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Non è Dio che governa

«Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». I fanatismi hanno spesso tentato di capovolgere queste parole, e questa verità. Quando ci riescono, non si allontanano solamente da Dio, ma violentano la condizione stessa dell'essere umano
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Di Alessandro Anderle - 21 ottobre 2017

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

Terminata la lettura delle cosiddette tre parabole di rottura, che Gesù pronunciò di fronte ai sacerdoti e agli anziani, Matteo – seguendo nuovamente il testo del vangelo secondo Marco – riporta il blocco delle quattro “controversie” che videro altri interlocutori coinvolti. La prima – la lettura di questa domenica – è ben nota: “Il tributo a Cesare”.

 

Mt 22,15-21    In quel tempo 15 i farisei tennero consiglio per vedere come cogliere in fallo Gesù nei suoi discorsi. 16 Mandarono dunque da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. 17 Dunque, di' a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?». 18 Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché volete mettermi alla prova? 19 Mostratemi la moneta del tributo». Ed essi gli presentarono un denaro. 20 Egli domandò loro: «Questa immagine e l'iscrizione, di chi sono?». 21 Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio».

 

I nuovi interlocutori di Gesù sono i discepoli dei farisei e degli erodiani, due “fazioni” che la storia ha visto ben poche volte andare a braccetto: «tale collusione si ripeté al tempo di Erode Agrippa I (tra il 41-44 d.C.), il quale fece uccidere l'apostolo Giacomo e imprigionare Pietro per compiacere i giudei (At 12,1-5» (A. Poppi). Lo scopo di questa prima forma di collusione era dunque specificatamente quella di trarre in inganno Gesù, per farlo arrestare.

 

Porre la domanda sul tributo a Gesù rappresentava un tranello – da ipocriti lo definirà Gesù stesso. Ma perché? Come è noto, il dominio straniero, romano, era ben lungi dall'essere accettato dai giudei, i quali erano in attesa di un Re-Messia che, con la forza, avrebbe potuto liberarli.

 

Dall'altra, i romani non avevano nessuna intenzione di abdicare al dominio sulla Palestina. Secondo il pensiero, ipocrita, dei provocatori, Gesù avrebbe dovuto schierarsi con una di queste due parti e quindi, a seconda del caso, perdere credibilità come Messia agli occhi del popolo, oppure schierarsi contro Cesare ed essere arrestato.

 

È esattamente il modo di Gesù di rispondere a questa domanda che spiazza gli interlocutori, anche questo episodio avrebbe potuto rappresentare una “tentazione” per lui – come la rappresenta per qualsiasi essere umano oggi. Non sarebbe costata molta fatica al Maestro aizzare il popolo contro gli erodiani, richiedere agli astanti un tributo all'idolatria di se stesso.

 

I parallelismi con altre figure storiche, ma anche contemporanee, che usarono le persone per ottenere un'autolegittimazione di stampo politico, sono innumerevoli. Con una piccola “aggravante” nel caso di Gesù a carico di farisei ed erodiani, poiché «dal racconto emerge che egli non aveva con sé denaro; invece, i suoi oppositori non si erano fatti scrupolo di entrare nel recinto del tempio, dove avvenne il confronto, portando monete con l'effige dell'imperatore, ciò che era severamente proibito dalla Legge [mosaica] (Es 20,4)» (A. Poppi).

 

Qui Gesù marca nettamente la differenza fra la sfera politica e quella religiosa, non ponendole sullo stesso piano, quindi negando ogni “necessità” di conflitto fra di esse. La laicità dello Stato – traslando un concetto contemporaneo e lontano dalla mentalità del tempo di Gesù – viene qui in qualche modo postulata da Cristo, attraverso questa specifica distinzione dei piani. E questo con buona pace dei cristiani che, nei secoli successivi e fino ad oggi, tentano di capovolgere gli insegnamenti di Gesù.

 

Come scrive Enzo Bianchi: «Dicendo: “Restituite a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”, Gesù si tiene lontano da una politicizzazione di Dio così come da una sacralizzazione del potere politico. Cesare non è né Dio né divino, come invece indicava l’iscrizione sulla moneta: “Tiberio Cesare figlio del divino Augusto, Augusto”; nello stesso tempo, Dio non può prendere il posto di Cesare attraverso l’istituzione religiosa. Saremmo di fronte a due forme di idolatria che sconfessano l’autentica signoria di Dio, offendendola o pervertendola».

 

Certamente Gesù, evitando l'insidiosa domanda, evidenzia il primato assoluto di Dio su ogni forma di autorità temporale, ma questo primato, appunto, è da ritenersi valido sopra qualsiasi forma di potere temporale. Che esso sia democratico, oligarchico oppure teocratico, la forma conta poco.

 

I fanatismi hanno spesso tentato di capovolgere queste parole, e questa verità. Quando ci riescono, non si allontanano solamente da Dio, ma violentano la condizione stessa dell'essere umano.

 

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