Il Covid mi esce fuori dalle orecchie e non ne posso più: ho il blocco della scrittrice, dell'insegnante, della donna, della mamma, della persona
Amo raccontare frammenti di vita e tutto ciò che lascia un segno
Credo di avere il blocco della scrittrice. O il blocco dell'insegnante. Oppure quello della donna. O della mamma. Oppure, semplicemente, della persona. Vorrei scrivere e non trovo parole belle. Mi impongo di non essere negativa, ma vedo davanti un muro. Il Covid mi esce fuori dalle orecchie e vorrei non entrasse più nella mia tastiera. Ci risiamo. Inevitabile, forse.
Vorrei scrivere altro. Vorrei raccontare storie belle. Ce ne saranno, certo, vorrei scovarle. Vorrei sperimentare che, davvero, dietro le nuvole splende sempre il sole. Non solo per me che mi posso ritenere mediamente fortunata. Ma anche per chi mi sta accanto, per chi conosce solo il mio nome e per chi ignora la mia esistenza. Forse, le troverò ancora, per tutti loro, le parole belle. Anche i racconti dei ragazzi e delle ragazze, a scuola, sono spesso macabri. Che siano le notizie, i videogiochi, o l'età, ci sono spesso particolari truci. Ma anche tante domande. Una: "Perché Liliana Segre dice di far parte dei 'salvi per caso'? E tu, insegnante, sei lì, a guardare i loro occhi e le loro mani, mentre lavoriamo per il giorno della memoria, ed uno di loro ti chiede la differenza tra memoria e ricordo. Credo dovrei ringraziarli, i miei alunni e le mie alunne, per tenermi sveglia. Per sollecitarmi sempre con i loro interrogativi, talvolta spiazzati, come: "Nel mondo ci sono tanti 'maschicidi'? ".
Non puoi non parlare della donna, a scuola. Del rispetto, dei diritti, delle società. E, a volte, sembra che siano le donne a doversi muovere per le donne. Per una sorta di femminismo o di appartenenza di genere. Niente di più sbagliato. Credo siano anche gli uomini, ad essere rimasti senza parole, o ad averne, di parole, ma percepire che non sono quelle giuste. Ed ecco che mi trovo gelata, arrabbiata, schifata. Da donna e da mamma. Da mamma che guarda il suo figlio maschio e spera che, quando sarà adulto, la violenza sulle donne sarà un ricordo, o che almeno, sarà meno dilagante e devastante. Magra consolazione. Bene le fiaccolate, bene gli aiuti, bene che il mondo politico (maschile e femminile) si interroghi. Ma come rompere quel muro? Quella sensazione di freddo che non passa? Del freddo del silenzio, del dolore, del tempo che non c'è più?
Ed in questo gioco di ruoli, tutto si mischia, confondendosi anche un po'. E prendiamo la scusa del Coronavirus. Che ci rende insicuri, tristi, ansiosi. Che non ci fa vivere la vita che vorremmo. Che persone saremmo, altrimenti? Che sguardo avremmo verso il futuro? Non ho la sfera magica. Non ho nemmeno le parole. Prendo in prestito un passaggio del leopardiano "Dialogo tra un venditore di almanacchi ed un passeggere", in cui passeggere e venditore si alternano.
- Non vi ricordate di nessun anno in particolare, che vi paresse felice?
- No in verità, illustrissimo.
- Epure la vita è una cosa bella. Non è vero?
- Cotesto si sa.
[... ]
- Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?