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Tangentopoli e la corruzione, un racconto lontano dalla realtà

DAL BLOG
Di Nicola Zoller - 10 April 2024

Socialista dal 17° anno d'età, continua a dedicarsi allo studio del pensiero progressista e democratico

Lo avevano raccontato da tempo a proposito dell’operazione ‘Tangentopoli’ (Qui blog). Ci riferiamo al professore Angelo Panebianco, accademico ed editorialista: "Sul finire della Prima Repubblica arriva ‘Mani pulite’ ed è il diluvio. È allora che si diffonde quella che considero la madre di tutte le fake news, la falsa idea secondo cui questo sarebbe il Paese più corrotto del mondo" (“Corriere della Sera” del 7 febbraio 2018).

 

Era stato preceduto diversi anni prima dalla vicedirettore del Censis, Carla Collicelli, con questo inoppugnabile argomento: "Il periodo fino al 1992 indicato come più corrotto è anche quello nel quale l’Italia è cresciuta di più. Ora, siccome è senz’altro vero che è la corruzione a bloccare lo sviluppo, l’Italia non doveva essere poi così corrotta" (giornale “l’Adige” del 22 agosto 2002).

 

Comunque il ‘diluvio’ ci fu, come evocato da Panebianco: caddero tutti i partiti democratici di governo che con la Costituzione avevano fondato la Repubblica dopo la disfatta morale e sanguinaria del fascismo; avevano anche contribuito a portare l’Italia fra i Paesi a più elevato tenore di vita nel mondo (con "un reddito cresciuto di circa cinque volte dal 1950 al 1990", ricorda l’economista Carlo M. Cipolla). Eppure si compì una sorta di colpo mediatico-giudiziario, favorito dal potere economico-finanziario che voleva depotenziare la politica e i partiti in congiunzione con un distorto protagonismo giudiziario (v. il libro del giornalista de L’Espresso Stefano Livadiotti “Magistrati, l’ultracasta: Privilegi, soprusi, impunità”, Bompiani).

 

Venne sovvertita la realtà: così leader democratici come Craxi e Andreotti entrarono nella classifica dei criminali peggiori dell’umanità, peggio di Hitler e Stalin (leggere per credere l’editoriale di Giuliano Zincone del 3 maggio 1995). Quanto all’Italia ‘più corrotta’, "all’alba degli anni ’90" la classifica di Transparency International – l’Associazione che misura l’indice della corruzione – situava l’Italia nella fascia medio-alta fra i Paesi migliori del mondo (al 33esima posto sul 180 Paesi, come registrato dal giurista Michele Ainis; nel 2023 – dopo tanta predicazione giustizialista – siamo registrati al 56esimo posto); quanto alle tangenti per i partiti, costituivano un modo illegale di finanziare la politica ma erano lontanissime dal costituire quell’entità enorme che ha portato a definire il finanziamento Enimont come la madre di tutte le tangenti su scala mondiale. Esagerazioni da matti.

 

Ma a proposito di esagerazioni, ora è addirittura la volta della prima presidente della Corte suprema di Cassazione Margherita Cassano, che in una intervista a “Il Foglio” del 14 marzo 2024, riferendosi a processi fatti su giornali e tv anziché nelle aule giudiziarie, sostiene che bisognerebbe far emergere la differenza che vi è tra l’Italia percepita e divulgata dai mass media e quella reale: “i dati della corruzione in Italia – dichiara Cassano – testimoniano la presenza di un problema che per nessuna ragione può identificarsi come una degenerazione incontrollata; eppure si arriva ad un racconto del Paese così lontano dalla realtà, dove il percepito si trova anni luce da ciò che risulta nella realtà".

 

E chi contribuisce a questa sviata percezione? Non solo i mass media che ne fanno grancassa per fini di propaganda politica/editoriale/commerciale, ma anche quei magistrati ignari del fatto che "la giustizia che insegue l’etica è espressione di uno Stato autoritario" (parole virgolettate e riferite dalla presidente Cassano, riportate in evidenza nel titolo dell’intervista). Sul tema si è aggiunto autorevolmente il monito del presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera che nella sua relazione del 18 marzo 2024 invita i magistrati a rimanere nel proprio ruolo, allontanandolo da  "quegli ‘eccessi valoriali’ da cui talvolta non pochi di essi si sentono pervasi". Questa vocazione ad “ammaestrare” il popolo alla virtù, è una forzatura più volte denunciata dai pensatori liberali, in primis da John Locke per il quale "criteri etici sbandierati con eccessivo favore possono nascondere i germi del dispotismo".

 

A molti è sfuggito e sfugge che l’Italia nell’ultimo trentennio abbia rischiato di farsi contaminare da quei germi, abbeverandosi a percezioni corruttive lontane dal vero, trasformando un più che giusto contrasto ai fenomeni illegali, in una campagna  devastante e totalizzante  contro la tradizionale organizzazione democratica del Paese, lasciando strascichi negativi permanenti. Tanto che ci si è abituati ad accettare una deriva colpevolista e giustizialista (basti pensare al procedimento contro “babbo Renzi”, svoltosi nel corso degli ultimi sette anni a suon di titoli cubitali), dove è “normale” trasformare anche solo le percezioni di reato palesate dal circuito mediatico giudiziario quasi in sentenze definitive, o comunque dove dilatare l’allarme accusatorio diventa una cospirazione quasi quotidiana. Lo scrive con stringata franchezza anche Goffredo Buccini nel suo recente documentato libro “La Repubblica sotto processo. Storia giudiziaria della politica italiana 1994-2023 (Laterza, 2024): "Esiste un coinvolgimento dei partiti in una realtà corrotta, che si rivela meno grave di come rimbalza sui mass media". E vederlo prima, magari trent'anni fa? Almeno ora più discernimento e più mitezza, por favór.

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