Alpinista tridentino, tra monti e libri in una terra "tutta" alpina. Spazi di libertà senza confini
Socialista dal 17° anno d'età, continua a dedicarsi allo studio del pensiero progressista e democratico
"Alpinista tridentino”: così vengo presentato nel mio blog su il Dolomiti. È un termine assai impegnativo e nel mio caso non ha collegamenti con exploit sportivi: la mia è stata un’esperienza "molto prudente, rispettosa, mai spavalda". Quest’ultimi termini li ho tratti integralmente da un libro di Franco Michieli, L’abbraccio selvatico delle Alpi (1), che resta per me un testo di riferimento, perché presenta un alpinismo lontano dall’azzardo agonistico e soprattutto lo coniuga con la cultura. Come Michieli, anch’io nel mio più ristretto ambito, andando sui monti (si vedrà nel testo che segue l’accenno alle mie mete alpestri) mi sono sempre portato appresso più di un libro e ne ho pensato altri che avevo già letto o che mi ripromettevo di leggere.
Si potrebbe dire che seguendo l’esempio di Michieli la cultura sia andata in montagna condotta dall’uomo, seguendo una certa filosofia di vita, per creare il paesaggio, quell’ibridazione con la natura di cui ha sapientemente parlato l’antropologo e alpinista Annibale Salsa (2): invocando "una prassi responsabile, attenta all’uso delle risorse, cosciente del valore del limite, unica strada per trasformare uno spazio fragile come quello alpino senza distruggerlo, permettendo a chi lo abita di continuare a farlo".
Una tematica complessa ma che, attraverso il libro di Michieli, ho potuto affrontare con levità, seguendo il suo racconto di una traversata di 81 giornate, dal 23 luglio al 12 ottobre, dal Mar Ligure di Ventimiglia su per l’arco alpino e giù fino a Duino all’ingresso di Trieste. Si potrebbe definire il ''viaggio di un alpinista da giovane'', fatto da un liceale diciannovenne che affronta "il distacco dal mondo cittadino per diventare viandante della montagna, in cerca delle molte risposte che la civiltà umana non sa dare", un modo per "rispondere a vuoti esistenziali del proprio tempo".
Una piccola/grande biblioteca per chi va in montagna. L’elemento che collega questa ricerca esistenziale è che il percorso alpinistico viene accompagnato da tanti, straordinari riferimenti culturali e letterari, che costituiscono una sorta di piccola/grande biblioteca per «chi va in montagna». Possiamo partire da quattro proposte che vengono direttamente da noti alpinisti e scrittori di alpinismo. Ecco Walter Bonatti con Le mie montagne (3) del 1961, per il quale «era sano il proposito di muoversi solo a piedi, senza nessun uso di auto o funivie». Possiamo anche riferire di un importante articolo di Reinhold Messner intitolato L’assassinio dell’impossibile (4), pubblicato con evidenza dalla Rivista Mensile del Cai nel 1968, nel quale «le tecnologie che annullano il confronto dell’uomo con i suoi limiti naturali» venivano definite appunto "l’assassinio dell’impossibile, concetto premonitore di ciò che rende oggi la società perennemente insoddisfatta, perché indotta a pensare che i limiti siano ingiusti, anziché fonte della creatività".
Era giusto dunque accettare il limite, praticare un alpinismo by fair means, con mezzi leali, senza superfetazioni tecnologiche. L’autore poi reputa fondamentale il libro del 1971 di Kurt Diemberger, Tra zero e ottomila (5), che non si soffermava su dati tecnici o sportivi ma catturava l’attenzione "evocando la bellezza, la poesia, lo spirito d’avventura del suo alpinismo libero, sempre con una vena ironica non facile da trovare nella letteratura di montagna dell’epoca". Altrettanto fondamentale per Michieli – come vedremo più avanti nella sua concezione prudenziale dell’ascesa in montagna – è il libro di Wilhelm Paulcke e Helmut Dumler I pericoli in montagna (6), un manuale da studiare e ristudiare, perché invitava a seguire questo programma: «Pensare una tappa in montagna significa sempre, prima di tutto, ragionare sui pericoli che avremmo potuto incontrare, tenerli ben presenti giorno e notte e anticipare idee su come evitarli".
