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La marmotta fischia per salvare il gruppo, le api si sacrificano per la regina. Ma l'altruismo esiste in natura?

In realtà è un'invenzione dell'uomo. E allora come spiegare le api operaie che rinunciano ad avere una propria prole per allevare quella di una regina? O la marmotta che alla vista della maestosa aquila reale fischia per avvisare del pericolo, rendendosi visibile e vulnerabile?
Un falco "trasporta" un merlo. L'altruismo esiste in natura?
DAL BLOG
Di Open Wet Lab - 23 febbraio 2017

Siamo un'associazione di giovani studenti o ex-studenti, impegnati nella divulgazione scientifica. La wet biology è l'attività di ricerca che si fa in laboratorio e a noi piace mettere le mani in pasta

Il web è fantastico, ti permette di essere in mille posti contemporaneamente: studio in Olanda, ma grazie alla rete posso sapere che la nota conduttrice televisiva Licia Colò ha comprato dei granchi agonizzanti in un supermercato di Ostia e li ha liberati, poi qualcuno si è pure preso la briga di scriverne. Ora, oltre alla sconsideratezza dal punto di vista ecologico di questa azione, è degna di nota la sensibilità con cui questa donna dal cuore di ragazza ha empatizzato con un animale con cui abbiamo condiviso un progenitore più di 500 milioni di anni fa. Cinquecento milioni sono tanti.

 

La Terra era diversa da come la conosciamo oggi. Le terre emerse erano riunite in un unico supercontinente detto Gondwana: si sarebbe potuto andare in bicicletta ovunque, se non fosse che non v’era ossigeno sufficiente per sostentare la vita sulla terraferma. Una cosa però è rimasta invariata: sopravvive e si riproduce “l’entità” più adatta, in un mondo dominato da una competizione tra “entità” della stessa “specie” così come tra “specie” diverse.

 


 

DIDASCALIA- L’albero filogenetico rappresenta la genealogia delle specie che incontreremo in questo articolo: anche se granchi e mammiferi hanno avuto un progenitore comune 500 milioni di anni fa, le leggi naturali che regolano l’evoluzione sono le stesse per le due classi di organismi. Cagnolini e gattini sono stati aggiunti per scaldare il cuore del lettore di questo freddo articolo.

 

Tutte queste virgolette e vaghi termini descrivono una categoria di cui fa parte l’esempio più comune, l’entità individuo: il ghepardo che corre più veloce, il pavone con la coda più maestosa, il cervo con le corna più forti riescono ad essere meglio nutriti, ad essere più attraenti per il partner o a conquistare con la forza un harem di femmine, garantendosi una prole numerosa che erediterà quelle caratteristiche che hanno reso i genitori gli individui “migliori” della loro generazione. Non si pensi che la selezione del partner agisca solo sulla struttura dei maschi in perenne competizione tra loro: la femmina della cimice dei letti ad esempio, per selezionare il proprio partner, ha nascosto il proprio apparato riproduttore sotto uno scudo in modo da potersi concedere unicamente al prescelto. Il maschio, da parte sua, ha evoluto in risposta un pene corazzato in grado di perforare lo scudo protettivo della femmina che talvolta muore in seguito allo stupro violento.

 

Dovrebbe essere dunque chiara la natura deterministica di questo fenomeno che trova le sue basi nella genetica: un gene viene trasmesso più frequentemente di altri se, come abbiamo visto, rende il proprietario più adatto a sopravvivere e avere una prole numerosa. Ma questo non è sempre vero: il gene può essere visto come un’entità a sé stante. Tramite processi di duplicazione, porzioni di DNA possono aumentare la propria frequenza anche all’interno di un organismo anche se questo non porta un vantaggio al portatore di queste sequenze di DNA. Ad esempio, il genoma umano è composto per più di due terzi da regioni altamente ripetute di DNA, molte delle quali con funzione incognita e, probabilmente, nulla.

 

Alcuni scienziati sono stati in grado di ingegnerizzare queste sequenze “egoiste” per diffondere delle modifiche genetiche in una popolazione partendo da pochi individui. Questa tecnica - chiamata gene drive - permetterebbe il contenimento di insetti dannosi o il salvataggio di alcune specie a rischio, diffondendo ad esempio un gene per la resistenza a una malattia. Ma se pure a livello molecolare siamo egoisti, come spiegare l’atto di Licia? Come spiegare le api operaie che rinunciano ad avere una propria prole per allevare quella di una regina? Come spiegare la marmotta che alla vista della maestosa aquila reale fischia per avvisare del pericolo, rendendosi visibile e vulnerabile?

 

In effetti non è semplice, per più di cento anni gli scienziati si sono interrogati per trovare un modello che permettesse all’evoluzione di selezionare positivamente queste forme di sacrificio. La teoria più in voga che potrebbe “giustificare” queste forme di altruismo è abbastanza macchinosa: oltre alla categoria individuo (facile) e alla categoria gene (difficile), dobbiamo aggiungere la categoria gruppo (complicato). Facendo le sentinelle a turno, le marmotte riescono a garantire al proprio gruppo, costituito solitamente da animali imparentati, una maggiore chance di sopravvivenza. Il sacrificio “personale” viene ampiamente ripagato dalla protezione fornita dalle altre sentinelle quando non si è di turno. Ci troviamo dunque di fronte a una forma di cooperazione e non di altruismo, da cui differisce esattamente come nel senso classico del termine.

 

Il meccanicismo della selezione naturale sembra essere in salvo, ma per le api? Come è possibile? Perché l’evoluzione ha portato migliaia e migliaia di operaie a lavorare per una regina, rinunciando alla possibilità di riprodursi e quindi trasmettere i propri geni?

 


DIDASCALIA: in media, le api sorelle hanno in comune tra loro il 75% del materiale genetico; nel caso dell’uomo invece, questa percentuale si ferma al 50%. Esse si prendono dunque cura dei “propri geni” presenti nelle altre operaie e nelle nuove regine, le sorelle a cui spetta il compito di fondare nuove colonie e trasmettere il materiale genetico nelle generazioni successive.

 

 

La spiegazione non è semplice, ma la figura API ci può aiutare: i maschi delle api, delle vespe e delle formiche sono aploidi, ovvero possiedono la metà dei cromosomi di una femmina. Sedici anziché trentadue. Questo porta gli spermatozoi prodotti dal fuco ad essere tutti identici: 16 cromosomi uguali che vengono ereditati dalle operaie, che partono così da una base comune di metà corredo cromosomico. I restanti 16 cromosomi sono ereditati dalla madre; in media due sorelle avranno in comune il 50% di questi cromosomi, per un totale di materiale genetico comune del 75%. Quindi le operaie hanno in comune con le sorelle più di quanto ne abbiano con la propria madre e l’egoismo dei geni fa sì che si prendano cura delle altre operaie e non della propria prole.

 

La nostra favola prende un sapore agrodolce ora che la regina passa da essere sovrana a schiava. Il peccato non cambia, ma la tirannia è soppiantata da una dittatura del proletariato. E la morale è che l’altruismo non esiste. Non in natura.

Altruismo è forse l’unica cosa che meriti l’appellativo di artificiale; è un’invenzione dell’uomo, frutto della rilassatezza con cui affrontiamo le sfide naturali ora che siamo la specie dominante di questa era: l’antropocene. Se poi sia stato l’uomo a inventare l’altruismo o viceversa, forse non lo sapremo mai.

 

di Filippo Guerra, Open Wet Lab

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