Dalla vita degli operai 'condannati a morte' dall'amianto alla Resistenza, l'autore Stefano Valenti in Trentino per un laboratorio di scrittura
Il mio comodino è un'instabile pila di libri, e in questo blog proverò a condividere alcune delle letture più belle che mi accompagnano.
Con il suo 'La fabbrica del Panico', edito da Feltrinelli, ha vinto il premio Campiello opera prima nel 2014. Nel 2016 ha pubblicato, sempre per Feltrinelli, 'Rosso nella notte bianca', vincitore del premio Volponi. Stiamo parlando di Stefano Valenti: scrittore, traduttore, docente in alcune delle scuole di scrittura più 'In' del momento: Holden, Mohole e Belleville.
Grazie a un'iniziativa della Piccola Libreria di Levico tra giugno e luglio sarà in Trentino per condurre un laboratorio di scrittura in tre incontri: il 24 giugno, il 2 luglio e il 15 luglio (Per informazioni e iscrizioni sul corso: lapiccolalibreria@gmail.com).
Valenti è uno scrittore impegnato, che sceglie di raccontare il reale nelle sue pieghe più nascoste e poco narrate: il primo libro è un romanzo sulla fabbrica e sulla vita degli operai 'condannati a morte' dall'amianto nella Breda dove il padre dell'autore ha lavorato per lunghi anni per poi morire a sua volta di mesotelioma.
Nel secondo romanzo la Resistenza rivive come antefatto, psicologico e storico, di un delitto che si consuma negli anni '90, all'eclissi dell'ideologia comunista. L'opera di Valente parte sempre da un'analisi attenta e diretta della storia orale, delle testimonianze di chi la storia ha vissuto.
Il primo libro che hai scritto, 'La fabbrica del panico', è intriso di aspetti autobiografici. L'autobiografia è stata l’occasione per far nascere il romanzo. Nell'ultima opera questo aspetto autobiografico è scomparso. Non era più necessario?
L’opera prima di un autore tende a essere autobiografica. Molte delle pratiche sedimentate nella propria vita chiedono di essere liberate. Ne 'La fabbrica del panico', per esempio, si tratta di autofiction, biografia di finzione, nella quale sono presenti elementi autobiografici ed elementi del reale ben mescolati dove narro la mia storia, la storia di mio padre, operaio e poi pittore, ma anche quella degli operai del reparto aste della Breda fucine che in quel reparto hanno trovato la morte.
L’ultimo romanzo, 'Rosso nella notte bianca', è invece un vero e proprio romanzo di fiction. Il mio approccio al testo è in ogni caso caratterizzato da un metodo unico, la ricerca documentaria e testuale che definisce il mio approccio alla rappresentazione del mondo. La documentazione dapprima e l’attivismo culturale poi sono parte integrante del progetto.
I tuoi romanzi partono da una urgenza di raccontare il reale. Quali sono le tue fonti e come lavori quando inizi a pensare a un tuo libro?
Esiste la convinzione che gli autori siano coloro che hanno un talento innato per la pratica delle arti. Non è così. Questa convinzione nasce da un antico retaggio romantico per il quale tutto si può insegnare tranne il talento. Nell’affermarlo ci si dimentica che non può esistere talento senza educazione al talento, senza formazione al talento. Per quanto mi riguarda ho imparato a scrivere attraverso la pratica della traduzione letteraria. Dieci anni per trecentosessantacinque giorni all’anno per dodici ore al giorno a tradurre libri cercando la migliore risoluzione possibile a ogni singolo intralcio narrativo. Poi ho cominciato a scrivere e grazie all’esercizio la stesura è fluita senza fatica. La fatica l’ho messa tutta nelle altre due fasi necessarie a produrre un romanzo, la progettazione e la revisione, molto più importanti della stesura per raggiungere un buon risultato finale.
La mia narrativa si nutre della grande tradizione italiana del racconto civile che prende vigore con Verga e arriva a noi attraverso il neorealismo e la letteratura industriale e nasce innanzitutto dalla ricerca delle fonti, vale a dire dal tema del racconto, dalla ricerca di testi e autori necessari a quel tema, dallo studio di questi testi e di questi autori e poi, soltanto una volta esaurita la fase di ricerca, dalla scrittura vera e propria. E infine dalla revisione del testo, o meglio dalle revisioni del testo, decine e decine di revisioni fin quando il testo diventa perfetto, fin quando nemmeno una virgola può più essere spostata.
Alla luce di questo tuo modo di lavorare come strutturi i tuoi corsi e in particolare cosa farai fare agli allievi del corso alla piccola libreria?
I laboratori, che tengo alla Mohole, alla Naba di Milano e alla Holden di Torino, senza dimenticare quelle librerie interessate a questo genere di attività, sono strutturati in modo da traghettare l’allievo oltre il panico da pagina bianca, con minima teoria e molta pratica.
L'allievo si deve concentrate nello scrivere fin dal primo incontro, dando così libero corso agli strumenti con cui farlo, come la revisione collettiva dei testi, vero e proprio momento di crescita e formazione. Nessun allievo è mai uscito da questi laboratori senza avere costruito un progetto narrativo e avergli dato corpo.
Qual è il ruolo dello scrittore oggi, per te?
L’autore di narrativa ha, a mio parere, un potere da utilizzare a buon fine per scardinare il racconto consumistico. Credo nel potere di rivelazione e verità della finzione, credo che il suo potere taumaturgico non sia ancora esaurito. Credo nel ruolo civile della narrativa, in una narrativa che diventi veicolo di conoscenza e riconoscimento e che favorisca la contaminazione dell’atto narrativo con quello dell’attivismo culturale. E constato che in questa direzione la narrativa ha ricominciato a trovare dignità di forme oltre che di contenuti.