Quei cinque youtuber e un omicidio stradale definito bravata, quel peso da insegnante, da genitore e da adulto: forse siamo noi a dover muovere il primo passo
Amo raccontare frammenti di vita e tutto ciò che lascia un segno
Sento un peso allo stomaco da quando è finita la scuola.
Vedo i miei ragazzi e le mie ragazze di ieri e di oggi. Vedo Carlo, che voleva diventare un grande calciatore. Vedo Sonia, che immaginava di girare il mondo e condividere i suoi video. Vedo Roberto, col sogno di diventare medico. E vedo chi sogni sembrava non averne. Vedo Laura e Gianni, che hanno gridato la loro richiesta d'aiuto. Vedo chi si è sollevato e chi si è perso. E vedo quei 5 youtuber. Eccolo il peso. È quello dell'insegnante che si interroga sulla scuola. Su quello che la scuola fa o non fa per rispondere al bisogno di stare al centro, o per vedere quei bisogni non espressi. Di quello che la scuola fa o non fa quando qualcuno allaga i bagni, scrive sui muri, va in giro come fosse al mare (ed invece è a scuola, ma in una scuola trasformata in spiaggia).
Questo è il peso dell'insegnante. Il peso di quando si molla. Eppure la scuola non dovrebbe mollare, l'insegnante non dovrebbe mollare. Ma succede. E quel senso del limite, quel rispetto che ti sembrava fossero così importanti, quei punti fermi del tuo essere insegnante, li trovi chiusi in un armadio, di cui hai perso le chiavi.
Ma i genitori le trovano, le chiavi del limite e del rispetto? Eccolo, di nuovo, il peso allo stomaco. Come in un film, scene passano davanti agli occhi. I miei genitori. Noi come genitori. Noi genitori con gli errori e gli scontri. Noi genitori che appoggiamo, che non riusciamo a dire no. Che non riusciamo a dare un limite, ad aiutare a percepire un confine. Quel confine che viene superato quando un omicidio stradale viene definito una bravata, quando un pericolo diventa una sfida, quando un'offesa viene ritenuta soltanto uno scherzo.
E qui c'è la terza parte del peso, quella dell'adulto. Che non interviene sull'autobus, che non dice niente se viene apostrofato malamente, che considera normale che milioni di persone seguano delle Challenge idiote, che si comporta come un ragazzino, che per paura o mancanza di forze si tappa gli occhi e va avanti. Forse, però, questo peso lo ha anche lui.
Forse siamo noi a dover muovere il primo passo. Forse sono io. Io insegnante. Io genitore. Io adulto. Forse sono io, che prima di aiutare a percepire un limite, devo ritrovare il mio. Non il limite che chiude, ma il limite che contiene e protegge. Forse, così, quel peso potrebbe diminuire. Forse quel peso grande, che non è diviso, ma è moltiplicato per tre, nella condivisione con altri adulti, genitori, insegnanti, potrebbe diminuire.