Dal tribuno dei no vax che ''arringhia'' la folla, al Garante dei Minori che è ''garante dei timori'' e ai partiti in attesa di un ''oracolo'' (o un Manifesto) che li aiuti a far politica
“In questo sabato qualunque, un sabato italiano, il peggio sembra essere passato”. (Sergio Caputo, cantante, “Un sabato italiano”, 1998)
Il peggio sembra essere passato? Purtroppo no. La settimana negazionista ha tutti i giorni uguali. Ogni sabato Trento ha il suo tribuno. Ogni sabato si bruciano i neuroni: in piazza, per strada, in corteo. Il tribuno – un sindacalista - è orgogliosamente autonomo. Vanta la sua autonomia dalla verità, dal buonsenso e pure dal buon gusto. Ogni sabato lui “arringhia”. Ogni sabato i “no tutto” si gasano, alzano il tiro e sbagliano mira. Credono di puntare contro i nemici ma hanno sé stessi per bersaglio. Senza saperlo.
Applaudono il tribuno i no vax. Lo adorano i no green pass. È tutta gente che si sente forte di una robusta ma insana Costituzione. Della Carta ignorano il senso, la storia e le regole. E dunque la stropicciano. Andranno “diritti” a sbattere. Se ne accorgeranno – forse - quando le urla diventeranno per molti di loro un rantolo ospedaliero. Da “Boia chi molla” a “Quelli come noi non mollano mai”: non c’è qualcosa di già sentito? C’è di che preoccuparsi? Probabilmente sì ma senza farla troppo seria perché il nulla non produce nulla se non la perdita di fiato. Nel dubbio, però, sarebbe meglio vaccinarsi: dal Covid? Anche. Ma soprattutto ci vorrebbe una bella dose, con richiamo, terza e quarta puntura, di serietà.
Il cretino che manifesta col pigiama a righe dei deportati? Non c’è tempo da perdere in inutili ed impossibili interlocuzioni. In psichiatria ricoverano anche al sabato. Che poi per un siffatto ignorante ci sia una cura, beh questo non è detto. Una volta perduti i neuroni non tornano. Incurabile lui, il cretino. Incurabili, ancor più di lui - che è “già andato” - sono quelli che gli stanno a fianco senza dirgli niente. Per di più, ironia dell’assurdo, si danno pure appuntamento sotto Dante. E Dante si dispera. Il Sommo scrisse una Commedia sull’assenza di virtù e decenza. Si ritrova, dopo inutili secoli, circondato dall’indecenza.
Nessuno, onestamente, può pensare che, qui giunto, io possa d’un tratto mutare pensiero o convinzione politica o ideali, ma tutti hanno diritto di attendersi da me ciò che più conta.
Di essere cioè il supremo garante, il supremo moderatore, il supremo magistrato; ed il rimanere al di sopra e al di fuori di ogni parte e fazione ne è condizione essenziale e vitale.
(Oscar Luigi Scalfaro, nono presidente della Repubblica Italiana)
Lo hanno nominato “garante dei minori”. Nomina quasi unanime (meno uno): sinistra, destra, centro. Nessuno dunque si può permettere la recriminazione postuma. Per “io l’avevo detto” non c’è spazio. L’uomo esterna. Ed esternando su mascherine, green pass e vaccini, l’uomo parteggia per una scuola libera da costrizioni (sanitarie). Parteggia, come troppi, privilegiando l’umore alla competenza. Che quella invocata da Biasi sia una scuola libera anche di ammalarsi e di ammalare le famiglie? Forse gli sfugge il fatto che i giovani che soffrono le lezioni mascherate considerano una tortura mortale il ritorno allo studio a distanza. La distanza (chiamata dad) da ogni diritto a quella socialità che vale più di mille programmi scolastici.
C’è una ragione per maltrattare la scienza? No, non c’è. Forse il problema di Biasi sta in un mandato male interpretato. Quando gli hanno detto “fai il garante dei minori” deve aver capito fai “il garante dei timori”. E lui, diligentemente, agisce. Di conseguenza, ma senza equidistanza dai timori. Alcuni genitori gli scrivono liberaci (libera i nostri figli) dal male (della prevenzione anti Covid)”. E lui, il garante dei timori, riporta pubblicamente il lamento. Ma ci mette del suo. Ci mette i suoi dubbi sul vaccino così come fa chi un giorno si sveglia virologo, il giorno dopo medico e il giorno dopo ancora Ct della nazionale.
Biasi condanna pure quella stoffa che copre naso e bocca ma sbarra al virus - un poco almeno - la strada dei polmoni. Biasi non nasconde la sua opposizione al lasciapassare per il lavoro. Quel green pass che è stato istituito - non senza patemi - per non lasciare il campo del tutto aperto ad una contagiosa maledizione pandemica. Se Biasi si sente garante dei timori le sue uscite sono perfino legittime. Ma restano gravemente incoerenti. Se in tanti temono le misure sanitarie, “tanti alla settima” – al contrario - le condividono. Lo fanno rispettando le norme e rispettandosi. Temono, semmai, chi pretende la libertà di negare agli altri un respiro che non li infetti. Al garante dei timori non si può imporre il silenzio. Ma se la sua giustificazione per la scellerata intemerata sta nell’evidenziare il timore di pochi ci si aspetta che con lo stesso criterio amplifichi anche il maggioritario timore che l’autolesionismo vanifichi la lotta al virus. È il timore della maggioranza degli studenti, dei docenti, dei genitori, gli zii, i nonni e le nonne.
