In Bosnia un paese è abitato solo da trentini. Tutto cominciò dopo l'alluvione del Brenta
Giornalista professionista, classe 1981, è responsabile di East Journal, quotidiano online sull'Europa centro-orientale, e collaboratore di Osservatorio Balcani e Caucaso
Nel cuore dei Balcani c’è uno sperduto villaggio con piccole case basse dai tetti rossi ben ordinate lungo la strada. Štivor il suo nome, trecento anime appena, un paesino come tanti se non fosse per una particolarità: gli abitanti sono tutti trentini.
La storia dei trentini di Štivor è stata a lungo dimenticata e benché affondi le proprie radici in un passato nient’affatto remoto, è difficile oggi ricostruirla con certezza. Sappiamo che tutto cominciò con l’alluvione del Brenta del 1882 che devastò la Valsugana, area già fortemente impoverita (come l’intero Trentino) a causa di una crisi agricola dovuta anche ai recenti mutamenti politici – con l’annessione all’Austria nel 1867 la regione perde infatti lo storico lo sbocco commerciale del Lombardo-Veneto. L’emigrazione, fenomeno certo non nuovo, andò a intensificarsi notevolmente. Fu allora che il governo di Vienna pensò che quelle braccia potevano essere ricollocate in modo più efficace.
Da circa quattro anni, a seguito del Trattato di Berlino del 1878, la Bosnia Erzegovina era diventata un protettorato austro-ungarico. La lunga dominazione ottomana aveva però lasciato una grave situazione economica, e la fuga della popolazione musulmana verso la Turchia portò allo spopolamento di intere aree. Tuttavia il paese era di importanza strategica per Vienna che sviluppò allora l’idea di creare delle colonie contadine, con sudditi di comprovata fede verso l’Impero. La scelta cadde sui trentini.
Una migrazione non di massa quella dei trentini, ma ordinata e a piccoli gruppi, che ebbe luogo tra il 1882 e il 1884, ancora rintracciabile nei registri comunali di Roncegno, Ospedaletto, Levico Terme e nelle ricerche di molti storici locali (Grosselli, Raffaelli, Sartorelli). La colonizzazione si rivelò però assai difficile, al punto che le autorità imperiali arrivarono a scoraggiare le partenze, abbandonando definitivamente il progetto nel 1910. La prima spedizione, quella del 1883, fu la più disastrosa: quando circa trecento trentini, provenienti da Nave San Rocco, arrivarono a Konjic, in Erzegovina, non trovarono nulla di quanto promesso. Non c’erano case, i terreni erano improduttivi, e dopo un inverno di fame e stenti, costretti a ripararsi in grotte, decisero di tornare a casa.
Diversamente andò per le novanta famiglie di Aldeno che, raggiunta Maglaj, non lontano da Banja Luka, riuscirono a insediarsi malgrado le resistenze della popolazione locale. Dal Trentino importarono la coltivazione della vite, pressoché sconosciuta nella Bosnia di allora, e riuscirono a creare una piccola ma fiorente comunità che solo la Grande Guerra spazzò via. Nel 1918, non più sudditi austro-ungarici ma italiani, si trovavano a vivere non più nel protettorato di Bosnia ma nel Regno di Jugoslavia. Quando fu loro concessa la possibilità di partire per l’Agro Pontino, molti intrapresero un esodo al contrario.
Qualcuno però decise di rimanere, erano le famiglie che nel frattempo avevano fondato Štivor. Pur tra mille difficoltà, la colonia ha resistito a tutti i rivolgimenti della storia: due guerre mondiali, il titosimo, fino alle guerre degli anni Novanta. Štivor è rimasta lì, appena lambita da quei tragici eventi, quasi fosse un villaggio invisibile protetto dall’isolamento di una regione che non è mai stata strategica per i molti eserciti che l’attraversarono. E’ vero però che le atrocità a sfondo etnico che caratterizzarono le guerre degli anni Novanta, e il timore di essere arruolati, spinsero molti a lasciare i Balcani per tornare in Trentino: oggi, nella sola Borgo Valsugana, si contano più di quattrocento persone provenienti da Štivor
La “scoperta” di Štivor risale agli anni sessanta e si deve, in buona misura, a Sandra Frizzera e, successivamente, all’Associazione Trentini nel Mondo. La storia di questa comunità, fatta di memorie, geneaologie, lettere ingiallite o vicende romanzate, ha spesso assunto i tratti della leggenda, della saga, rendendo difficile distinguere il vero dal “mito”. Ma è sufficiente andare, una qualunque domenica, nella piccola chiesa di Štivor, per vedere ancora persone in abiti tradizionali trentini che parlano un dialetto che è retaggio della lingua degli avi (si vedano gli studi di Maria Rosalio).
Sono trascorsi più di 130 anni dall’arrivo dei trentini in Bosnia ma la forza delle radici e l’attaccamento alla tradizione hanno permesso a questa comunità di conservarsi. Così il carattere trentino resiste ancora, tenace, tra le montagne dei Balcani.