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Si può rifiutare l'invito del Padre ad un banchetto regale?

Con la lettura della cosiddetta “Parabola delle nozze regali”, la Chiesa cattolica conclude questa domenica il ciclo delle tre parabole di rottura. Gesù è ancora nel Tempio di Gerusalemme, sta discutendo con sacerdoti ed anziani e la frattura fra lui e l'autorità teocratica si consuma completamente
DAL BLOG
Di Alessandro Anderle - 14 ottobre 2017

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

Con la lettura tratta dal vangelo secondo Matteo della cosiddetta “Parabola delle nozze regali”, la Chiesa cattolica conclude questa domenica il ciclo delle tre parabole di rottura. Gesù è ancora nel Tempio di Gerusalemme, sta discutendo con sacerdoti ed anziani – i quali lo stavano accusando per l'autorità con cui insegnava e risanava (togliendo i peccati) – e la frattura fra lui e l'autorità teocratica si consuma completamente.

 

Il testo che ci è stato tramandato, tuttavia, presenta delle aggiunte successive, ma prima di addentrarci in esso, è bene ri-leggerlo:

 

Mt 22,1-14    In quel tempo 1 Gesù riprese a parlare con parabole e disse: 2 «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. 3 Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. 4 Mandò di nuovo altri servi con quest'ordine: «Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!».

 

5 Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; 6 altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. 7 Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. 8 Poi disse ai suoi servi: «La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; 9 andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze».

 

10 Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. 11 Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l'abito nuziale.

 

12 Gli disse: «Amico, come mai sei entrato qui senza l'abito nuziale?». Quello ammutolì. 13 Allora il re ordinò ai servi: «Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti». 14 Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».

 

Come accennato poco sopra, gli studiosi oggi sono inclini ad attribuire anche questa parabola alla persona di Gesù, ma non tutta (una certa discontinuità narrativa sarà balzata agli occhi ad un lettore sufficientemente attento).

 

«La seconda parte della parabola (vv. 11-14) appare un'aggiunta parenetica» (A. Poppi). Le aggiunte parenetiche – frequenti nel Nuovo Testamento – altro non sono che delle esortazioni aggiunte, appunto, in un secondo momento, e spesso il fine dell'esortazione è di carattere ecclesiale. Per questo motivo la seconda parte della parabola non può essere attribuita direttamente a Gesù, ma alla tradizione di una specifica comunità ecclesiale – la comunità di Matteo, come noto, si confrontava direttamente con il mondo giudaico (a differenza degli altri evangelisti).

 

Anche nel vangelo secondo Luca – e questo ci dice che Matteo e Luca hanno attinto da una stessa fonte, più antica dei rispettivi vangeli – si trova la stessa parabola, ma i termini sono diversi.

 

Secondo gli studiosi, la Parabola della grande cena (Lc 14,15-24) è più aderente all'insegnamento originale di Gesù. Vale la pena dargli uno sguardo:

 

«15 Uno dei commensali, avendo udito ciò, gli disse: Beato chi mangerà il pane nel regno di Dio!. 16 Gesù rispose: Un uomo diede una grande cena e fece molti inviti. 17 All'ora della cena, mandò il suo servo a dire agli invitati: Venite, è pronto.

 

18 Ma tutti, all'unanimità, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comprato un campo e devo andare a vederlo; ti prego, considerami giustificato. 19 Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e vado a provarli; ti prego, considerami giustificato.

 

20 Un altro disse: Ho preso moglie e perciò non posso venire. 21 Al suo ritorno il servo riferì tutto questo al padrone. Allora il padrone di casa, irritato, disse al servo: Esci subito per le piazze e per le vie della città e conduci qui poveri, storpi, ciechi e zoppi.

 

22 Il servo disse: Signore, è stato fatto come hai ordinato, ma c'è ancora posto. 23 Il padrone allora disse al servo: Esci per le strade e lungo le siepi, spingili a entrare, perché la mia casa si riempia. 24 Perché vi dico: Nessuno di quegli uomini che erano stati invitati assaggerà la mia cena».

 

La parabola lucana, come quella matteana, prima di tutto esprime la dimensione di un tempo, kairos in greco, che non ha nulla a che fare con chronos, con il tempo cronologico, misurabile e utilizzato essenzialmente a fini economici.

 

Kairos è il tempo opportuno, il tempo da cogliere “in tempo”, il tempo di lasciare una vita rivolta agli idoli – sotto qualsiasi forma essi si presentino: dal denaro all'ego, dal feticismo al nichilismo – per partecipare ad un banchetto. Gesù qui ci mostra che, secondo la sua autocoscienza (e la rielaborazione della tradizione), la sua vita sulla terra, i suoi insegnamenti, hanno cambiato qualcosa, hanno “aperto” una nuova dimensione temporale.

 

Tutti sono invitati al banchetto e la casa del Padre non ha posti limitati, né riservati. Basta, semplicemente, volerci andare e, di conseguenza, plasmare la propria esistenza come fosse non la preparazione, ma il banchetto stesso.

 

Il «sì» al Padre apre il tempo del kairos qui e ora, si è perennemente invitati, tutti, a questo banchetto, ma non sempre si riesce a dire, semplicemente, «eccomi!». Il banchetto non è la ricompensa da riceversi in un non meglio definito al-di-là, ma è il modo di esistere di un cristiano nel qui-e-ora: perennemente chiamato a condividere l'amore del Padre, a sedere a tavola con tutti: «poveri, storpi, ciechi e zoppi».

 

L'amore di Dio non ha confini – sicuramente non li protegge recitando il rosario - l'unico confine lo può porre l'uomo con il suo «no», il suo rifiuto. Un rifiuto che viene posto più difficilmente da chi ha visto il male prodotto dal deterioramento delle relazioni umane, per questo – come abbiamo letto qualche domenica fa - «In verità io vi dico che i pubblici peccatori e le prostitute vi precedono nel Regno di Dio».

 

E se pubblicani e peccatori ci precedono, che dire di un minorenne disabile lasciato morire in un parco pubblico?

 

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