Tra coronavirus, scuole in dad o in presenza, dati detti e altri celati: viviamo in bilico ma non possiamo essere marionette manovrate da altri
Amo raccontare frammenti di vita e tutto ciò che lascia un segno
In bilico. Non troviamo un punto di equilibrio. Forse non c'è. Forse è l'arte dell'equilibrismo che dovremmo imparare. O forse il rischio della scelta. Come dicono nell'ambito della ricerca: se la mia scala va da 1 a 3, sarò portato a scegliere la via di mezzo. Così potrò mantenere le contraddizioni del caso. E di questi tempi, le contraddizioni abbondano.
Un flash mi acceca: Trentino secondo per uso di pesticidi. Primato che si vuole eludere vantando quanto si sta facendo per un'agricoltura sostenibile. Conferma che della salute dei trentini, in primo luogo dei bambini ammalati, interessa poco a tutti. Insabbiare è più facile. Nascondere è più comodo. Nervi a posto, mi dico. Ma le persone che giocano con la salute della gente non le tollero. Ovunque siano.
Ascolto il Tg radio, mentre preparo la cena. Mi infastidisce sentire, tra i titoli, che Trump non sta usando più il suo elicottero. Non mi interessa. Mi viene spontaneo, invece, notare dove, Covid escluso, vanno le luci dei notiziari. O dove non vanno. Proviamo a confrontare Sicilia e Trentino. Due regioni a Statuto autonomo, che, seppur con risultati spesso diversi, mettono in gioco la propria facoltà decisionale. Sento un sottinteso: che, in definitiva, la provincia di Trento sia migliore della regione Sicilia. Sorrido. È un sorriso amaro. Forse è lo scarto tra il non dire ed il falsificare i dati, che ha portato alcuni politici siciliani alla ribalta dei telegiornali nazionali, mentre quelli trentini rimangono nella loro (relativa) tranquillità. Come sempre. L'intoccabile Trentino. Che, quando si accorgerà di ciò che ha tralasciato, sarà troppo tardi.
E poi, non ultima, nel vortice delle contraddizioni, c'è la scuola. Tanti insegnanti hanno iniziato quest'anno scolastico con l'idea di fare scuola all'aperto, ma sono stati frenati. Sono stati inondati da una burocrazia che, nel migliore dei casi, li ha stancati. Una burocrazia incapace di guardare in faccia la realtà ed i bisogni dei nostri ragazzi. E tu, docente, sei lì, invischiato, e cerchi di capire se quelle lezioni garantite in presenza hanno un senso, o se lo ha la Dad. E cerchi di prendere il buono che c'è.
Fare lezione in Dad mi ha emozionata. Ho visto per la prima volta tutti i miei alunni in viso. Mi hanno scaldato il cuore. Se torneremo a scuola, mi mancherà questo aspetto. Mi mancherà, forse, anche l'organizzazione più calibrata e la risposta più pronta. O quegli spazi di apprendimento autonomo che sono più difficili da trovare in classe. Come, nella scuola, mi manca la libertà di movimento e di espressione autentica. Come, tra gli amici, mi mancano gli abbracci. Ho sentito insegnanti. Ho parlato con genitori. Ho cercato di leggere come stanno i miei figli ed i miei alunni. Li vedo, anzi, ci vedo tutti ansiosi. Affannati, talvolta. Alla ricerca di stabilità, di quel posto dove fermarci. Di quel punto che, pur nella fatica, ci faccia stare bene.
Alla ricerca degli aggettivi che rendano "scuola" la "scuola". Alla ricerca dei nostri limiti da superare. E scopriamo, insieme, che non funziona tutto per opposti: scuola/non scuola, presenza/Dad, provax/no vax, bene/male. Ma scopriamo, anche, che non vogliamo vivere come marionette manovrate da altri. Che abbiamo bisogno di equilibrio. Che vorremmo osare. Che vogliamo un respiro profondo. Il nostro profondo, personale, autentico respiro.