mi casca il Gian, perché viene scelto proprio lui e proprio per il suo umore fischiante, per una sperimentazione con tanto di “Holter” fissato sul braccio per misurare ogni suo movimento. Perlomeno quelli fisici, perché i pensieri ancora no, non li intercettano ai piani superiori (Fischi per fiaschi è distopico s’intende, ma lascia a Orwell l’incubo della psicopolizia).

 

Non volendo svelare alcunché della storia, che merita di essere letta (e financo meditata), prima di fare 13 domande all’autore, vi dirò solo che del libretto di Mascitelli ho apprezzato: l’ironia compulsiva e corrosiva, non di rado spiazzante; un gusto per le acrobazie verbali che ricorre pure a parole desuete (un esempio, il calepino); una inclinazione ragguardevole all’osservazione acribica dei tic della vita moderna; una certa attenzione a decifrare le relazioni umane, dalle aziendali alle coniugali; un’ossessiva ossessione per le ossessioni.

 

Un lacerto (parola anch’essa desueta) da pagina 26, vi darà immediata contezza dello stile e della sintassi dell’opera: “Il sospetto, il sospetto che pertiene” – il correttore me lo sottolinea! - “a me in quanto narratore e non certo al nostro fischiettatore, è che nei Risorse Umane ergonomizzare cessasse di essere un verbo banalmente ostensivo per diventare un vero e proprio atto linguistico, mentre nell’idioletto di Gian John diventasse una voce onomatopeica”.

Un ultimo pregio che annoto, prima di lasciare la parola a GM, creatore di GJ, è che “Fischi per fiaschi” ci regala apprezzabili lampi neologistici come “un’esistenza basculante”, verità sperimentali indiscutibili (soprattutto a Milano) come “Gennaio è il mese più sadico” e incontrovertibili verità filosofiche in forma di aforismi, degni delle migliori collezioni: “Solo tre cose sono gratis: l’acqua, l’aria e l’umiliazione” (e l’acqua hanno cominciato a farla pagare) e la definitiva: “La vita si dissipa e non c’è bisogno davvero di darsi al bere o al giocare alla roulette, basta lasciar fare a lei”.

 

Giorgio Mascitelli, qual è il suo personale rapporto con il fischio e il fischiettare?

Direi complesso di inferiorità: mi è sempre riuscito di fischiettare a tono basso, in un paio di circostanze durante l’adolescenza, ho vissuto occasioni in cui bisognava fischiare forte, ma non potevo e da qui il mio senso di inferiorità.

 

I numerosi pezzi musicali citati nel libro sono tutti nella sua playlist privata o sono stati suggeriti dal carattere di Gian John?

Un misto, in alcuni casi sono legati al testo, in altri casi a quello che potrebbe essere il background di Gian John, in altri ancora sono canzoni che mi sono restate impresse più per ragioni private che per ragioni musicali. Per esempio Mi ricordo montagne verdi era une delle canzoni preferite specialmente dalle mie compagne alle elementari e la cantavano spesso e mi sembravano felici nel cantarla. In generale i miei gusti musicali sono differenti da quelli di Gian John, anche se non disdegno alcuni dei suoi pezzi favoriti.

 

La descrizione del posto di lavoro di Gian John deriva anche da esperienze personali?

No, al massimo qualche racconto di amici o conoscenti. Amo molto ascoltare storie di lavoro.

 

In fin dei conti il suo Ricchieri, con cui il lettore simpatizza e antipatizza a tempi alterni, all’autore è simpatico?

Come si dice a Napoli, ogni scarrafone è bello a mamma sua.

 

C’è uno specifico italiano in questa storia? O poteva essere anche Corea o California?

Uno specifico fondamentale è che, essendo scritta in italiano, alcune sfumature della storia non sono traducibili in altre lingue. Per andare al livello sociologico, si potrebbe dire che l’organizzazione aziendale e le sue logiche sono occidentali, un certo tipo di ethos dei personaggi è italiano.

 

Sono più perniciose le insopportabili “risorse umane” o il politicamente corretto, che è uno dei bersagli del libro?

