Un padre morto all'improvviso, un'amicizia maschile e le montagne, dal nome femminile
Il mio comodino è un'instabile pila di libri, e in questo blog proverò a condividere alcune delle letture più belle che mi accompagnano.
Qualche giorno fa dalla redazione de Il Dolomiti mi è arrivato un messaggio un po’ provocatorio: “Non dirmi che non hai letto niente in queste vacanze!”. Colta in fallo. In realtà quest’ultimo mese è stato dedicato molto alla poesia e alla letteratura per l’infanzia, due mie grandi passioni che, credo, hanno molto in comune.
Ma il romanzo che mi ha conquistata, a tal punto che ho regalato la mia copia prima ancora di averlo finito per poi ricomprarne una nuova per me, è Le otto montagne di Paolo Cognetti. Ormai è un libro dell’anno scorso, plurirecensito, salito nelle
classifiche, in via di pubblicazione in 30 paesi; per me vale comunque la pena parlarne, ché nella fretta dell’anno che inizia vanno salvate le cose belle che rischiano di essere travolte dalla furia della fine. Le otto montagne è senz’altro una di queste.
Un libro al maschile, che si muove intorno a relazioni tra uomini; quella tra un padre e un figlio, e quella tra questo figlio, che prima è bambino e poi diventa uomo, e il suo amico d’infanzia ritrovato in età adulta. Sullo sfondo, le montagne, luogo da cui si parte e luogo in cui tornare. Le montagne del libro di Cognetti sono molto di più che l’ambientazione di questa storia: diventano quasi la cartina tornasole della crescita e dello sviluppo dei personaggi. Nella relazione con i monti, nel suo evolvere con l’età, si riflette il cambiamento di Pietro: bambino che sgambetta dietro al padre sui sentieri durante le estati in villeggiatura, adolescente e giovane adulto che si ritira nella vita metropolitana e infine uomo, che torna ai piedi del Monte Rosa e scopre, senza volerlo, un sé nuovo.
E' lì che inevitabilmente il protagonista si trova a fare i conti con il bambino che è stato, con i ricordi, con un padre morto all'improvviso lasciando dietro di sé un'eredità tutta da esplorare. E grazie all'eredità fisica, reale, una piccola baita diroccata sugli alpeggi che circondano il paese di Grana, Pietro recupera un'eredità che è la figura stessa del padre.
Lo riscopre ripercorrendone le tracce, scoprendo le sue vecchie mappe con tracciati i sentieri percorsi insieme al figlio, quelli percorsi da solo e quelli percorsi con Bruno, che su quelle montagne è nato e ci è rimasto. C'è, in questa scoperta che segna una svolta narrativa importante all'interno del libro, tutto lo sgomento dell'adulto che per la prima volta vede il padre come uomo. Ed è lì, forse, che inizia la riscoperta del padre, che si approfondisce nella relazione con l'amico ritrovato.
Pietro e Bruno, compagni di scorribande nei boschi, si ritrovano e decidono di ricostruire la casa diroccata lasciata in eredità. Sasso dopo sasso, si costruisce quest'amicizia maschile grazie alla quale anche il padre che non c'è più riprende forma e sostanza. E sullo sfondo, ma mai sullo sfondo, le montagne; che chiedono fatica, perseveranza, costanza. A volte rigide, spesso esigenti, le montagne che hanno un nome femminile sono in questo profondo, intenso romanzo la rappresentazione più autentica di un archetipo maschile finalmente ritrovato.