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La Santissima Trinità, la “pietra d'inciampo” nella comprensione della fede che però può diventare "pietra angolare"

Dio è Padre, Gesù il Figlio. Ma che cosa significa, dal punto di vista trinitario, teologico, la figliolanza di Gesù? Come può, un dogma percepito – quando e se viene percepito – come lontano dalla mentalità dell'uomo contemporaneo, l'uomo economico, dire, dirci ancora qualche cosa oggi? E cosa?
DAL BLOG
Di Alessandro Anderle - 10 giugno 2017

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

Nella prima domenica dopo la Pentecoste, la Chiesa cattolica – sola fra le chiese cristiane, celebra la solennità della Santissima Trinità. In verità, in ogni momento liturgico la Chiesa fa memoria dell'essere uno e trino di Dio, ma in questa domenica si è optato per l'istituzione ufficiale di una solennità di carattere teologico-dogmatico.

 

Com'è noto, questa risulta essere una delle – mi si passi il termine - “pietre d'inciampo” nella comprensione della nostra fede. La quale, magnificamente, ci insegna che le pietre d'inciampo, inutili e pericolose, da un'altra prospettiva – quella umana – e da qualcun altro – il Dio Unitrino – vengono apprezzate come preziosissime pietre angolari, su cui poggia, saldamente, l'intero edificio.

 

Come può, un dogma percepito – quando e se viene percepito – come lontano dalla mentalità dell'uomo contemporaneo, l'uomo economico, dire, dirci ancora qualche cosa oggi? E cosa?

 

Prima di abbozzare una risposta alla domanda, torniamo al testo, alla Parola. La lettura di questa settimana è tratta dal vangelo secondo Giovanni, capitolo 3 i versetti 16, 17, 18. Si preferisce, per completezza, riportare interamente la prima parte di questo capitolo, tradotta da A. Poppi, mettendo in evidenza i versetti specifici.

 

Gv 3,1-21

 

1 Ora, c'era un uomo tra i farisei, che (aveva) nome Nicodemo, un capo dei giudei. 2 Questi andò da lui di notte e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da parte di Dio (come) maestro; nessuno infatti può fare questi segni che fai tu, se Dio non è con lui». 3 Rispose Gesù e gli disse: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». 4 Gli dice Nicodemo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel ventre di sua madre e (ri)nascere?». 5 Rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito non può entrare nel Regno di Dio. 6 Ciò che è nato dalla carne è carne, e ciò che è nato dallo Spirito è spirito. 7 Non meravigliarti poiché ti ho detto: bisogna che voi nasciate dall'alto. 8 Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene e dove va. Così è dunque chi è nato dallo Spirito». 9 Rispose Nicodemo e disse: «Come possono avvenire queste cose?». 10 Rispose Gesù e gli disse: «Tu sei il maestro d'Israele e non conosci queste cose? 11 In verità, in verità ti dico che (noi) parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo visto, e (voi) non accogliete la nostra testimonianza. 12 Se vi ho detto le cose terrene e non credete, come crederete se vi dico le cose celesti? 13 E nessuno è salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'Uomo. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'Uomo, 15 affinchè chiunque crede in lui abbia la vita eterna. 16 Infatti, Dio amò tanto il mondo che diede il suo Figlio, l'Unigenito, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia la vita eterna. 17 Perché Dio non mandò il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. 18 Chi crede in lui non viene giudicato; ma chi non crede è già stato giudicato, poiché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio. 19 Ora, il giudizio è questo, che la luce è venuta nel mondo e gli uomini amarono più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. 20 Chiunque infatti compie cose cattive, odia la luce e non viene verso la luce, perché non siano riprovate le sue opere; 21 ma chi fa la verità viene verso la luce, perché siano manifeste le sue opere, poiché sono state operate in Dio».

 

Per chi scrive, questa è forse una delle parti più belle e dense di significato antropologico dell'intera Scrittura. Dio è Padre, Gesù il Figlio. Ma che cosa significa, dal punto di vista trinitario, teologico, la figliolanza di Gesù? Seguiamo il giovane teologo professore J. Ratzinger (Introduzione al cristianesimo):

 

«La figliolanza divina di Gesù, secondo la fede ecclesiale, non poggia sul fatto che Gesù non abbia alcun padre terreno; la dottrina della divinità di Gesù non verrebbe intaccata qualora Gesù fosse nato da un normale matrimonio umano. Infatti, la figliolanza divina, di cui parla la fede, non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell'eternità di Dio: Dio è sempre Padre, Figlio e Spirito; il concepimento di Gesù non significa che nasce un nuovo Dio-Figlio, ma che Dio, in quanto Figlio nell'uomo-Gesù, attrae a sé la creatura uomo tanto da essere lui stesso uomo».

