I nostri giovani, da Vitali Mardari ad Antonio Megalizzi, da quelli che non accogliamo più a quelli che chiamano buonisti
Presidente del Forum Trentino per la pace e i diritti umani
Fine anno, tempo di bilanci e di prendersi il tempo per riflettere su cosa è successo e su cosa sta succedendo attorno a noi. Se c'è un argomento che in questo ultimo periodo mi sta facendo riflettere è quello legato ai “giovani”.
Giovani, come quelli presenti in Piazza Dante il 27 dicembre per protestare contro il taglio deciso al sistema trentino d'accoglienza. Conosco molti di loro: persone competenti, che parlano più lingue, laureati e molto preparati, sono stati all'estero per studio e, indipendentemente dal loro pensiero politico, si sono formati ad un mondo aperto e senza confini. Credono nell'apertura all'altro e anche per questo sono finiti ad occuparsi (prima precari e sottopagati, ora disoccupati) di accoglienza. Ora si sentono definiti buonisti, fannulloni e zecche e si vorrebbe che continuassero, ma da volontari.
Giovani, come gli stessi richiedenti asilo che in questi anni hanno convissuto con le ragazze e i ragazzi di cui sopra. Mi è capitato di conoscerne parecchi e devo dire che è pesante vederli trattati tutti indistintamente come delinquenti. Persone che avevano voglia di imparare la nostra lingua, di capire le nostre usanze e di interagire al meglio con noi. Persone la cui unica colpa, spesso, è quella di provenire da una zona povera o, peggio ancora, in guerra e di credere nella fantastica possibilità di avere un futuro. La nostra nazione e la nostra stessa Europa non sembrano avere intenzione di occuparsene veramente e di cercare delle soluzioni alla violenza che affligge le loro terre. Di loro, esuli senza futuro, dovranno occuparsi solo i volontari.
Giovani, come i molti che ho incrociato nelle nostre associazioni e che, convintamente, partecipano a dei progetti di cooperazione internazionale. Oltre alle competenze date dal loro percorso di studio li vedi aggiornarsi ai corsi del Centro Cooperazione Internazionale e partecipare alle serate del Forum per la Pace. Grazie alla loro apertura mentale e competenze sono fondamentali nella creazione dei progetti trentini sparsi per il mondo. Progetti che spesso seguono anche sul posto, il più delle volte da volontari e non sempre valorizzati dalle nostre stesse associazioni. Ora devono sentirsi in colpa quando riescono a guadagnare qualche soldo da precari in queste attività e non da volontari. Progetti di cooperazione internazionale che ora rischiano di essere bloccati.
Giovani, come il ventottenne moldavo Vitali Mardari, costretto a lavorare in nero da boscaiolo e abbandonato morto in un bosco trentino dal suo datore di lavoro.
Giovani, come una mia cara amica, brillante e preparata insegnante, una delle 7 che seguiva in Trentino i percorsi di genere nelle scuole e che ora, da un giorno all'altro, si trova senza lavoro perché quei percorsi sono in contrasto “rispetto ai valori che la Giunta Provinciale intende perseguire”. Poco importa che la fantomatica “teoria gender” non esista e che in realtà questi percorsi siano molto importanti per una educazione alla relazione di genere e a promuovere una cultura di rispetto reciproco nella relazione tra ragazze e ragazzi e nel rispetto delle loro naturale diversità. Percorsi che lavoravano sulle disuguaglianze sociali e (in un'Italia che nel 2018 ha contato 106 femminicidi) sulla prevenzione al fenomeno della violenza di genere.
Giovani, come Antonio Megalizzi: un'intera nazionale, non solo la nostra città, lo ha pianto e accompagnato al suo funerale. Abbiamo imparato a conoscerlo e ad apprezzarlo tanto che ora alcune sue idee verranno realizzate. Un giovane stupendo.
Giovani, come G., creativa e vulcanica persona che vorrebbe fare del giornalismo il suo lavoro ma che fatica a farlo e che nei giorni del funerale di Antonio (che conosceva) mi scriveva così: “A rattristarmi e disgustarmi sono tutte queste onorificenze che arrivano tardi, sempre troppo tardi, sempre all'italiana... siamo sempre bravi noi a piangere i morti quando è tardi. Adesso Antonio lo chiamano reporter, giornalista, inviato... giornalista non lo era ancora, anche se ne aveva tutte le qualità, e questo la dice lunga sui mille ostacoli e problemi di questa professione. Antonio era un giovane della nostra generazione, quella degli sfigati dalle mille possibilità, che sono cresciuti sognando un'Europa senza confini e che ora si ritrovano spiazzati e disorientati a dover difendere con i denti i propri sogni e diritti senza sapere più nemmeno bene come e perché. Mi rattrista quanto successo, non solo per la perdita in sé, ma soprattutto perché questa cosa colpisce un po' tutti e tutte noi... e domani sarà uguale a prima, non cambierà nulla, questo mi rende ancora più acida e triste.”
Giovani spiazzati e disorientati, giovani a cui stiamo sottraendo uno dopo l'altro dei diritti fondamentali. Poche settimane fa abbiamo ricordato a gran voce il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani eppure non sembra che abbiamo ancora compreso cosa ci sia scritto in quei 30, fondamentali, articoli. Sempre più quei diritti vengono calpestati, nel lontano Yemen come qui nella nostra ricca Provincia. Sempre più spesso sono proprio i giovani le prime vittime di questo: il diritto alla dignità (art. 1), il diritto “alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona” (art. 3), il “diritto alla libertà di movimento” (art. 13), “di cercare e di godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni” (art. 14). Il “diritto ad una cittadinanza” (art. 15). Il diritto ad un lavoro con “una rimunerazione equa e soddisfacente” (art. 23). Il diritto all'istruzione “indirizzata al pieno sviluppo della personalità umana ed al rafforzamento del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali” (art 26).
Giovani che abbiamo spinto a studiare, che abbiamo spinto all'estero per aprire le loro menti. Giovani che qui ora non trovano sbocchi lavorativi. Giovani sempre più senza i diritti per cui molto si è lottato. Giovani che per essere valorizzati devono morire, morire male.