Ma ora passiamo ai notevolissimi letterati richiamati ne L’abbraccio selvatico delle Alpi. Fin dall’introduzione c’è una lunga citazione da La partenza (7) di Franz Kafka, con uno stretto giro di battute che ispirano la lunga traversata: "– Dove vai? – Sempre via di qua», «– Non hai viveri con te – Il viaggio è così lungo, che dovrò morire di fame, se non ricevo nulla sulla via".
Segue subito fra i primi autori Henry David Thoreau con il suo Walden, ovvero Vita nei boschi (8), "un formidabile piccolo trattato su come l’umanità si faccia tiranna di se stessa per rincorrere beni ingannevoli, perdendo completamente di vista il meglio della vita, che è a portata di mano". Ed ecco Ugo Foscolo con le Ultime lettere di Jacopo Ortis (9) e la romantica spiegazione del perché il viaggio giovanile di Michieli partì da Ventimiglia e non da qualche altra località costiera ai piedi delle Alpi Liguri: perché Jacopo scrisse proprio da lì la sua Lettera di Ventimiglia, con quell’incipit che mascherava il tormento "Alfine eccomi in pace!". E poi l’immensa Recherche (10) di Marcel Proust, pronta a risvegliare esperienze incontrate spesso "nel contatto con la natura e la montagna… sensazioni di freddo, stanchezza, fame, pace e riposo, riconoscibili come tesori dissepolti all’improvviso".
Ma ancor più vividamente è il messaggio di Sant’Agostino (11) a ritornare nella mente del giovane liceale attraverso l’insegnamento del professore di filosofia che spiegava l’aspirazione di quel padre della Chiesa a "essere nel mondo, ma non del mondo, accettando quindi di vivere in mezzo all’umanità anziché in eremitaggio, ma indirizzando ogni propria opera a un bene comune e superiore". Ma quella che comunque diventava una ''contaminazione'' col mondo, avrebbe permesso di dar corso a quella vocazione che pressava Michieli fin da bambino: "fare qualcosa per salvare la natura dall’illimitata depredazione umana?". In lui restava il sospetto che "inserirsi nella società così come era organizzata significasse complicità con quel male, anche senza volerlo". E gli sovveniva quella terribile rappresentazione della banalità del male (12) con cui Hannah Arendt aveva descritto l’asservimento di milioni di persone alla deriva nazista: era una evocazione di esempi così estremi che scuotevano la sua giovane vita e la sua risolutezza a voler capire se poteva "vivere senza essere gravemente complice" della catena di effetti mortiferi che l’umanità compiva, anche inconsapevolmente, contro la natura.
Difesa dell’ambiente e attesa del mare
Uguale struggimento – anche se di diverso timbro – manifesta Michieli quando arriva in Valle di Susa, lì dove proprio si trovava il principe longobardo Adelchi, che Alessandro Manzoni avrebbe celebrato nella sua tragedia (13): inevitabile parteggiare per Adelchi, l’eroe che si trovò "dalla parte sbagliata della storia, condannato a veder morire tutti i suoi sogni di giustizia e gloria, spazzati via dalla meschinità degli uomini e dalla forza militare di Carlo Magno". Seguono poi riferimenti letterari assolutamente meno tragici anche se altrettanto impegnativi: come quei graziosi inni salutistici contro amici e amiche di studi che fumavano in classe e che avevano sempre freddo. Per irrisione, ma in modo gaio, si cita la poesia satirica di Lorenzo il Magnifico, Nencia da Barberino (14), e perfino La Gerusalemme liberata (15) di Torquato Tasso; ma più esilarante risulta il riferimento a Cecco Angiolieri e al suo S’i’ fosse foco (16), di cui Michieli riscrisse una sua versione, sostituendo il fuoco con l’acqua; e infatti, lasciandosi abbracciare dalla vette, poteva ben affermare «come lo scherzo poetico avesse assunto un che di reale: ce ne andavamo liberi per nevi e bianchi ghiacci, e in effetti scaldini e scialli li lasciavamo ad altri".
