Istinto e follia, fusione tra suono acustico ed elettronico, Dionysos Rising incanta Sanbapolis
Oper.A. 20.21 riporta l’uomo agli istinti ancestrali per cui non si muore, ma si rinasce. La Fondazione Haydn di Bolzano e Trento all’interno della stagione operistica diretta da Matthias Lošek, sabato 19 e domenica 20 gennaio ha offerto al teatro Sanbapolis di Trento la prima assoluta di Dionysos Rising, composta da Roberto David Rusconi, artist in residence 2019 della Fondazione, con la regia di Michael Scheidl.
Osservando gli sguardi e i gesti degli spettatori incuriositi di fronte al mistero di una prima esecuzione mondiale, la sensazione è immediata. Noi siamo le mille facce di Dioniso. Ne veniamo travolti, assorbiti, incantati, liberati e attanagliati.
Dionysos Rising porta in scena le necessità primordiali che il terzo millennio sembra avere dimenticato e che ricompaiono in maniera folle, esagerata e a tratti maniacale. La clinica psichiatrica ricostruita sulla scena non è altro che il mondo reale in cui si raccolgono gli istinti, le violazioni e le pulsioni vitali che l’uomo ha insite in sé fin dai tempi più antichi.
Telete e Samele sono donne lacerate dalla perdita e dall’abbandono. La prima, figlia non voluta e abbandonata dal padre, la seconda donna violata e madre senza figlio. Ampelos è vittima di sé stesso, della sua megalomania e di un amore che lo spinge oltre i suoi limiti. La sua morte non sarà vana, ma una metamorfosi verso la liberazione.
Dioniso è il quarto paziente della clinica, allucinato e dissociato. A differenza degli altri, non è in grado di manifestare i suoi sentimenti, di piangere o di impazzire. In balia delle figure che ruotano intorno a lui ne è in realtà la causa, l’essenza e il principio generatore. Il suo apparente vuoto emotivo riemerge nei tre personaggi che condividono con lui la scena e ne esaltano le sfaccettature.
Ma sono i danzatori (Luan De Lima, Britt Kamper-Nielssen, Evandro Pedroni e Juliette Rahon), inizialmente infermieri della clinica, che nell’apoteosi conclusiva si traducono nelle quattro personalità simbolo del Dioniso greco. La loro comparsa catartica libera i personaggi dai fantasmi di cui sono prigionieri con un rito primordiale che riporta l’uomo nella continua ciclicità della vita.
Di forte impatto emotivo sono le coreografie affidate a Claire Lefèvrel, che uniscono cantanti e ballerini in movimenti che spaziano dalle danze tipiche della Grecia a veri e propri turbini espressivi e liberatori.
L’opera di Rusconi convince e conquista per i suoi costanti richiami alla profondità simbolica della letteratura greca offrendo allo spettatore un’esperienza operistica contemporanea, ma con un forte legame al teatro classico.
Il libretto di Dionysos Rising si ispira alle vicende trattate nelle “Dionisiache” di Nonno di Panopoli, del quinto secolo d.C.. I versi scelti con cura nella traduzione di Dario Del Corno, trafiggono costantemente, facendo trapelare però la speranza di rinascita sprigionatasi nella scena finale.
Alcune scelte registiche risultano invece discutibili, ferme ad un’idea di pazzia clinica evidenziata in modo eccessivo ed ossessivo, trattando invece tematiche vicinissime alla nostra epoca. Le distanze con il pubblico sono annullate a livello spaziale e sonoro, grazie ad una fusione tra suono acustico ed elettronico che avvolge la platea a trecentosessanta gradi.
La riproduzione in surround sound che Rusconi eredita dalle sue esperienze lavorative londinesi, pur essendo ancora una novità per lo spettacolo dal vivo italiano, si rivela vicinissima agli effetti acustici immersivi del cinema e dei paesaggi sonori a cui tutti noi ora siamo abituati.
Gli input musicali spaziano da temi atonali a polifonie ricercate, per distendersi nelle sonorità più classiche della scena finale, risaltando con linee melodiche drammatiche e insinuose le ottime prestazioni vocali dei quattro protagonisti: Zachary Wilson (Dioniso), Ray Chenez (Ampelos), Da-yung Cho (Telete) e Anna Quadrátová (Semele).
L’Orchestra Haydn, pur confermando la sua bravura ed ecletticità, ha suonato in un dietro le quinte che non ne ha valorizzato l’indispensabile presenza, a discapito di un più ampio coinvolgimento. Precisa e attenta è stata la direzione di Timothy Redmond, nella ricerca di un magistrale intreccio tra suono acustico e registrazioni elettroniche. Dionysos Rising è stato accolto dal pubblico con successo, come opera che si tuffa nella contemporaneità partendo da una radice classica storico-musicale che rassicura e ne permette un ritorno costante in cui ogni singolo spettatore può ritrovarsi.