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''Perfetti sconosciuti'' un'opera da standing ovation e la mia domanda a Paolo Calabresi fermato dopo lo spettacolo

DAL BLOG
Di Barbara Mastronardi - 10 April 2024

 Ribelle quanto basta amo gli animali e in particolare i gatti. Inseguo sempre i miei sogni come quello di scrivere e da sempre racconto storie spesso e volentieri di mici e micie.

Non è che io mi sia comportata diversamente dal solito, perché per certi versi non sono mai cresciuta. In questo caso ho dimostrato veramente che l'adolescente che in me regna sovrana, ha avuto la meglio. Mi sono appostata come se avessi quindici anni o giù di lì sul retro del teatro Sociale, per aspettare gli attori e fargli una sola domanda, alla quale poi, in realtà ha risposto uno solo perché gli altri erano già fuggiti. E lo ha fatto Paolo Calabresi, uno dei protagonisti di "Perfetti sconosciuti," che il medesimo regista del famosissimo omonimo film (chi non lo ricorda?) ha deciso di ripetere in versione teatrale, prima volta nella sua carriera.

 

Gli ho chiesto un'unica cosa, che mi interessava soprattutto a livello personale, visto che mia figlia ha intrapreso la carriera di attrice di teatro, ed questo momento sta studiando alla Inda di Siracusa. Che cosa si prova, quali sono i sentimenti e le sensazioni che passano nell'anima di un attore reduce da un'ovazione a cielo aperto come quella appena successa in teatro? Lui così mi ha risposto: in primis la coscienza di aver fatto bene il proprio lavoro, perché per loro di questo si tratta, anche se nell'immaginario collettivo il loro mestiere è qualcosa di magico (almeno nel mio) ed in secondo luogo aver comunicato, aver lasciato qualcosa nelle anime degli spettatori.

 

E questa risposta mi è davvero piaciuta perché le persone che si sono letteralmente spellate le mani a furia di applaudire, hanno assistito ad un modo di fare teatro egregio e coinvolgente. Il dogma assoluto dell'attore teatrale, è quello di non recitare. La dote precipua di un grande teatrante è la naturalezza. Non è sempre stato così, se così si può dire, l'origine di questo modo di approcciarsi alla scena è nella metà del '700, quando in un teatro di Londra va in scena un Riccardo III , molto particolare, inconsueto.

 

Le convenzioni teatrali dell'epoca cominciano a vacillare ed il giorno dopo il Daily Post osanna questo giovanissimo attore, David Garrick. “Quel giovanotto è senza uguali e non avrà mai rivali”, scrive il poeta Alexander Pope. La sua recitazione è semplice, ben lontana dalla declamazione solenne e pomposa del teatro tragico dell'epoca. Una nuova era è cominciata. Ed a questo proposito, a chi non è capitato andando a teatro di pensare quanto è enfatico e finto il modo di recitare? Gli applausi roboanti fatti agli attori di "Perfetti sconosciuti ", in particolare , hanno celebrato proprio questo, la loro genuinità.

 

L' estrema coesione amicale degli attori, la naturale schiettezza con cui le battute venivano scambiate, la spontaneità persino del modo di muoversi, hanno portato noi nel palcoscenico e viceversa. Il gioco delle parti, la verità che salta fuori sconcertando i loro animi diventa reale, senza forzature o artificiosità. Quanto mai traspare quanto la scatola nera, il cellulare amato e odiato nello stesso tempo, scandisca le nostre vite e nello stesso tempo ci induca alla falsità e al raggiro, quanto aiuti la parte peggiore di noi a nascondersi, nel gioco quotidiano delle parti. E questo è reso veramente bene, quasi meglio che nella versione cinematografica.

 

Paolo Calabresi, Astrid Meloni, Dino Abbrescia, Anna Ferzetti, Marco Bonini, Alice Bertini e Massimo De Lorenzo sono stati fantastici. Tanto di cappello ed inchino.

 

Una brillante metafora sulla vita, sull'amicizia, sull'amore, condita sulla consapevolezza che ormai la nostra vita privata, che una volta era solo nelle nostre menti, oggi è inglobata in quest'oggetto tanto controverso, del quale quasi nessuno di noi ormai può fare a meno, la sottoscritta compresa. "Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta"

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