Siamo al termine della traversata, a Duino, e anche delle citazioni letterarie: lì comunque non poteva mancare un rimando alle Elegie duinesi (17) di Rainer Maria Rilke. Ma più pertinente diventa un riferimento al Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez (18) che la poetica di Giacomo Leopardi riesce a interpretare secondo "il sentimento delle attese umane".
Il navigatore genovese confida all’amico alla vigilia fatidica del 12 ottobre 1492 – quando toccarono terra a San Salvador – il suo disagio ma anche il suo gusto per l’incertezza: solo i naviganti concepiscono tra i beni umani maggiori "un poco di terra che li sostenga", quella terra che di lì a poco sarà raggiunta. Quella tensione verso la terra incerta, Michieli la sente simile al suo desiderio – viceversa – di giungere finalmente al mare. Si parva licet componere magnis, "per un ragazzo di quell’età l’avvistamento del mare dopo un viaggio a piedi intrapreso alla ventura, ponendo in esso così tante speranze, rappresentava una svolta simile a quella degli scopritori di terre". Era un impatto intimo, che non poteva assolutamente essere comparato con l’impatto "sul grande mondo" dell’impresa colombiana, ma era pur sempre uno stesso 12 ottobre quando il nostro giovane alpinista giunse al mare. E nel suo semplice ambito si sentiva un re, anzi meglio di un re, meglio dell’Amleto (19) di Shakespeare che si riteneva «re di uno spazio infinito»: lui sì che si era trovato in uno spazio come quello delle Alpi "che rispetto alla piccolezza della persona vale davvero l’infinito".
Non potevo concludere questa gloriosa variegata rassegna senza un inno gioioso: è infatti la melodia dell’Inno alla gioia (20) che accompagna l’immensa contentezza dell’autore giunto su Cima Libera/Wilder Freiger, attorniato dalla visione dei "monti a perdita d’occhio sopra tutte le Alpi Orientali".
Alpi, uno spazio di libertà senza confini
Il libro di Franco Michieli rappresenta con il suo itinerario – che attraversa i confini di più Paesi europei, Italia, Francia, Svizzera, Austria, Jugoslavia – un omaggio ad una visione ''libertaria'' dell’escursionismo alpino. Non solo per l’approccio inconsueto, come quello di affrontare l’intero percorso solo a piedi, senza nessun uso di auto o funivie, e di dormire all’aperto, senza tenda, ma solo con un sacco piuma e un sacco da bivacco: non a caso il libro porta come sottotitolo Una traversata alpinistica sotto il sole e le stelle, dall'adolescenza verso l'ignoto.
All’epoca della traversata si era nel 1981, ma Michieli scrisse allora solo delle bozze, rimandando a quasi quarant’anni dopo la stesura definitiva, quando ritenne – nel 2020 – di poterne dare la giusta versione che sapesse "suscitare nell’immaginario del lettore un coinvolgimento ideale". Non bisognava avere troppa fretta. Sì, perché solo in età matura avrebbe potuto confermare quella visione che già intuiva comunque in età giovanile e che rappresenta una concezione culturale in sintonia con il nostro interrogativo iniziale: le Alpi, come altre catene montuose, non costituiscono una barriera, "ospitano comunità non separate, ma insediate a cavallo degli alti crinali".