Probabilmente le risorse umane hanno danneggiato o amareggiato più vite umane, ma il politicamente corretto è un fenomeno che mi ha molto interessato, perché, nato per motivi in sé giusti, una comunicazione scevra da pregiudizi odiosi, è diventato una sorta di codice morale pervasivo che esalta lo status quo. In questo senso mi è capitato di paragonarlo alla morale vittoriana. Va precisato che criticare il politicamente corretto non significa abbandonarsi al turpiloquio, a epiteti razzisti o a volgarità di concetto o di forma verso le donne, equivoco molto diffuso in Italia, ma smontare politicamente le sue pretese di oggettività, facendone emergere le parzialità e le omissioni. Peraltro sono anche convinto che il periodo di guerra a cui purtroppo stiamo andando incontro produrrà una modificazione profonda del politicamente corretto, se non un suo tramonto.

 

“Non è un libro a tesi”, d’accordo: ma, al di là della storia di Gian John, gli sviluppi dell’intelligenza artificiale la inquietano, come cittadino e come scrittore?

L’IA rappresenta un progresso in molti campi e sarebbe sciocco negarlo. Per esempio nella ricerca su nuovi antibiotici che langue da anni, nonostante il fenomeno della resistenza dei batteri preoccupi molto i medici, perché poco redditizia, l’IA consente di isolare in tempi rapidissimi nuovi principi attivi da sperimentare, accorcia cioè quel lavoro euristico degli scienziati che poteva essere lunghissimo. D’altra parte ogni macchina, ogni tecnologia incorpora in sé anche le priorità e le logiche di sistema dentro cui è stata progettata. L’IA è stata sviluppata dentro il capitalismo neoliberista che punta all’immediata massimizzazione dei profitti senza nessun pensiero per le conseguenze sociali, è nata nel capitalismo che pur di incrementare i guadagni licenzia personale anche in aziende in attivo. Lo spettro di applicazione dell’IA è dentro questa logica, mentre molti scienziati pensano sinceramente che esistano invenzioni neutrali. Detto in altri termini, anche gli aspetti positivi dell’IA, la velocizzazione della ricerca sugli antibiotici per esempio, se non rientrano nella logica del profitto, se per esempio queste innovazioni non renderanno ampiamente conveniente investire nella produzione degli antibiotici, resteranno puramente teorici.

 

Tre libri che, secondo lei, non si possono non leggere.

In realtà sono molti di più, ma per non sottrarmi al gioco: L’educazione sentimentale di Flaubert, Il processo di Kafka e Molloy di Beckett.

 

Un classico che rilegge sempre volentieri.

Devo dire che La cognizione del dolore di Gadda ha la capacità di farmi scoprire qualcosa di nuovo ogni volta che la riapro.

 

Un contemporaneo che non va ignorato.

Un romanzo di grande interesse apparso in questi anni è I Pellicani di Sergio La Chiusa.

 

Nei suoi titoli, è partito dal silenzio delle merci per attraversare capriole e catastrofi e approdare ai fischi. Il lato B della vita non è solo il più comico ma anche il più rivelatore di quel che davvero siamo o stiamo diventando?

Sì, in effetti nella mia formazione culturale l’idea della traccia, del caso minore, dell’inezia come rivelatore di una condizione generale è molto radicata.

 

“La vita agra” di Bianciardi, a cui è stato accostato questo libro, per Stimmung e tema, è del 1962. Era più felice, in fin dei conti, quell’Italia lì?

Era un’Italia più combattiva, non saprei dire se più felice, ma sicuramente più speranzosa. Peraltro Bianciardi identifica le fasi iniziali e di ascesa di quel processo nel quale ora noi ci dibattiamo senza molte speranze.

 

Visto che lei scrive nella Nazione indiana e dirige una collana intitolata “Sconfini” nella casa editrice “Derive e approdi”, lo sconfinamento – pratica che si respira in Fischi per fiaschi - è per lei una scelta stilistica, un modo per giocare con la lingua italiano e rinsanguarla, o addirittura una proposta esistenziale?

Essendo uno stile è tutte le cose che ha indicato. L’unica precisazione è che uno stile non può essere scelto, può essere rifinito o migliorato, ma corrisponde a un modo d’essere in cui uno si trova. Nell’essere sconfinante tante volte non ho trovato nulla di piacevole e mi sono detto che avrei fatto bene a rimanere a casa mia, se l’avessi avuta (fortunatamente solo in senso metaforico!).

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