 

Gesù è Dio, è misericordia di luce che cammina in mezzo all'oscurità. Lo Spirito in ebraico è ruah, femminile, come la stessa misericordia, rahamim in ebraico, viene tratta da una radice il cui primo significato sono “le viscere”, in particolare “l'utero”: «L'idea che il Figlio sia eternamente generato dal grembo materno del Padre perde la sua singolarità quando si riconosce in Gesù stesso questa misericordia divina che fluisce nella sua vita» (J. Moltmann).

 

La parola/dabar, il Figlio, quando assume completamente su di sé l'umanità, fa entrare realmente la danza, la pericoresis trinitaria, nella storia dell'uomo. Un'entrata alla quale Dio non si è sottratto, anzi, ha donato completamente il Figlio, se stesso, sulla Croce.

 

Per la Croce «Dio concilia questo mondo contrastato soffrendo egli stesso la contraddizione, non contraddicendo la contraddizione stessa, emettendo cioè un giudizio. Egli 'elabora' il dolore del suo amore per trasformarlo in espiazione per i peccatori. In tal modo Dio diventa il Dio dei peccatori […]» (J. Moltmann).

 

L'incarnazione rappresenta, per la divinità Unitrina, il suggello di un'Alleanza e il darsi tutto affinché quest'Alleanza possa arrivare a compimento. La communio, l'essere tutto in tutti, l'essere, semplicemente, traboccante di vita alla fonte della parola/dabar, è il compimento di quest'Alleanza.

 

In altre parole e dalla prospettiva divina: «Dio non “decide” a partire dal suo essere perfetto di entrare nel divenire e di portare in essere la storia, […] ma piuttosto egli è già in se stesso e da sempre storia […] e lo è come libero donatore ed accettatore; egli non decide di iniziare un dialogo di amore, bensì egli è tale dialogo» (G. Greshake).

 

Trattandosi di un'Alleanza, all'uomo è sempre dato di rifiutare, ed allo Spirito di convertire i cuori. L'azione costante dello Spirito, la circolazione della parola/dabar e dello Spirito, fanno rinascere il logos umano ferito, portandolo a nuova vita, portandoci a vita nuova.

 

E ciò è possibile proprio perché la parola/dabar viva e vivente di Dio si è fatta carne aprendosi alla pienezza relazionale – e, quindi, responsoriale – con l'adam, la creatura a sua immagine. Anche la dimensione corporea riacquista qui il suo profondo significato teologico: «Se il corpo umano non è imago Dei/immagine di Dio, come potrà diventare 'tempio dello Spirito Santo', come dice Paolo in 1Cor 6 (J. Moltmann).

 

D. Bonhoeffer, nelle sue meditazioni prima di venire giustiziato, descrive molto bene in quale prospettiva vada interpretata questa dimensione della fede:

«Dio si lascia espellere dal mondo sulla croce, è debole e impotente nel mondo e appunto solo così ci è vicino e ci aiuta. In Mt 8,17 è chiarissimo che Cristo ci aiuta non perché è onnipotente, ma in forza della sua debolezza, della sua sofferenza! Sta qui la differenza decisiva rispetto a tutte le religioni. La religiosità umana rinvia l'uomo nella sua tribolazione alla potenza di Dio nel mondo, Dio è il deus ex machina. La Bibbia, invece, ci rinvia all'impotenza e alla sofferenza di Dio; solo un Dio che patisce può aiutare. Potremo quindi dire che l'evoluzione descritta di un mondo che diventa maggiorenne, con la quale si spazza via una falsa idea di Dio, apre lo sguardo verso il Dio della Bibbia, che ottiene potenza e spazio nel mondo attraverso la propria impotenza» (Resistenza e resa).

 

Anche in questo caso, le conseguenze fondamentali sono due, dipendentemente dalla prospettiva ermeneutica. Se, infatti, da una parte vi è l'adam che riceve nuova vita, che rinasce nella 'schiusura' di questo nuovo orizzonte relazionale, infinito; dall'altra vi è la parola/dabar, la divinità Unitrina che è sì risorta dopo la morte di Gesù, che non si sente più abbandonata, e per questo però continua a soffrire.

 

La costante sofferenza dello Spirito nella sofferenza dell'uomo e del creato, nel costatare l'ostinata volontà dell'uomo di nascere dal basso, di celarsi nelle tenebre di un potere finalizzato a sé stesso, effimero come la vita stessa, ebbene, questa sofferenza, è la sofferenza di Dio.

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