"Può l'Ue obbligarci ad accogliere i migranti?", l'Ungheria va al referendum
Giornalista professionista, classe 1981, è responsabile di East Journal, quotidiano online sull'Europa centro-orientale, e collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso
Lungo le strade di Budapest, alle stazioni della metro o alle fermate degli autobus, campeggiano grandi cartelloni gialli e blu. “Tudta?”, lo sai? Chiedono ai cittadini, e segue poi una frase: “da quando è esplosa la crisi dei migranti, più di trecento persone sono morte in Europa a causa del terrorismo”. Una frase che serve a convincere gli ungheresi della pericolosità dei migranti. Il motivo di questi cartelloni è il referendum del prossimo 2 ottobre, voluto dall’attuale governo guidato da Viktor Orbàn, nel quale i cittadini magiari dovranno esprimersi in merito al sistema di quote votato dal Consiglio europeo e che prevede la ripartizione di 160mila rifugiati tra i paesi membri. Tuttavia il referendum è volutamente mistificatorio poiché parla di “migranti” in generale, mentre le quote UE riguardano solo i “richiedenti asilo” ovvero coloro che sono “ad elevato tasso di protezione”, quindi siriani, eritrei e iracheni. Il quesito cui dovranno rispondere gli ungheresi recita infatti: “Può l’UE obbligarci ad accogliere migranti?”, e l’esito pare scontato, anche se meno certo è il raggiungimento del quorum del 50%.
Orbàn, comunque, si dice sicuro di un successo attraverso cui spera di ottenere la modifica dell’accordo e, più in generale, di innescare una fase di revisione dei trattati europei. Alla sua battaglia si sono uniti anche i governi di Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. L’Ue ha già fatto sapere che non arretrerà d’un passo, d’altronde il sistema delle quote è stato votato a maggioranza dai paesi membri e i mal di pancia dell’Europa centro-orientale non basteranno a cambiare le regole. Così i toni si fanno giorno dopo giorno più accesi al punto che Varsavia e Budapest parlano apertamente di “fine dell’UE”, ma c’è poco da crederci: proprio i paesi dell’Europa centro-orientale godono della gran parte dei fondi di sviluppo europei, necessari a tenere in piedi economie ancora fragili. Dunque, tanto rumore per nulla?
Non proprio. L’Ungheria è il paese che ha accolto più migranti in relazione alla popolazione, e si trova in testa alle classifiche europee per domande d’asilo. A Budapest ritengono di avere fatto la loro parte. I cittadini ungheresi, ma anche polacchi, cechi o slovacchi, non credono di dover fare di più, anzi ritengono di essere loro quelli da aiutare, ancora impantanati in una crisi che da quelle parti pesta durissima. Invocano una solidarietà europea che sia destinata solo ad europei, non a chi viene da fuori. E guardano con simpatia crescente ai movimenti nazionalisti, razzisti o neonazisti , come lo Jobbik ungherese. Proprio per tenere a freno questi partiti, i leader conservatori al governo devono fare proprie istanze estremiste, anche attraverso politiche discutibili e retoriche populiste.
C’è però un rovescio della medaglia, poiché questi leader usano la questione dell’immigrazione per guadagnarsi facili consensi attraverso cui, gradualmente, ottenere sempre più poteri. In Polonia il leader conservatore Jaroslaw Kaczynski sta focalizzando l’attenzione dell’elettorato sul tema dell’immigrazione mentre il suo governo porta avanti un attacco all’ordinamento costituzionale. In Ungheria il primo ministro Orbàn è impegnato nella costruzione di quella che ha chiamato “una democrazia illiberale” nella quale pluralismo politico, libertà di espressione, eguaglianza dei diritti, vengono progressivamente meno. Un disegno che, per affermarsi, ha bisogno di emergenze che stringano l’elettorato attorno alla figura del leader carismatico, dell’”uomo forte”.
L’insorgere di “democrazie illiberali” trova un terreno fertile nell’Europa centro-orientale, specialmente in Croazia, Serbia, Polonia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Romania ma anche l’Europa occidentale, stretta tra paura del terrorismo, emergenza migranti, e crisi economica, è sempre più attraversata da pulsioni maggioritarie, voglia di poteri speciali e riforme costituzionali. Da Budapest arriva così una sfida all’intero ordine europeo e il referendum ungherese del 2 ottobre prossimo diventa una data importante per tutta l’Unione Europea.