Sono e resto un ''democratico cristiano'' ma i tempi sono cambiati e chi oggi usa la sigla DC recuperi almeno il “senso del ridicolo”
Eletto presidente della Provincia di Trento per la prima volta nel 1999 resta in carica fino al 2012 quando si dimette per entrare poi alla camera dei deputati con la lista Scelta Civica nel 2013
Il simpatico servizio che leggo sul Dolomiti.it a proposito della rinascita della DC Trentina e delle esuberanti performance sui Social del suo segretario organizzativo mi induce qualche riflessione. Sono stato e resto un “democratico cristiano”, perché questa è la mia identità politica.
Sono appartenuto alla DC fino a quando - proprio alcuni di quelli che oggi si sono messi in testa la balzana e presuntuosa idea di arrogarsene l’eredità formale - non l’hanno distrutta, portandola nei suadenti e dorati lidi di Silvio Berlusconi: quello che, secondo loro, doveva essere il “nuovo Degasperi”. Ma forse non è neppure solo colpa loro, che pure hanno minato alla radice uno dei capisaldi degasperiani: il confine a destra. E neppure è colpa solo di Tangentopoli, che pure ha fatto strame, molto spesso ingiustamente, di una intera classe dirigente democristiana (e socialista).
È più verosimile che la causa della fine della DC stia nel cambiamento radicale sella società italiana dagli anni settanta in poi. Quei cambiamenti che alcuni - Aldo Moro in primis, con discorsi memorabili - avevano pur avvertito lucidamente e che lo sforzo di “rinnovamento” messo poi in campo nei primi anni ottanta non ha saputo o potuto compiutamente interpretare. Per questo, ritengo che occorra avere grande pudore nel richiamarsi alla storia della DC e a tutto ciò che essa ha rappresentato per la democrazia italiana.
Se ne avverte la mancanza? Certo. Non è solo questione di nostalgia per i pochi (ormai) che quella storia hanno vissuto, nelle diverse anime plurali che la connotavano. È anche e sopratutto questione che rinvia all’inesistenza oggi di un “centro” sociale e politico non inteso come “equidistanza tattica” tra destra e sinistra, ma come fondamento sul quale possa basarsi una idea equilibrata, progressiva, inclusiva della democrazia. Un fondamento capace di interpretare il senso nobile della “politica”; una concezione alta delle istituzioni pubbliche; una visione che parta dal primato della persona, in una logica non individualistica, ma comunitaria e supportata da un ruolo centrale dei corpi intermedi; una idea solidale della società, contro ogni prevalenza delle pure dinamiche del mercato; una cifra di “moderazione” che non è “moderatismo” ma rispetto degli avversari, volontà di confronto, coscienza che il bene comune viene prima delle pur legittime contese per il potere. In due concetti, potremmo riassumere: umanesimo democratico e senso delle Istituzioni.
Il punto è che questa mancanza va colmata con progetti nuovi, coerenti con il tempo che oggi ci è dato di vivere; con linguaggi, paradigmi e visioni che non siano una patetica, minuscola ed irrispettosa brutta copia del “partito che fu”. La strada è tutta in salita ed è impegnativa. Richiede una nuova “connessione” con i mondi vitali, a loro volta - in primis il cosiddetto mondo cattolico - fortemente trasformati e spesso spiazzati dalle evoluzioni sociali degli ultimi decenni. È una ricerca, più che una rivendicazione, quella che si prospetta per chi voglia ancora ritrovare il “seme” di questa cultura politica.
Serve dunque un “senso della storia” per rapportarsi con ciò che la DC ha rappresentato, in Italia ed in Trentino. Per evitarci lo spettacolo delle reiterate e strampalate riproposizioni della sigla della DC basterebbe invece il “senso del pudore”. Oppure, ancor meglio, il “senso del ridicolo”.