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L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: ''Va' a Sìloe e làvati''. La guarigione del nato cieco

Per i cristiani la Pasqua del Signore si avvicina, assieme alla sua “buona novella” - una “buona notizia” di cui, in questo momento, se ne percepisce fortemente il bisogno - alla rivelazione della Risurrezione, dell'Amore che è più forte della morte. Il brano che ci viene proposto oggi è ancora tratto dal quarto vangelo (Giovanni) e riporta il cosiddetto episodio del “cieco nato”. Il testo è abbastanza lungo, cercheremo di commentarne le parti principali
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Di Alessandro Anderle - 21 marzo 2020

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

Gv 9,1-41 [In quel tempo] Gesù passando, vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?". Rispose Gesù: "Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo". Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe" - che significa Inviato.

 

Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: "Non è lui quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?". Alcuni dicevano: "È lui"; altri dicevano: "No, ma è uno che gli assomiglia". Ed egli diceva: "Sono io". Allora gli domandarono: "In che modo ti sono stati aperti gli occhi?". Egli rispose: "L'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: 'Va' a Sìloe e làvati'. Io sono andato, mi sono lavato e ho acquistato la vista".

 

Gli dissero: "Dov'è costui?". Rispose: "Non lo so". Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: "Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo". Allora alcuni dei farisei dicevano: "Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato". Altri invece dicevano: "Come può un peccatore compiere segni di questo genere?". E c'era dissenso tra loro.

 

Allora dissero di nuovo al cieco: "Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?". Egli rispose: "È un profeta". Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco e che avesse acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista. E li interrogarono: "È questo il vostro figlio, che voi dite essere nato cieco? Come mai ora ci vede?". I genitori di lui risposero: "Sappiamo che questo è nostro figlio e che è nato cieco; ma come ora ci veda non lo sappiamo, e chi gli abbia aperto gli occhi, noi non lo sappiamo. Chiedetelo a lui: ha l'età, parlerà lui di sé". Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga.

 

Per questo i suoi genitori dissero: "Ha l'età: chiedetelo a lui". Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: "Da' gloria a Dio. Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore". Quello rispose: "Se sia un peccatore, non lo so. Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo". Allora gli dissero: "Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?". Rispose loro: "Ve l'ho già detto e non avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?". Lo insultarono e dissero: "Suo discepolo sei tu. Noi siamo discepoli di Mosè. Noi sappiamo che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia".

 

Rispose loro quell'uomo: "Proprio questo stupisce: che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi. Sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma che, se uno onora Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta. Da che mondo è mondo, non si è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato. Se costui non venisse da Dio, non avrebbe potuto far nulla". Gli replicarono: "Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?". E lo cacciarono fuori. Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: "Tu, credi nel Figlio dell'uomo?". Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?". Gli disse Gesù: "Lo hai visto: è colui che parla con te". Ed egli disse: "Credo, Signore". E si prostrò dinanzi a lui. Gesù allora disse:"È per un giudizio che io sono venuto in questo mondo, perché coloro che non vedono, vedano e quelli che vedono, diventino ciechi". Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: "Siamo ciechi anche noi?". Gesù rispose loro: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: "Noi vediamo", il vostro peccato rimane".

 

Per i cristiani la Pasqua del Signore si avvicina, assieme alla sua “buona novella” - una “buona notizia” di cui, in questo momento, se ne percepisce fortemente il bisogno - alla rivelazione della Risurrezione, dell'Amore che è più forte della morte. Il brano che ci viene proposto oggi è ancora tratto dal quarto vangelo (Giovanni) e riporta il cosiddetto episodio del “cieco nato”. Il testo è abbastanza lungo, cercheremo di commentarne le parti principali.

 

In prima istanza si noterà la domanda, che alle orecchie di un contemporaneo appare scarsa di significato, dei discepoli a Gesù riguardo l'origine “peccaminosa” della malattia. Nella cultura giudaica, e quindi anche nella cultura biblica, la malattia era sempre sintomo e sinonimo di peccato: il giusto castigo inflitto da Dio al peccatore. Gesù smentisce categoricamente questa visione, affermando che quella malattia avrebbe altresì manifestato le opere di Dio. Certo, quest'ultima affermazione, in questo momento, risulta imperscrutabile, forse ostica. Non entreremo nel “mistero”, eppure è proprio questo momento a suggerirci una riflessione: quanto la situazione attuale è fonte di interrogativi riguardo l'autenticità della propria vita, della propria persona, delle relazioni che viviamo, della propria vita spirituale? Cosa ci sta portando a vedere, sentire, questo frangente?

 

Il racconto prosegue: Gesù compie un'azione “taumaturgica”, il ragazzo segue le Sue istruzioni e si trova nel bel mezzo di un interrogatorio – sembra paradossale che la notizia di una guarigione sia, in realtà, fonte di problemi per il ragazzo, piuttosto che di gioia. Qui si può notare un'altra dimensione essenziale per la fede: quella basata sull'esperienza. La fede non scaturisce da una serie di parole, per quanto buone possano essere, non nasce nemmeno dai dogmi, per quanto veri possano essere. La fede nasce da un'esperienza, più precisamente da un'esperienza caratterizzata dal fatto di essere riuscita a far cambiare prospettiva a chi l'abbia vissuta, di essere riuscita a far andare la persona al di là del suo normale modo di vedere, di intendere le cose.

 

Ebbene, il ragazzo nato cieco poté provare sulla propria pelle quel tipo di esperienza, e solo allora fu in grado di dire: "Credo, Signore!". Colui che nacque cieco, riacquistò la vista in due accezioni: quella chiaramente fisica, e quella spirituale, poiché quest'esperienza lo portò ad un cambiamento, ad una rinascita. Coloro che, invece, si ostinarono ad accusare il ragazzo, a calunniare Gesù, mostrarono esattamente in questo modo di essere fisicamente vedenti, ma spiritualmente ciechi.

 

Forse, ed il condizionale è d'obbligo, l'esperienza che tutti stiamo vivendo in questi giorni può assumere un significato profondo per la persona e per l'umanità, e lo può fare a condizione che essa diventi motore e fonte di un rinnovamento, di una rinascita che sappia venire ad una luce nuova attraverso cui vedere.

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