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I bambini dimenticano più velocemente: le paure e le gioie dei profughi siriani accolti a Trento

Sebastiano Martinelli e Lara Zanoner sono due degli operatori che lavorano per i siriani a tempo pieno. Ci hanno raccontato tantissime cose che riempiranno due articoli, questo e il prossimo. Di seguito, potete leggere la nostra conversazione, una testimonianza di gioie e fatiche. Ma soprattutto, una testimonianza di ammirazione e amore per queste persone incredibili, che hanno attraversato la guerra e l’insicurezza più totale senza smettere di sorridere, lottare, amare i loro figli, sostenersi l’un l’altro e sperare nel futuro
DAL BLOG
Di Centro Astalli Trento - 12 June 2019

Per saperne di più su di noi, vienici a trovare nel nostro sito http://www.centroastallitrento.it/

di Angela Tognolini

 

Nei nostri ultimi articoli sui Corridoi Umanitari vogliamo portarvi le testimonianze degli operatori del Centro Astalli Trento che lavorano al fianco delle famiglie siriane arrivate dal Libano. Ma chi sono queste famiglie che accogliamo?

 

Nel 2016 sono arrivati in Trentino i primi profughi siriani, accolti da Fondazione Comunità di Solidale, con l’aiuto dell’Arcidiocesi di Trento. Erano una grande famiglia di tredici adulti e sedici bambini, mariti, mogli, madri, fratelli e sorelle. È invece dal 2017 che il Centro Astalli Trento ha accolto la sua prima coppia di siriani in arrivo dal Libano: due giovani sposi e i loro cinque figli. Nella gioia di essere in salvo in Italia, la coppia soffriva al pensiero del resto della famiglia rimasta in Libano.

 

Nessuno riusciva a dir loro se e quando i loro cari avrebbero potuto raggiungerli. Per una volta, la storia ha avuto un lieto fine e dopo soli sei mesi la madre, i due fratelli, la sorella e la cognata con una bimba neonata sono potuti partire da Tripoli alla volta di Trento. Quest’anno un’altra parte della famiglia ha potuto raggiungere quella già qui, una coppia con altri cinque bambini, altri profughi scampati alla guerra e alla fame e le malattie del Libano.

 

Al fianco delle famiglie siriane ci sono gli operatori del Centro Astalli Trento che lavorano sull’autonomia, l’insegnamento della lingua e sull’integrazione. Danno il loro contributo anche tantissimi volontari e amici che dedicano le loro energie con grande generosità, chi solo per qualche ora, chi con più continuità in base ai propri impegni.

 

Ho incontrato Sebastiano Martinelli e Lara Zanoner, due degli operatori che lavorano per i siriani a tempo pieno, e gli ho chiesto di raccontarmi qualcosa su di loro. Mi hanno raccontato tante di quelle cose che riempiranno due articoli, questo e il prossimo. Di seguito, potete leggere la nostra conversazione, una testimonianza di gioie e fatiche. Ma soprattutto, una testimonianza di ammirazione e amore per queste persone incredibili, che hanno attraversato la guerra e l’insicurezza più totale senza smettere di sorridere, lottare, amare i loro figli, sostenersi l’un l’altro e sperare nel futuro.

 

 

LA CHIACCHIERATA CON SEBASTIANO E LARA

 

Siamo intorno a un tavolo, beviamo il caffè e io ho chiesto a Lara e Sebastiano di raccontarmi dei rifugiati siriani con cui lavorano.

 

“Be’, per prime mi vengono in mente cose un po’ tristi” dice Sebastiano “quei momenti in cui traspare dai gesti e dalle parole qualcosa di quello che hanno passato. Per esempio, l’altro giorno siamo usciti da casa e in cielo c’erano le strisce lasciate da qualche aereo. Q. le ha guardate e poi mi ha detto che quando viveva in Siria aveva il terrore degli aeroplani, che portavano le bombe e la morte sulla città. Quando li vedeva, si nascondeva. Ha sorriso e ha detto che ora, in Italia, dice ai suoi bambini di salutarli. Ora gli aerei in cielo sono una cosa allegra, che non fa più paura”.

 

“Mi fai venire in mente di quando siamo andati in Questura per la prima volta” aggiunge Lara “abbiamo dovuto aspettare un po’, è normale, e sia M. che Q. erano tesissimi, muti. Si vedeva quanto li terrorizzava essere lì. In Siria, dopo lo scoppio della guerra, la polizia del dittatore fa il buono e il cattivo tempo. Arrestano la gente solo perché vive nel quartiere sbagliato, un quartiere in cui magari c’era una base ribelle, anche se le persone in questione non hanno mai sostenuto la ribellione. I siriani hanno imparato a temere la propria polizia. Anche i bambini erano nervosi, ancora non sapevano parlare italiano ma ci guardavano e facevano il segno delle manette, con i polsi incrociati davanti alla faccia.”

“E allora, che avete fatto?” chiedo.

Sebastiano scuote il capo: “Allora non era facile comunicare, ho solo cercato di fargli capire che eravamo in un luogo sicuro e che non sarebbe capitato nulla di male. Di trasmettere un po’ della mia tranquillità, data dal fatto che io sono italiano e per me andare in Questura a sbrigare delle pratiche non significa che non so se tornerò a casa, o se sarò gettato in carcere senza spiegazioni. Ma sono timori che ci mettono del tempo ad andarsene via dalla testa”.

 

“Prendi S., per esempio” dice Lara “lei ha una bimba piccola, è una giovane sposa. Per questo, noi operatori abbiamo pensato che le avrebbe fatto bene avere qualche momento per sé, uscire per qualche ora da casa, ecco. E continuavamo a proporle delle attività che pensavamo potessero piacerle, come per esempio del volontariato in sartoria, o incontri di conoscenza con altre mamme… E lei tutte le volte ci chiedeva se poteva andare con qualche altro membro della famiglia, oppure semplicemente diceva di no. Ci abbiamo messo tanto tempo a capire qual era il problema. Non è che non volesse fare quelle cose. È che aveva paura di uscire da sola. Ha visto persone a lei care, in Siria, uscire per qualche commissione e non tornare più. Alcune hanno avuto incidenti o sono state arrestate. Altre, semplicemente, sono scomparse. Così, senza una spiegazione.”

 

“S. ha imparato che uscire da soli è pericoloso” continua Sebastiano “ha vissuto così per anni, in quella situazione di guerra e anarchia totale. Adesso non è facile realizzare che si è in Italia, che qui la vita non è così rischiosa. Anche se lo sai razionalmente, il tuo istinto continua a dirti il contrario.”

 

“I bambini dimenticano più velocemente, per gli adulti il processo è più lungo” riflette Lara “M. e Q., che sono qui da più tempo, cominciano a sentirsi a casa e si rilassano. Le paure del passato si sciolgono almeno un po’. Poi arriva una famiglia nuova e tutto ricomincia da capo.”

 

Sinceramente, penso io, non so come facciano, a lavarsi via almeno una parte delle ferite subite in tutti quegli anni tremendi. La resilienza, la forza di queste persone mi ha sempre lasciata senza parole. Certo, qui hanno chi li aiuta. Gli operatori, noi volontari e gli amici facciamo quello che possiamo per stargli accanto. Ma la strada, il percorso verso una nuova vita, è tutto loro. Non possiamo che camminare al loro fianco e guardarli con meraviglia.

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