Biasi si dimetterà dopo le reazioni stupite di chi lo aveva frettolosamente osannato all’epoca della nomina? Boh. Chissà se Biasi sta a suo agio nell’immediata elezione a portavoce (involontario, si spera) della confusa galassia dei partigiani della libertà di ammalare e di ammalarsi. Un garante del minore dovrebbe lavorare – per attinenza linguistica – per il male minore. Volenti o nolenti il virus è il male maggiore. Tutto il resto, comprese le sofferenze dei divieti, è il male minore.
È proprio vero che fa bene
Un po' di partecipazione
Con cura piego le due schede
E guardo ancora la matita
Così perfetta e temperata
Io quasi quasi me la porto via
Democrazia. (Giorgio Gaber, Democrazia 1991)
Magari si rubassero la matita copiativa, quella elettorale. Per portarla via dalla cabina bisognerebbe presentarsi all’urna. Il che accade sempre meno. Si dubita che il Trentino della disaffezione sia poi tanto diverso dal resto dell’Italia che non partecipa più. Le elezioni, quelle provinciali, non sono dietro l’angolo ma nemmeno sono lontane. Per il tempo sbilenco della politica il 2023 ha la distanza di uno sputo. Si dovrebbe essere dunque almeno curiosi per tutto ciò che si propone – oggi e non tre giorni prima del voto - di smuovere, motivare, stimolare, coinvolgere. Si dovrebbe, si potrebbe, se non fosse che il “già visto” non attizza.
Un paleontologico “Campo base” sta allestendo le sue tende per ospitare tutto ciò che non è destra (a parole: troppo spesso le abitudini egoistiche o anacronistiche non hanno bandiera). Dal “campo base” partirebbe la scalata/rivincita progressista verso la vetta della Provincia. Un’affollata aggregazione di Ex si candida a coltivare un terreno di nuovo fruttuoso per il centro autonomista, vagamente (molto vagamente) di sinistra. “Ex” – diciamolo forte a scanso di equivoci demagogici - non è una parolaccia. L’anagrafe, poi, non può essere un limite se è vero che è chilometrica la distanza tra la statura di un Mattarella e quella dei troppi Renzi che clonano l’inarrivabile nulla dell’originale. A tutte le latitudini politiche.
Perché a leggere del “campo base” non scatta l’entusiasmo? Perché non elettrizzarsi del peana che al progetto hanno riservato subito i partiti, dal Pd della segretaria Maestri al Patt di chi non si sa? Perché non esaltarsi quando si registra il “si può fare” di qualche sindaco perennemente a scavalco tra lontananza dai partiti e dipendenza dai partiti, di esponenti singoli (il prezzemolo va bene in quasi tutte le pietanze) dei mondi culturali o imprenditoriali? Perché - si permetta il richiamo alle origini - “cca niusciun è fess”. Sarà pur vero che in matematica se cambia l’ordine degli addendi il prodotto non cambia, ma la politica (quella nobile che cercano vanamente anche a “Chi l’ha visto?”) non può essere solo matematica. Seppure ammantata d’altro. L’unione (anche quella furbetta degli antipodi) farà forse la forza elettorale ma resta debole, debolissima, nell’unica battaglia che conta vincere: quella valoriale.
Una battaglia nella quale il metodo è quanto mai sostanza. Una battaglia che oggi impone linguaggi diversi, diverse dinamiche aggregative, diversa creatività, diversa attitudine al rischio, diversa credibilità nel costruire e contaminare tra loro una pluralità di comunità. Una battaglia per far crescere rapporti utili molto prima delle elezioni ma ancor più utili dopo il voto. Ci sarà coraggio nel lasciare spazio e ruolo (prima o poi dal campo si passerà alle liste) ai non allineati e agli eretici del pensiero semplice in una società complessa? Si cercheranno ponti o trampolini? I soliti noti si accorgeranno mai degli ignoti che vivono il progressismo con passione ma non si appassionano agli organigrammi?
Fa ben sperare la presa di posizione di Lorenzo Dellai che con una lettera a il Dolomiti ha chiarito il suo ruolo e la mission del progetto dando grandi aperture ai quei giovani che ci sono ma hanno bisogno di una mano per ''uscire'' allo scoperto e bisogno di un consiglio per tarare il colpo ed essere, si spera, migliori dei loro padri. Anche perché se ad avanzare sarà solo un vecchio che si veste di nuovo il “deja vu” potrebbe materializzarsi nell’incubo di una auspicata ma mancata Fuga..tti dalla pessima amministrazione della cosa pubblica. Non succederà perché il governo dei peggiori ne ha toppate in tre anni così tante che non sarà un concerto di Vasco a farle dimenticare nei due anni a venire. Ma non nascondiamoci la realtà: di fronte ai peggiori non bastano i meno peggio, non ancora, non così. Questo barlume di ottimismo (sull’esito del voto nel 2023) è un magro conforto di fronte ad una politica che ogni cinque anni cucina la stessa minestra raccontando che è un piatto innovativo, da master- chef.
Occhio, non è un’offesa a chi ha proposto il Manifesto o a chi l'ha firmato. Il fatto è che sono giunti a noia i partiti che invece che dire ''grazie ma noi un'idea di società e di politica già ce l'abbiamo'' abbracciano gli ''oracoli'' che propongono loro una qualsiasi soluzione al loro immobilismo. In questa guerra (tra alleati) di posizionamento dove è già chiaro chi dovrà essere l'amico dell'altro, perché e per come dovrà esserlo, dove gli elettori (potenziali) sanno già da che parte stare è logorante vedere i partiti studiarsi, guardarsi in cagnesco attendere che sia il vicino a fare la prima mossa per paura di perdere quel briciolo di rendita conquistata in passato. Ben venga la società civile che propone alla politica un Manifesto. Ma a quando il manifesto della Politica?