Una concezione – come accennavamo sopra – 'libertaria'', che trova ancora nel professor Annibale Salsa (21) un autorevole avallo quando spiega che "la presenza di una grande quantità di passi e valichi ha reso 'poroso' il territorio alpino fin dall’antichità", assumendo poi dopo l’anno Mille la connotazione di "cerniera geo-politica", salvo poi tra Ottocento e Novecento piombare nell’idea nazionalistica di montagna come "barriera geo-fisica" tra nazioni ispirandosi alla "teoria delle acque pendenti" o "dottrina dello spartiacque" che avrebbero diviso la catena alpina tra Stati/Nazione diversi, tra Francia, Austria, Regno d’Italia, lasciando sola la Svizzera a mantenere in vita un modello che comprendesse nei suoi confini aree pluriculturali, francesi, tedesche, italiane, ladine. Ecco, anche il giovanissimo Michieli aveva intuito e praticato nella sua spedizione raminga e libera attraverso le Alpi quell’idea che all’intera catena montuosa dovesse essere garantita una naturale integrità, o che comunque si dovesse auspicabilmente operare per una «ricucitura» di tale unitarietà. Così si spiegano i numerosi sconfinamenti verso la Francia, la Svizzera, l’Austria (escludendo la Jugoslavia che nel 1981 manteneva ancora attive truppe di confine in perenne allerta) che danno il senso della traversata, una rilevante impresa in totale autonomia compiuta da Michieli insieme a compagni che via via si alternarono nell’aggiungersi e accompagnarsi al suo itinerario.
Il mio dolce, faticoso percorso alpinistico. Un itinerario che – seguendolo – ha risvegliato anche in me i ricordi di dolci e insieme faticose spedizioni giovanili e d’età più matura, che hanno segnato la mia esperienza alpinistica, assieme a mio cugino Tiberio Andreolli e all’ ingegner Giulio Giacomelli per le vette più elevate, e spesso con la guida della Società degli Alpinisti Tridentini attraverso le sue sezioni di Brentonico, Caldonazzo, Rovereto, Mori e Fiavè: dal Gran Paradiso (4.061 metri), al Rutor (3.486 metri), al Monte Bianco (4.809 metri), dalla punta Gnifetti del Monte Rosa (4.554 metri), al Breithorn (4.165 metri), all’Alphubel (4.206 metri, raggiunta al secondo tentativo dopo una prima prova incompiuta) su per la Valle svizzera di Saas, e poi all’Ortles/r (3.905 metri), alla Palla Bianca/Weißkugel (3.738 metri), al Similaun (3.607 metri), fino alla Vetta d'Italia/Klockerkarkopf (2.912 metri) e al Monte Nevoso/Schneebiger Nock (3.358 metri); insegnandomi anche – bon gré mal gré – a "rinunciare al mito della vetta", come lo definisce Michieli, quando non si mantenga una buona forma fisica o quando le incerte condizioni del tempo sconsiglino l’ascesa: a me successe alle pendici del Monviso e all’anticima del Bernina (in quest’ultimo massiccio montuoso avrei raggiunto anni dopo, dalla Svizzera, la vetta del Piz Palü, 3.901 metri).
Elogio della prudenza e della coerenza, cardinali virtù culturali
Abbiamo seguito i libri di Michieli e ammirato la libertà integrale che ha sorretto anche dal punto di vista culturale la sua (… e la nostra) lunga impresa. In queste note sparse certamente merita un cenno finale la modalità d’andare in montagna: con prudenza, ed è anche questo un lascito culturale. Molti di noi quasi mai hanno trovato piacere in una sorta di "lotta coll’Alpe", come invece ancora proclama Guido Rey nel motto che appare sulla tessera di Cai-Sat. Spronato comunque dalla passione, perfino dall’amore, per le montagne ho cercato più quietamente in esse e con esse "un contatto più diretto con mondo, un’immersione totale nella natura".
È un sentimento che viene confermato e suggerito dal libro di Michieli, che rappresenta un elogio dell’alpinismo prudente. Scrive: "Quello che ci deve guidare in montagna e nella vita, in generale, è la prudenza, che significa essere in armonia con ciò che ci circonda, conoscendolo così bene da capirlo".
