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La crisi dell'automotive, le auto elettriche, i ritardi delle aziende europee: il paradosso della politica industriale in Ue. Troppa, troppo poca o diversa?

DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 17 December 2024

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

Andrea Fracasso – professore di politica economica presso la Scuola di Studi Internazionali e il Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento
 

Negli ultimi anni, in Europa e in buona parte del mondo avanzato, sembra essere finita l’epoca del cosiddetto “inverno della politica industriale”. Un lungo periodo che, per ragioni sia economiche sia ideologiche, ha visto un progressivo ritiro (seppur con notevoli eccezioni) dello Stato dalla promozione di specifici settori industriali. Nell’Unione europea (Ue) questo inverno è stato principalmente determinato dalla necessità di evitare una gara in termini di sussidi alle imprese tra i Paesi del mercato unico, situazione che avrebbe compromesso l’integrazione economica secondo il principio di level playing field.

 

La necessità di affrontare la crisi energetica, la transizione digitale, la transizione verde e l’aumento dei rischi geopolitici nelle filiere produttive internazionali ha indotto molti osservatori a promuovere il ritorno di una più attiva politica industriale. Il rapporto Draghi sulla competitività europea di pochi mesi fa indica un insieme di settori, caratterizzati da una grande potenzialità di crescita e centrali per il futuro modello socioeconomico europeo, in cui le imprese dovrebbero essere aiutate dal settore pubblico a giocare un ruolo più importante.

In questi mesi, inoltre, appaiono sempre più evidenti le difficoltà delle imprese della filiera automotive a introdurre innovazioni tecnologiche, produttive e di business per stare al passo con la decarbonizzazione del settore e con la concorrenza cinese e americana. Alcuni nel settore accusano la Commissione europea di aver imposto obiettivi climatici troppo sfidanti per l’industria senza considerarne l’effettiva competitività internazionale e invocano quindi una revisione delle norme, un aumento degli aiuti pubblici, un allentamento dei criteri e delle deadline … Insomma, chiedono interventi di politica industriale per il settore automotive.

 

Se questo quadro sembra inequivocabilmente suggerire che la politica industriale è tornata di moda, la situazione è un po’ più complessa.

 

Un primo aspetto controverso è che l’Ue, adottando il European Green Deal, aveva proprio inteso abbracciare una strategia di politica industriale centrata sulla decarbonizzazione, elevata a strumento di crescita e trasformazione tecnologica. Una strategia basata sulla regolamentazione e diretta a dare tempi certi, così da allineare obiettivi, investimenti e ricerca delle imprese e delle autorità politiche del continente. Un secondo aspetto è la pletora di micro-interventi nella legge di bilancio in discussione in Parlamento che, quest’anno come negli anni precedenti, sono diretti a fornire sostegno a un’ampia serie di settori dalla manifattura ai servizi, dalla pesca al turismo.

 

Questi due aspetti sembrano suggerire come non sia tanto l’assenza di interventi di politica industriale ad essere in discussione, quanto la natura e le caratteristiche di quella esistente. La discussione e il dibattito andrebbero meglio focalizzati.

I problemi che una parte del mondo industriale europeo sta denunciando sono infatti proprio dovuti alle specifiche modalità nell’implementazione dei piani europei. In modo particolare, l’Ue ha scelto di non utilizzare sussidi all’imprese per diverse ragioni; non solo per la difficoltà di far convivere forme di aiuto pubblico statale dentro il mercato unico, ma anche in ossequio al principio “chi inquina paga”. Ad oggi, solo il sistema (ETS 2) per lo scambio di quote emissione di gas a effetto serra dell'Ue (che premia chi riduce le emissioni e colpisce chi non lo fa) introdurrà – quando a regime anche per questo settore - degli incentivi economici alla decarbonizzazione. Finora solo il consumo di veicoli elettrici è stato sostenuto da misure pubbliche di incentivo e, per il momento, i costi di produzione e i prezzi di vendita europei rimangono elevati. Il consumo europeo di veicoli “verdi” arranca, la dipendenza da tecnologia e dalle materie prime estere rimane elevata e le imprese del continente ricevono limitati sostegni pubblici.

 

Non solo. Per spingere imprese e investitori a coordinarsi e per rendere più credibile l’obbligo a investire nella transizione, l’Ue ha posto degli obiettivi molto restrittivi sulle tecnologie ammissibili e sui tempi per adottarle. Per esempio, in violazione del principio di neutralità tecnologica, l’Ue ha deciso lo stop all'immatricolazione di modelli di veicoli leggeri con motori endotermici nel 2035 e ha scelto di non includere i biocarburanti e altri carburanti alternativi tra le soluzioni possibili per ridurre le emissioni dei trasporti. Inoltre, come mostrato nel Rapporto Draghi, le misure adottate in diverse parti della legislazione europea sono state tra loro incoerenti.

