La diva e la donna tra danza e teatro, dall'infanzia senza identità all'immortalità, la storia di Maria Callas
Per la Stagione InDanza/Bolzano del Centro servizi culturali S. Chiara, mercoledì 30 gennaio, è andato in scena al Teatro comunale di Bolzano lo spettacolo “Callas” di Reinhild Hoffmann, eseguito dal Ballet du Grand Théâtre de Genève.
Riportare una vita intera sul palcoscenico è una sfida delicata, impegnativa, intrisa di sfumature umane e biografiche. Anna Maria Cecilia Sophia Kalos, New York 2-3-4 dicembre 1923. Non ci sono fonti certe sulla data della sua nascita. La futura diva del bel canto non merita di essere registrata all’anagrafe: i genitori desiderano un maschio.
A cinque anni viene investita da un’auto e si risveglia dal coma dopo ventidue giorni. La sorella prende lezioni private di canto, Maria invece ascolta in silenzio da dietro la porta. Da un’infanzia senza identità, Maria Callas diventa una leggenda.
La sua voce amplificata in teatro riesce ancora e sempre ad emozionare, lasciandola protagonista a fianco della danza che la fa rivivere delicatamente, senza alcuna presunzione.
Nel 1983 la coreografa Reinhild Hoffmann, precorritrice del Tanztheatre, scrive i passi e le sequenze di un racconto che a più di trent’anni di distanza riesce ad emozionare annullando qualsiasi distanza temporale. La coreografa tedesca porta sulla scena le allegorie tipiche del movimento artistico di cui fa parte, nato nella Germania nel 1970, sulla scia dell’espressionismo degli anni Trenta.
Ogni gesto ed ogni movimento sono in tensione verso una drammatizzazione totale ed enfatizzata dell’unione tra le arti. Danza e teatro si fondono attraverso un linguaggio libero e dinamico, sacrificando la parte tipicamente intesa come “balletto”, a favore di un racconto emozionale affidato ad espressioni, sguardi, scenografie, costumi e spettacolarità.
Il Ballet du Grand Théâtre de Genève, che ha recentemente acquisito lo spettacolo “Callas” nel suo repertorio, ha saputo convincere e dimostrare la versatilità dei propri ballerini. L’alternanza di assoli, passi a due e coreografie corali ne hanno evidenziato le abilità di danzatori e attori.
La coreografia di Hoffmann prevede infatti un’immersione totale degli artisti nella vita pubblica e privata della protagonista. I sei quadri proposti si susseguono sulla scena in un alternarsi di celebrità e riservatezza, uniti tra loro dalle registrazioni originali della Soprano.
L’omaggio musicale spazia dalla passionalità di Bizet, fino a risvegliare le liriche sognanti di Gluck e Donizetti. Mentre la voce di Maria Callas regna sovrana come protagonista indiscussa, sul palco si mette in scena un vero e proprio teatro. Il teatro è infatti il mondo in cui la Diva nasce, fiorisce e viene osannata. Il teatro è anche la gabbia d’oro entro cui l’esistenza di Callas risuona e quella di Maria soffoca.
Il dualismo imperterrito che regna sul palco è quello rappresentato da un dialogo continuo tra immortalità e mortalità, tra l’essere qualcuno e l’essere una donna come tutte le altre, in cerca di un amore vero e disinteressato. Il dramma di essere in bilico tra due vite è il tema costante del balletto di Hoffmann. Maria e Callas come unità divisibile, scissa tra quello che gli altri vogliono da lei e la semplicità dei suoi sogni.
Da una parte gli abiti delle eroine portate in scena sul palcoscenico, in cui lei cerca qualcosa di sé stessa, con il disperato tentativo di rispecchiare la sua essenza. Dall’altra una donna violata e trattata come oggetto di bellezza, successo e sensualità. Lo sfruttamento della sua fama e del suo corpo invadono infatti la quinta scena che contrasta con la fragilità della voce registrata durante un’esibizione per la soprano Florence Foster Jenkins, famosa per la sua completa mancanza di doti canore.
Ed è questo momento di grande forza drammatica, in cui sembra trapelare la disperazione di un mancato riconoscimento per i veri talenti, che porta Callas a ritrovare e ricercare disperatamente la Maria bambina, che gioca leggera su un’altalena nel quadro finale. Come in ogni sogno, come in ogni favola, l’anelito della fanciullezza spensierata che si alterna tra i sogni e i timori, dondolandosi avanti e indietro, sporgendosi verso il futuro e ritraendosi per la paura.
Il pubblico entusiasta ha respirato la sensazione di una presenza immortale sul palcoscenico, richiamata da uno spettacolo che seppur lontano dalle avanguardie della danza contemporanea, ha saputo riaccendere l’affetto, la stima e la reverenza nei confronti della più grande voce di tutti i tempi.
In alcuni sguardi anelava un senso di tristezza per non aver saputo amare non solo La Diva, ma anche la Donna forte e fragile che il 16 settembre 1977 è morta in solitudine nel suo appartamento parigino.
A fine spettacolo la prima neve dell’anno ha ricoperto le strade della città con il suo silenzio, lasciando spazio ancora per un pò alla voce (ri)ascoltata in Teatro.