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Gesù chiede di essere amato, non di essere idolatrato. Il Vangelo di Giovanni in preparazione della Pentecoste

"Le parole di Papa Francesco sui migranti dovrebbero essere il paradigma per ogni cristiano di questo amore esistenziale all'altro"
DAL BLOG
Di Alessandro Anderle - 20 maggio 2017

Laureato in Filosofia e in Scienze Religiose. Insegno Pluralismo e dialogo fra le religioni,

La lettura di questa sesta domenica di Pasqua è la diretta continuazione di quella della scorsa settimana (Gv 14,15-21), in preparazione alla Pentecoste. Il vangelo secondo Giovanni (c. 14)  ci ha narrato l'annuncio da parte di Gesù della propria morte imminente, spronando i discepoli a credere in lui, «Io Sono la via e la verità e la vita» (da notare che, nel pensiero ebraico, nella cultura di Gesù, “Io sono” rappresenta uno dei principali nomi di Dio). La prosecuzione esplicita – dal punto di vista giovanneo - che cosa debba significare, per il credente, credere in Gesù:

 

Gv 14,15-21

In quel tempo, Gesù disse: «15 Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16 e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17 lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi. 18 Non vi lascerò orfani: verrò da voi. 19 Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. 20 In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi. 21 Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui».

 

La prima forma della fede cristiana – se mai si potesse immaginare di individuarne una con certezza – è facilmente esprimibile: amare Gesù. E questo amore, che è relazione viva e quindi deve coinvolgere totalmente la persona, si svela nella custodia dei comandamenti di Gesù stesso.

 

Devono primariamente essere custoditi come la grazia di un dono, o un dono di grazia. L'osservanza ne discende come gesto naturale. Ma quale comandamento? Il definitivo: “Come io ho amato voi, così anche voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34).

 

Quello che Gesù chiede è che si instauri con lui una relazione di amore vivo, che come ogni relazione va custodita quotidianamente. Con fatica, nell'imperfetta umana perfezione. Gesù non chiede di essere idolatrato – tutt'altro! -  «in tutte le vie religiose si ama Dio, ma lo si può amare come un idolo, soprattutto se è un dio da noi costruito e “ideato”; anzi, proprio quando è un dio che è un nostro manufatto, lo amiamo di più! Ma il nostro Dio vivente ha un volto preciso. Non è la deità, il divino: è un Dio che ha parlato esprimendo la sua volontà, e lo ama veramente solo chi cerca, seppur con fatica, di realizzare tale volontà. Mi pare che non affermiamo con sufficiente chiarezza e forza questa verità decisiva per la vita cristiana, ma pensiamo che basti dire, ad esempio, “Ciò che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Gesù Cristo”, parole che possono essere una confessione di fede, a patto però che Cristo non sia il “nostro Cristo”, quello inventato e scelto da noi […] “Come io ho amato voi, così anche voi amatevi gli uni gli altri” (Gv 13,34; cf. 15,12). Si faccia attenzione, Gesù non ha detto: “Come io ho amato voi, così anche voi amate me”, ma “amatevi gli uni gli altri”. Perché egli ci ama senza chiederci il contraccambio, ma chiedendoci che il suo amore che ci raggiunge si diffonda, si espanda come amore per gli altri, perché questa è la sua volontà d’amore» (E. Bianchi).

 

Lo sforzo di questa relazione, di questo amore a Dio che non può mai essere disgiunto dall'amore all'altro – le parole di Papa Francesco sui migranti dovrebbero essere il paradigma per ogni cristiano di questo amore esistenziale all'altro – è condizione per ricevere il Paraclito.

 

«Paraclito designa uno che “è chiamato vicino”, “sta accanto” per proteggere, per aiutare e incoraggiare, quale avvocato difensore e “testimone”» (A. Poppi).  Paraclito è Spirito di verità, una verità esistenziale che il mondo che non la custodisce e la coltiva non può conoscere, e quindi non la possiede. Lo Spirito di verità appartiene al mondo di chi impronta la propria esistenza alla custodia di questa relazione d'amore con il totalmente Altro e con l'altro, con tutti gli altri. E richiede sicuramente uno sforzo maggiore, per utilizzare un eufemismo, dell'allestimento di un salotto filantropico.

 

L'ultimo versetto è tradotto da A. Poppi: «Chi ha i miei comandamenti e li custodisce, quegli è colui che mi ama; ma chi ama me, sarà amato dal Padre mio; anch'io lo amerò e manifesterò a lui me stesso» (Gv 14,21). “Avere i comandamenti” di Gesù, ribadisce letteralmente il testo, non basta. I comandamenti, il comandamento dell'amore, deve essere custodito, curato, per diventare parola viva: insomma, il possedere una copia, magari finemente decorata e ben “esposta” del Nuovo Testamento, sembra non basti.

 

Questo Dio che si è implicato in una relazione autentica con il creato, ama chi a sua volta ama questa Sua implicazione, il Figlio che ha vissuto verso chiunque abbia incontrato. Per mutuare un'immagine della filosofa spagnola Maria Zambrano, questo Dio in relazione è un Dio vicino, è un Dio che «mi fa, facendosi».

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