Le parole di Gesù invitano a riflettere profondamente sul significato dell'accoglienza: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato"
Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,
In questa domenica si conclude la lettura di un lungo discorso di Gesù rivolto a coloro che si incamminano sulla sua via. Come per le parti lette precedentemente, anche queste potrebbero risultare ostiche per il lettore contemporaneo, lontane dalla nostra cultura e – forse soprattutto – sepolte sotto impenetrabili strati tanto di clericalismo che di anticlericalismo.
L'invito, come sempre, è quello di ri-tornare alla parola, di mettersi in ascolto della Parola e, in essa, di percepire il Vivente nello Spirito.
Mt 10,37-42 [In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:] «37 Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me; 38 chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. 39 Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà. 40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41 Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42 Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d'acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
Quanto accennato nella premessa, sembra emergere già con un po' più di chiarezza dai primi versetti: spesso, una cultura sedimentata, diventa come una lente monofocale. Qui, infatti, sembra che Gesù chieda ai suoi discepoli di non amare (padre, madre, fratello o sorella che sia) per una sorta di, se così si può dire, gelosia nei loro confronti. Come se Gesù chiedesse di amare passionalmente solo e soltanto lui. In realtà le cose stanno in una maniera un poco differente.
Gesù chiede alle persone che desiderino vivere nella sua via un'adesione sì totale, ma in termini completamente esistenziali. Chi segue Gesù, ancor prima di avere fede, deve cercare spiritualmente di vivere nella fede, che diventa punto gravitazionale dei tanti aspetti e delle tante sfaccettature di cui è composto l'individuo.
Il versetto seguente usa l'immagine appropriata, quella della croce che, ancor prima di diventare araldo e simbolo, manifesta al discepolo fino a dove e fino a quando deve arrivare la sua adesione esistenziale. Gesù dice che si deve essere disposti a morire proprio per amare il prossimo che, essenzialmente, è come me.
Anche dal punto di vista metaforico è necessario morire alla propria vita, perché percorrere questa via è rinascita spirituale. E per rinascere nella via della fede bisogna disporsi a perdere tutto: mettere tutte le proprie sicurezze in discussione – quale simbolo migliore di quello della famiglia? - per lasciarsi toccare dalla (nuova) Vita.
Questo “sfondo”, quest'orizzonte deve essere seguito sopra ogni altra cosa, in questo senso «chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me».
Gli ultimi tre versetti invitano all'accoglienza dei missionari, come normale conseguenza della decisione di camminare nella fede. È molto suggestivo – e diretto – il parallelo nel vangelo secondo Marco, il quale lo fa seguire direttamente ad una disputa avvenuta poco prima fra i discepoli riguardo chi fosse il più grande:
«E sedutosi, chiamò i Dodici e dice loro: “Se qualcuno vuole essere primo, sarà ultimo di tutti e servitore di tutti”. E preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: ”Chi accoglierà uno di tali bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me ma colui che mi ha mandato”» (Mc 9,35-37).
Qui le parole risuonano chiare, parole volte all'accoglienza. Sono così chiare che una cattiva interpretazione sembra dover presupporre, a livello logico, almeno la malafede. E credo che nel nostro tempo la parola “accoglienza”, tanto alla ribalta nella cronaca politica – se così può essere chiamata, possa essere uno dei termini più paradigmatici per misurare la malafede, e le cattive coscienze. Saperle misurare senza, per altro, giudicarle.