Quando a scuola incontrai Nedo Fiano, un sopravvissuto ai campi di sterminio
Iniziò urlando ordini in tedesco. Ci ammutolì. Rimanemmo raggelati da quelle urla spaventose. Lui le ascoltò appeno sceso ad Auschiwitz e poi Buchenwald e risuonarono nelle sue orecchie per tutta la sua prigionia. Un macigno per lui, per noi quasi uno schiaffo in faccia.
La sua matricola era la A5405. Il suo nome: Nedo Fiano.
Era una mattina di marzo del 1998 al Liceo classico Manzoni di Milano. Eravamo tutti eccitati dall’arrivo di Roberto Benigni ma il vero protagonista fu il racconto di un uomo tornato, sopravvissuto all’inferno cinicamente costruito da altri uomini, assassini feroci.
Non era ancora stato istituito il Giorno della memoria. Fu una coincidenza che in quel periodo uscì il capolavoro di Benigni “La vita è bella” e che uno dei consulenti fu proprio Nedo Fiano. Come studenti e studentesse chiedemmo alla scuola di invitarli e l’incontro riuscì.
Benigni ci invitò ad ascoltare Nedo con attenzione, quasi come fosse un sopravvissuto alle guerre puniche, ci disse. E Nedo raccontò il suo dolore nel dover lasciare la scuola e la tragedia immane nel salire insieme alla sua famiglia su quel treno perdere tutto in un attimo.
Tornò solo, un orfano di 19 anni e 37 kg ma con dignità e forza di volontà intatte. Ma il treno non lo prese per anni e solo il rumore lo face trasalire per decenni.
Studiò e raccontò. Un uomo, un ragazzo. L’essere ebreo segnò tutto il resto.
Ero una giovane studentessa ma già convinta di essere semplicemente una persona come tutte le altre e diversa da tutte le altre. Per me la diversità da sempre rappresenta uno stimolo a conoscere, capire e confrontarmi senza timori preconcetti o manie di fantomatiche supremazie culturali, territoriali o altro.
L’uguaglianza sta nei diritti, nella giustizia. Mai nel colore della pelle o nella nazione di provenienza.
È per questo motivo, ascoltando queste esperienze che ho maturato in me la consapevolezza di voler crescere come cittadina europea , figlia di un’Europa libera e in pace.
Sono antifascista proprio perché molti ragazzi non sono diventati aduli perché ammazzati per darmi la libertà di scrivere banalmente queste righe, di esprimere il mio pensiero, manifestare studiare e lavorare.
Sono libera di indignarmi e manifestare tutta la mia preoccupazione quando leggo quotidianamente di un ritorno prepotente e violento di associazioni, azioni, e parate nazi fasciste in Italia e in Europa e campagne elettorali che inneggiano all’odio razziale, nel 2018, ancora.
Sento però che molti di noi stanno perdendo gli anticorpi; quasi un perdonare a noi stessi di aver taciuto o aver girato le spalle ad avvenimenti che portano una matrice chiara, anzi nera! Fascismo, si chiama.
Non ha altri nomi e non è un termine del passato. Loro non hanno vergogna o il timore di fare riaffiorare una storia che non è poi così lontana. Una storia oscura ma scritta da uomini e donne che non hanno mai chiesto perdono.
La libertà non è scontata e non è per sempre se non la si difende ogni giorno e in ogni luogo. Continuerò a urlare nelle piazze la parola pace e spero che Nedo l’ascolti. Io ho ascoltato lui e non lo dimenticherò mai.
La memoria è un fardello pesante solo se sono deboli e poche le spalle che la portano.