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Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni

La scorsa domenica è stata letta, dal vangelo secondo Luca, la narrazione della nascita di Giovanni il Battista, per la celebrazione cattolica del suo dies natalis a questo mondo. In questa domenica si riprende la lettura del vangelo secondo Marco, il vangelo del presente anno liturgico
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Di Alessandro Anderle - 01 luglio 2018

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

Mc 5,21-43 [In quel tempo] Essendo Gesù passato di nuovo in barca all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.

 

Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.

 

E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: «Chi mi ha toccato?»». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».

Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.

 

La scorsa domenica è stata letta, dal vangelo secondo Luca, la narrazione della nascita di Giovanni il Battista, per la celebrazione cattolica del suo dies natalis a questo mondo. In questa domenica si riprende la lettura del vangelo secondo Marco, il vangelo del presente anno liturgico.

 

Il brano letto è composto da due azioni di guarigione del corpo operate da Gesù, il cui significato risulta squisitamente teologico. Come risulta facilmente comprensibile, i due “miracoli” risultano fortemente legati fra loro: sia dalla simbologia numerica – i dodici anni di perdite della donna e i dodici anni di vita della giovane -, sia per il fatto che i soggetti siano entrambe donne. Giairo – che significa JHWH illumina – è il responsabile della liturgia di una sinagoga e, con il suo dolore, contribuisce ad acuire la tensione narrativa. Il sangue, nella cultura ebraica, è un elemento principale: esso, infatti, è la sede della vita stessa – per questo il divieto di mangiare la carne con il suo sangue, la sua vita -, il cui unico fondamento è Dio. Gran parte delle norme di purità del popolo d'Israele dipendono direttamente da esso:

 

«Ognuno di noi è nato nel sangue che fluisce dall’utero della madre e ognuno di noi muore quando il suo sangue non scorre più. Ecco dunque, al riguardo, la Legge e le leggi: il sangue che esce da una donna nel mestruo o alla nascita di un figlio la rende impura, così come ognuno quando muore entra nella condizione di impurità, perché preda della corruzione del proprio corpo. Il sangue rende impuri, rende indegni, e questa per una donna è una schiavitù impostale dalla sua condizione secondo la Legge, dunque – dicono gli uomini religiosi – da Dio. La donna impura per il mestruo o per la gravidanza non toccherà cose sante, non entrerà nel tempio (nel Santo) e per purificarsi dovrà offrire un sacrificio; anche chi toccherà una donna impura sarà reso impuro (cf. Lv 12,1-8; 15,19-30), impuro come un lebbroso e chi lo tocca, impuro come un morto e chi lo tocca. Di qui ecco barriere, muri, separazioni innalzati tra persona e persona, ecco l’imposizione dell’esclusione e dell’emarginazione. Certo, “a fin di bene”, per evitare il contagio, per instaurare un regime di immunitas: ma al prezzo della creazione di uno steccato e dell’indegnità-impurità posta come sigillo su alcune persone! Anche le misure di precauzione finiscono per diventare una condanna…» (E. Bianchi).

 

Gesù non si preoccupa di se stesso, poiché l'essere toccato da impurità rende a sua volta impura la persona toccata. Egli vede la sofferenza e la rovescia, facendo scaturire da questo rovesciamento vita nuova, una vera e propria rinascita per la persona. Certo, i racconti dei due miracoli – forse, soprattutto, il secondo – lasciano quantomeno perplesso il lettore contemporaneo. Eppure, il significato esistenziale per il cristiano dovrebbe essere più forte. Gesù mostra degli atteggiamenti molto chiari: non si ferma davanti alle stigmatizzazioni sociali e opera semplicemente il bene per l'altro. Gesù non è un mago – in questo senso è interessante notare come le parole pronunciate alla figlia di Giairo non siano un'oscura formula magica come i guaritori erano soliti usare al tempo (e, forse, ancora oggi), ma delle semplici parole in aramaico, la lingua che tutti potevano comprendere attorno a lui (Marco le traduce in greco, la lingua del Nuovo Testamento, per renderle altrettanto comprensibili). Gesù - per i cristiani la manifestazione, l'incarnazione, dell'Amore di Dio – mostra che le parole del Cantico dei cantici sono autentiche, le invera nella sua persona. «Perché forte come la morte è l'amore» (Ct 8,6).

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