 

C’è quindi chi sostiene che la scelta dell’Ue di entrare troppo nel micro management della politica industriale sia la vera causa delle tensioni attuali, non l’assenza di una politica industriale lamentata da altri. Capire la natura dei problemi è prioritario. Se il contesto regolamentare fosse il solo problema, introdurre aiuti finanziari alle imprese sarebbe poco utile. Se la strategia climatica fosse corretta ma i costi di transizione fossero stati sottostimati, un impegno pubblico più forte sarebbe benvenuto. Se entrambi fossero da rivedere, una nuova strategia integrata sarebbe necessaria.

 

Molti operatori danno ormai per certa una revisione della regolamentazione europea. Proprio in questi giorni, però, la nuova vicepresidente della Commissione europea con la delega alla «transizione pulita, giusta e competitiva», Teresa Ribera, ha ribadito che l'industria automobilistica occidentale ha perso il treno della transizione per scarsa capacità di innovazione. Per riagganciarlo, secondo la Commissaria, le imprese europee hanno bisogno di stabilità negli obiettivi e nel contesto, e non di cambiamenti nelle tempistiche o nei parametri della regolamentazione. Secondo Ribera persino una revisione della posizione americana non cambierebbe la situazione e, anzi, consentirebbe alle imprese europee di ritagliarsi una posizione migliore nell’industria del futuro.

 

Che il quadro sia complesso lo confermano anche le variegate posizioni delle imprese di autoveicoli nei diversi Paesi. Pure la decisione della Commissione Ue di introdurre dei dazi sulle importazioni di automobili elettriche (ma non quelle ibride) la cui produzione è altamente sussidiata in Cina ha visto un voto eterogeneo: voci critiche e astensione di Spagna, Portogallo e Grecia; contrarierà e voto contrario di Germania, Ungheria e Slovacchia; voto favorevole di Francia e Italia, tra gli altri. Se questa eterogeneità ha sicuramente una valenza politica nel tentativo di ricevere un trattamento non punitivo qualora la Cina decidesse di rispondere con dazi sulle esportazioni di beni europei, un ruolo importante è anche da ascriversi alle scelte industriali già in essere, volte da un lato ad attrarre investimenti diretti esteri dalla Cina in Europa e dall’altro a delocalizzare parte della produzione europea attraverso joint venture in Cina.

 

C’è chi osserva che negli Stati Uniti sia stato messo in piedi un sistema di generosi incentivi (fortemente distorsivi del commercio interno e internazionale) per favorire le imprese locali in questa transizione, senza restrizioni (a volte introdotte a livello di singolo stato) e scelte tecnologiche precise. Un sistema incentivante per le imprese, ma estremamente costoso per lo Stato che, per compensare il colpo sul bilancio federale, potrebbe finire per ridurre altre spese pubbliche. Un approccio che sicuramente distribuisce diversamente il costo della transizione tra consumatori di vetture e cittadini e che incentiva la competizione tecnologica tra le imprese.

 

Il Rapporto di Mario Draghi sulla competitività europea ammonisce prudenza in merito alla politica industriale e discute la necessità di considerare quattro diversi approcci dentro una strategia mista che combini diversi strumenti per i diversi settori. “Il secondo caso riguarda quei settori per cui l’Ue esprime preoccupazioni per il Paese di produzione (per proteggere i posti di lavoro dalla concorrenza sleale), ma non per la provenienza della tecnologia sottostante. In questo caso, una combinazione efficace di politiche consisterebbe nell’incoraggiare gli investimenti diretti esteri (IDE) all’interno dell’Ue, adottando al contempo misure commerciali volte a compensare il vantaggio in termini di costi ottenuto grazie alle sovvenzioni estere. Con la combinazione di recenti aumenti tariffari e annunci di IDE in alcuni Stati membri, questo è l’approccio attualmente applicato nella pratica al settore automobilistico.” Il Rapporto fa notare come questo approccio non abbia ancora trovato piena attuazione. E soprattutto mancano anche misure sull’intera filiera. L’Alleanza europea delle batterie non è stata accompagnata da un’azione sulla parte a monte della filiera, né a valle per l’installazione delle infrastrutture di ricarica. Il Rapporto sottolinea la necessità di sostenere maggiormente i progetti paneuropei nella R&S per arrivare a produrre automobili più competitive nel futuro e invita a fare maggiori progressi nella gestione dell’ecosistema dei dati, cruciale per le sofisticate auto di nuova generazione. Il Rapporto rimarca anche la “maggiorazione di prezzo” per i veicoli elettrici prodotti nell’Ue a causa del più costoso approvvigionamento energetico dovuto a precise scelte (e non scelte) europee nel settore. Il Rapporto incoraggia infine l’adozione di standard comuni per i protocolli di ricarica, per il riciclaggio dei beni, per lo sviluppo di nuove tecnologie digitali e per le interfacce fisiche comuni. Insomma, un quadro organico di interventi, non solo generici sussidi ai produttori europei. Questi ultimi non basterebbero da soli a invertire il trend.

In questo contesto, di cui l’automotive è solo un esempio, si colloca il Libro Verde per una nuova strategia di politica industriale per l’Italia preparato dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Questo Libro verde vuole aprire un dibattito per giungere alla elaborazione di un Libro Bianco sulla strategia industriale nazionale italiana entro il prossimo autunno. La consultazione pubblica è aperta fino al 31 dicembre 2024.

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