Precisa di seguito: "L’evoluzione ci ha fatti adatti a vivere nel selvaggio, non a venirne schiacciati. La spiritualità nasce come rapporto di fiducia con l’invisibile che anima la natura: una fiducia molto prudente, rispettosa, mai spavalda, ben diversa dall’azzardo mediatico di tanti exploit sportivi". La prudenza dunque come segno di fortezza, non conseguenza della paura. Tornano alla mente – visto che Michieli ci ha appena invitato alla prudenza «in montagna e nella vita» – le parole inascoltate di Peleo al focoso figlio Achille: "Essere miti, questo è essere forti" (22).
Franco Michieli mi ha indicato il percorso per scrivere questa nota che spiega il mio essere ''alpinista''. Non poteva mancare anche un elogio finale alla sua coerenza di vita, che può essere una regola culturale da seguire. Suo padre – agronomo – e lui – geografo, esploratore e scrittore – sono discendenti di montanari e alpinisti. Michieli è nato a Milano nel 1963 ma racconta di aver avuto fin da bambino un forte legame con la montagna, nella quale intendeva e intende immergersi, vivendoci. Così dal 1995 abita a Bienno in Val Camonica.
Ha capito che la montagna non bisogna solo vederla, ma appunto viverla. E ha compreso qual è l’approccio culturale giusto che deve accompagnare l’alpinismo, oltre alla prudenza. Scrive: "Vivere non l’istante, ma la permanenza, come vero traguardo e vetta del viaggio. Raggiungere la contentezza di essere sulle montagne tra i loro eventi e quindi restarci senza desiderare di essere altrove. Era questa la grande differenza che cercavo rispetto all’alpinismo classico: seguire un approccio opposto alla battuta di caccia alla cima o alla difficoltà di una via, volta a conquistarla per poi al più presto tornare a casa col trofeo". Un testamento che può valere per tanti di noi che abbiamo la fortuna di vivere in Trentino, una provincia che i geografi considerano un "unitario spazio alpino", dunque un vero traguardo permanente del nostro viaggio montano.
01 Franco Michieli, L’abbraccio selvatico delle Alpi, Ponte alle Grazie, Milano, 2020
02 Annibale Salsa, I paesaggi delle Alpi, Donzelli, Roma, 2019
03 Walter Bonatti, Le mie montagne, Zanichelli,Bologna, 1961
04 Reinhold Messner, L’assassinio dell’impossibile, in Rivista Mensile del CAI, ottobre 1968
05 Kurt Diemberger, Tra zero e ottomila, Hoepli, Milano, 1971
06 Wilhelm Paulcke e Helmut Dumler,I pericoli in montagna, Görlich editore, Milano, 1972
07 Franz Kafka, La partenza, in Tutti i racconti, Mondadori, Milano, 2017
08 Henry David Thoreau, Walden, ovvero Vita nei boschi, Einaudi, Torino, 2015
09 Ugo Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis , Mondadori, Milano, 2002
10 Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, Einaudi, Torino, 1950
11 Agostino, La città di Dio, Rusconi, Milano, 1984
12 HannahArendt, La banalità del male, Feltrinelli, Milano, 2001
13 Alessandro Manzoni, Adelchi, Rizzoli, Milano, 1976
14 Lorenzo de' Medici, Nencia da Barberino, in Poesie, Rizzoli, 1992
15 Torquato Tasso, La Gerusalemme liberata, Rizzoli, Milano, 2009
16 Cecco Angiolieri, S’i’ fosse foco, in Sonetti, Editrice Il Leccio, Monteriggioni, 2003
17 Rainer Maria Rilke, Elegie duinesi, Einaudi, Torino, 1978
18 Giacomo Leopardi,Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, in Operette morali, Rizzoli, 2008
19 William Shakespeare, Amleto, Mondadori, Milano, 2017
20 Friedrich Schiller, Inno alla gioia o Ode alla gioia(An die Freude), pubblicato sulla rivista Thalia nel 1786, musicato da Beethoven nel 1824
21 Annibale Salsa, Alpi e libertà, Temi, Trento, 2015
22 Alessandro Baricco, Omero, Iliade, Feltrinelli, Milano, 2004