Musica e cultura a Trento? Il Comune diventi un "facilitatore"
Mi chiamo Stefano Bannò ma alcuni mi conoscono come Anansi. Sono un musicista e mi piace scrivere. Ho lavorato con molti artisti italiani e sono sopravvissuto a un Festival di Sanremo...
Quando hai vent’anni da Trento vuoi solo scappare. Arrivi all’esame di maturità stanco dei soliti orari, della solita routine, dei soliti posti, delle solite facce. Hai voglia di cambiare il mondo o di spaccarlo. Parti e non sai se o quando tornerai. È capitato a me, che proprio a vent’anni da un giorno all’altro mi sono trovato sballottato sui palchi di tutta Italia, di mezza Europa e di mezzo mondo o al mio amico Alberto, che da anni gira i paesi mitteleuropei per conto di un’azienda di abbigliamento sportivo, o a Giovanni, che per un po’ ha fatto la spola tra Francoforte sul Meno e New York, o a Bruno, che ha fatto il lavapiatti a Melbourne e l’aiuto-cuoco a Perth, sempre accompagnato dalla sua chitarra Cole Clark, o a tanti altri giovani della mia città.
Alcuni tornano a casa per festeggiare le feste comandate con i parenti e gli amici per poi ripartire, altri tornano per restare. Come me, almeno per il momento. Hai imparato due lingue straniere e svariati mestieri, ma al tuo ritorno il posto in cui vivi parla un linguaggio oscuro e segue delle dinamiche incomprensibili. Volevi cambiare il mondo ma ti sei dimenticato di cominciare a farlo a partire dalla tua città. Qualcuno allora getta la spugna e se ne va, qualcuno incassa e ingoia il rospo, qualcun altro invece cerca di ritagliarsi uno spazio per ricominciare daccapo. È la storia del sottoscritto e di altri musicisti trentini, che in una freddissima serata di novembre di quattro anni fa si trovarono davanti a una birra al bar Picaro per parlare della situazione musicale in città. Da quella chiacchierata nacque un collettivo informale chiamato I Know A Place. “Conosco un posto”. Un posto da cui si potesse ripartire, in cui si potesse fare musica e cultura. Questo posto era la strada, il nostro palcoscenico il marciapiede, il nostro pubblico la gente. Identificammo alcune aree messe a disposizione dal Comune, fino ad allora praticamente inutilizzate perché troppo periferiche e scarsamente frequentate, e cominciammo a farle rivivere con le nostre parole e le nostre note, rispettando sempre il regolamento acustico, cosa per niente facile in una città come Trento che in certi casi è persino in grado di minacciare di prendere te e la tua musica a pallettoni.
Come presi da una sorta di sindrome di Stoccolma, iniziammo a scorgere delle opportunità e dei trampolini di lancio proprio nei limiti e nei divieti, al punto di arrivare addirittura a concepire e realizzare un concerto live in streaming a costo di rispettare la legge. E se in materia musicale la legge talvolta non è stata formulata, interpretata e applicata in modo chiaro, la stessa ambiguità è stata ed è tuttora il segno distintivo della classe politica cittadina, a cui ci appellammo in occasione delle ultime elezioni comunali. Dopo un dibattito pubblico molto seguito ed elogiato dalla stampa locale, ce ne tornammo a casa con le pive nel sacco insieme a un mare di promesse mai mantenute. D’altronde, come si poteva esigere limpidezza da una forza politica che prima apre un locale come il Café de la Paix, poi ne impone la chiusura per il rumore e infine ne utilizza gli spazi per la campagna elettorale? Come pretendere comprensione da parte di una coalizione il cui slogan preferito nell’ambito della pubblica sicurezza era che “i criminali devono andare in galera”, di fatto non dicendo nulla che non fosse già noto dalla teorizzazione dello stato di diritto qualche secolo fa?
Diversi mesi dopo le elezioni, I Know A Place fu invitato a partecipare a una sessione della Commissione Cultura del Comune. Intravedemmo un barlume di speranza immediatamente distrutto dai “si potrebbe fare” attendisti della maggioranza e dall’intervento di un consigliere dell’opposizione che “siccome Trento è una città medievale (Trento è una città romana, NdR), i generi musicali devono adeguarsi alla sua storia”. Ci eravamo proposti come interlocutori, ma il loro era un monologo. Lo stesso monologo che tempo fa si è arrogato il diritto di decidere di quanti musicisti poteva essere composta la tua band in un concerto all’aperto, lo stesso monologo che più di recente ha fissato alle 02:00 il limite orario dell’unica Notte Bianca in città, lo stesso monologo che ha proibito l’organizzazione di eventi musicali nell’unico parco cittadino con un palco stabile. Eppure Trento è piena di possibili interlocutori: i locali che propongono musica live sono sempre di più, ma assolvono il loro compito con molta fatica e vengono coinvolti in uno spazio di confronto con gli enti pubblici il più delle volte solo se possono fungere da antagonisti o esempi negativi da associare al cosiddetto degrado di alcune zone della città.
Lo staff di H-demia, probabilmente il più piccolo bar di Trento a livello di metratura - che purtroppo a breve sarà costretto a serrare i battenti e, nella migliore delle ipotesi, a traslocare - è riuscito a organizzare in modo inversamente proporzionale Owl Festival, il più grande festival musicale della città, invitando band di calibro internazionale come i Mellow Mood e i Gogol Bordello ed è un ottimo esempio di come l’imprenditoria musicale trentina funzioni bene quando è chiamata a mettersi in gioco. E potrebbe funzionare ancora meglio, se venisse facilitata dall’amministrazione locale, che a sua volta trarrebbe grande giovamento dal circolo virtuoso che si verrebbe a creare in termini economici, politici e sociali. Ecco, “facilitare” dovrebbe essere la parola d’ordine per gli enti pubblici locali. Facilitare e deregolamentare. Facilitare e lasciare maggiore libertà d’iniziativa ai lavoratori dello spettacolo, anziché ostacolarli o, al contrario, farne arrogantemente le veci. Facilitare e responsabilizzare cittadini come me, Alberto, Giovanni, Bruno e tanti altri che vorrebbero darsi da fare per rendere la nostra città un posto migliore.
Trento è candidata a Città della Cultura 2018 e anche noi non vediamo l’ora di fare la nostra parte.