«La nostra, quaggiù, è una montagna troppo spesso incompresa»: la storia di Giacinto Cangelosi, pastore e casaro delle Madonie siciliane
Allevatori, pastori e casari, Giacinto e suo figlio Giovanni tengono vivo il màrcato di Piano Farina, nelle alte Madonie siciliane, e producono la provola locale presidio Slow Food e la ricotta madonita secondo un'antica tradizione casara vecchia di cinque generazioni. Custodendo, anche, la conoscenza di questo territorio montano, che altrimenti rischierebbe di svanire
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
«Se fa gneck gneck sotto i denti, allora significa che è buona». Giacinto Cangelosi allunga una striscia sottile di tuma fresca, la pasta ottenuta dalla rottura della prima cagliata, e con un gran sorriso fa segno di assaggiarla. Alto, con una folta barba brizzolata e le mani grandi di chi lavora a contatto con la natura e ha nelle dita la ciclicità di azioni ripetute fino a diventare quasi innate, Giacinto è un allevatore e pastore: insieme al figlio Giovanni, custodisce il màrcato di Piano Farina, nelle Madonie siciliane che s'innalzano pietrose alle spalle di Palermo, e tiene viva la tradizione casara di queste zone interne e montane poco conosciute. Una tradizione di formaggi e di territorio che tuttavia, racconta l'uomo, troppo spesso si stempera nell'interesse e rischia di scivolare nell'oblio. «Da queste parti» spiega «della montagna interessa a pochissimi. E si vede: manca proprio una cultura di tutela e comprensione di questi territori alti. E questo significa che si perdono maestranze, saperi e tradizioni per strada».
Una terra selvatica di dirupi e rapaci
Giacinto proviene da una lunga tradizione casara: per cinque generazioni, infatti, la sua famiglia ha lavorato con gli animali e prodotto i tipici formaggi della zona nel màrcato di Piano Farina, a 1360 metri sul livello del mare, nelle alte Madonie i cui pinnacoli rocciosi e prati verdeggianti fanno pensare al Carso o al Trentino più che all'immaginario interno della Sicilia. E invece, eccola qui l'anima impervia e montanara dell'isola: non solo borghi arroccati color del miele, non solo colline imbiondite di campi di grano, ma anche un susseguirsi di ondulazioni pietrose, di possenti pareti attorno al Pizzo Carbonara (1979 metri, il più alto della Sicilia dopo l'Etna), di canyon e di dirupi scoscesi battuti da un vento che sa ora di mare e ora di erbe croccanti. Le Madonie sono uno scrigno di biodiversità e ricchezza naturalistica, e sono anche territori di ripopolamento di specie animali che da qualche tempo erano sparite: da Piano Farina, infatti, partono sia il Sentiero dell’Aquila, perché da qualche tempo è tornata qui a nidificare l’aquila reale (detta anche chrysaetos, cioè dorata), sia il Sentiero del Carnaio, che conduce a un dirupo mozzafiato e a un carnaio affacciato sulla vallata del fiume Pollina, inaccessibile ad altri e pensato per favorire il ritorno sul territorio degli uccelli necrofagi... Primo fra tutti il grifone, che fino agli anni Cinquanta nidificava proprio nelle pareti a strapiombo ricche di fenditure di queste montagne.
Alla scoperta del màrcato
In questo contesto naturalistico, il tetto appuntito e le costruzioni pietrose del màrcato di Piano Farina trovano perfetta collocazione. Fuori, una tettoia ospita la stufa per scaldare l'acqua, le panche, i bidoni per lavorare il latte. All'interno, locali di vita contadina e di lavoro e provole panciute appese alle travi a stagionare; poco oltre, uno spazio per accogliere turisti, curiosi e viaggiatori e per condividere con loro una fetta di buon formaggio. «I màrcati sono un po’ l’equivalente delle malghe delle Alpi» spiega Stefania Greco, guida escursionistica locale, che ci sta accompagna nell’esplorazione e nella comprensione di questo territorio. «Sono gli antichi insediamenti dei pastori, dove si è sempre prodotto il formaggio… A cominciare appunto dalla provola delle Madonie, che oggi è Presidio Slow Food. Giacinto produce anche la ricotta».
Nelle mani di Giacinto e Giovanni, c'è la perizia di chi fa un lavoro da tanti anni. Dopotutto fare il formaggio è questione di ritualità manuali: caricare la stufa di frasche, raccogliere il latte, scaldare l'acqua; cagliare il latte, tagliare la cagliata, lasciarla riposare, e poi tagliare la tuma fresca in lunghe strisce sottili, a cui poi andrà aggiunta l'acqua calda per ottenere la pasta filata tipica del formaggio madonita.
I problemi di una montagna incompresa
«Vengo da una famiglia di pastori: queste cose le ho sempre viste fare e da sempre vengono fatte quassù» racconta l'uomo, seguitando a lavorare. «Ma queste nostre montagne sono incomprese. Sì, incomprese, perché qui in Sicilia non è come da voi sulle Alpi: qui manca la cultura della montagna, è un ambiente di cui interessa poco. Chi come noi sceglie di rimanere... Beh, lo fa nonostante tutto». Nonostante cosa? «Nonostante il costo delle materie prime, ad esempio, che continua a crescere: il prezzo del fieno è raddoppiato nell'ultimo anno, e qui non abbiamo abbastanza erba da sfalciare... Dobbiamo per forza integrare acquistando fieno aggiuntivo, ma la spesa si fa sentire» Poi, spiega ancora Giacinto, c'è il problema della convivenza con i selvatici: «Altro che lupi, qui abbiamo il problema opposto» ride «Troppi daini, troppi erbivori! E mangiano tutta l'erba destinata ai nostri animali da allevamento, anche perché quassù ci lavora sempre meno gente e il mondo selvatico giustamente si espande... Ma per noi è difficile, siamo sempre in bilico».
Giacinto fa della condivisione e del racconto del suo lavoro con chi passa dal màrcato – turisti, trekker e camminatori alla scoperta di quest'angolo di Sicilia – una questione di comprensione reciproca: «È importante capire questo territorio e queste montagne. Ma lo è prima di tutto per i siciliani stessi, perché qui c'è una fetta enorme delle nostre radici e delle nostre origini. Siamo un'isola di montagna. Com'è possibile dimenticarsene?».