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Attualità

Storia di una realtà con pochi precedenti: quando la viticoltura tutela paesaggio ed economia agricola

Alla vigilia della tredicesima edizione del Mercato dei vini dei vignaioli indipendenti, in programma a Bologna dal 23 al 25 novembre, Fivi pubblica i risultati di un'indagine svolta da Nomisma Wine Monitor, l’Osservatorio di dedicato al mercato del vino. L’81% dei vigneti coltivati da questi produttori si trova in collina e in montagna, rispetto al 60% della media italiana

di
Luca Martinelli
22 novembre | 12:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Alla vigilia della tredicesima edizione del Mercato dei vini dei vignaioli indipendenti, in programma a Bologna dal 23 al 25 novembre, Nomisma Wine Monitor - l’Osservatorio di Nomisma dedicato al mercato del vino - ha realizzato un’indagine sui produttori associati alla Fivi (Federazione italiana dei vignaioli indipendenti). L'obiettivo era evidenziare se il modello socio-economico collegato a tale tipologia di impresa, una filiera totalmente integrata, dalla vigna alla cantina fino alla commercializzazione dei propri vini, possa garantire esternalità positive non solo per la filiera vitivinicola italiana, ma per l’intero Paese.

 

Qui guardiamo ai risultati dell’indagine “Il modello socio-economico dei Vignaioli Indipendenti per la sostenibilità della filiera vitivinicola italiana” guardiamo usando le lenti dell'Altramontagna.

 

Le aziende che hanno risposto al sondaggio di Nomisma Wine Monitor sono circa 500, un campione rappresentativo dei 1.700 soci Fivi. L'analisi dei dati restituisce una superficie media coltivata di poco più di 10 ettari di vigneto, per una produzione di 75 tonnellate di uva auto-prodotta e una produzione media di 38 mila bottiglie vendute ogni anno. La metà delle aziende opera in regime di agricoltura biologica.

 

Una delle principali esternalità positive collegate al modello socioeconomico dei Vignaioli Indipendenti in Italia è dato dal fatto che l’81% dei vigneti coltivati da questi produttori si trova in collina e in montagna, rispetto al 60% della media italiana, vale a dire in quelle aree interne sempre più soggette a spopolamento e a rischio idrogeologico. Zone dove, per altro, l’uva da vino rappresenta una delle poche produzioni agricole ancora in grado di dare reddito a chi la coltiva” ha commentato Denis Pantini, responsabile Nomisma Wine Monitor.

 

Sebbene i cereali rappresentino la coltivazione più diffusa nelle aree collinari e montane italiane, il valore della produzione ottenuto ad ettaro è meno del 30% di quello ottenuto dall’uva da vino. Il modello di impresa vitivinicolo, inoltre, esprime risvolti positivi anche a livello sociale dato che il 30% dei lavoratori è impiegato a tempo indeterminato (contro il 10% della media italiana in agricoltura), il 28% è di origine straniera (rispetto al 19% della media italiana) e il 33% è donna, a fronte del 26% della media dell’agricoltura italiana.

 

Anche dal punto di vista economico il “modello Fivi” esprime valori importanti, non tanto in termini assoluti quanto unitari. Basti infatti pensare che il prezzo medio a bottiglia del vino venduto dai produttori Fivi è più che doppio rispetto alla media italiana: 7,7 euro contro 3,6.

Un supporto importante potrebbe derivare dai fondi OCM, acronimo per Organizzazione comune dei mercati agricoli: purtroppo, restrizioni e vincoli burocratici disincentivano l’accesso da parte delle piccole aziende e solo il 14% dei soci Fivi ha potuto beneficiare negli ultimi due anni dei fondi destinati alla promozione.

Dall'indagine emerge poi che oltre l’80% delle aziende associate offre servizi per gli enoturisti, in particolare visite guidate con degustazioni. Anche in questo caso, il “modello FIVI” offre un contributo particolarmente utile alla tenuta socio-economica delle aree rurali, dato che i ricavi derivanti dai servizi enoturistici incidono per il 23% sul fatturato complessivo dei vignaioli, contro una media nazionale del 18%, evidenziando in tal modo una differenziazione delle attività in grado di valorizzare ulteriormente la produzione vinicola delle aree interne: il 46% dei turisti che annualmente visitano tali aziende sono di origine straniera, un fattore che potrebbe indicare un contribuito alla riduzione di quell’overtourism che negli ultimi anni sta portando effetti negativi negli equilibri sociali delle città italiane.

"Aziende di medio-piccole dimensioni, spesso a conduzione familiare, radicate sul territorio e capaci di creare valore ed esternalità positive lì dove operano, impegnate non solo nella produzione di vino di qualità, ma nella tutela del territorio e nella conservazione del paesaggio rurale italiano" ha commentato Lorenzo Cesconi, vignaiolo e Presidente FIVI.

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