Il legno derivante da potature o trasportato dai fiumi rimane un “rifiuto”: così non potrà essere valorizzato come energia rinnovabile. I comuni spenderanno 180 milioni, le imprese ne perderanno 45
In Senato è stato bocciato un emendamento bipartisan che avrebbe dato la possibilità di valorizzare il legno derivante da potature o accumulato nell'alveo dei fiumi. Secondo Uncem e tutte le principali Associazioni della filiera legno-energia si tratta di un'occasione persa: per i comuni, per le imprese del settore e per tutti i cittadini
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Delusione e amarezza, ma anche profonda preoccupazione, sono state le reazioni da parte di molti attori delle politiche per la montagna, come UNCEM, e di varie associazioni legate al settore forestale e dell’energia da legno, come AIEL, FIPER, CIA e EBS, di fronte alla bocciatura, avvenuta ieri in Senato, di un emendamento bipartisan al DL Ambiente presentato da rappresentanti di tutto l’arco parlamentare. Una proposta che mirava a fare chiarezza sulla definizione di “rifiuto” o “sottoprodotto” rispetto al legno derivante dalle attività di manutenzione del verde, incluso quello depositato nell’alveo di fiumi e torrenti seguito di eventi atmosferici.
Tutti abbiamo ancora di fronte agli occhi le enormi cataste ammassate contro i ponti nelle recenti alluvioni della Romagna: quel materiale oggi non può essere trasformato in cippato e valorizzato come energia in centrali a biomasse perché considerato un rifiuto, da smaltire come ogni altro rifiuto. Sembra assurdo, ma è la realtà. E lo stesso avviene per i residui delle potature.
“In un’ottica di economia circolare e di promozione delle fonti rinnovabili di energia”, spiegano in un comunicato congiunto UNCEM e le Associazioni citate, “l’emendamento introduceva la possibilità di applicare la qualifica di sottoprodotti anche ai residui derivanti da attività di cura del verde, senza alcun rischio ambientale o sanitario, rimarcando comunque la qualifica di rifiuto per tutti i residui delle attività di sfalcio e potatura che risultino contaminati da materiali misti o che necessitino di operazioni di cernita prima del loro impiego”.
Fino al 3 agosto 2023 l’interpretazione dell’Articolo 184-bis del Testo Unico Ambientale prevedeva l’esclusione dalla regolamentazione per quanto riguardava i residui delle attività agricole e forestali riutilizzati in agricoltura o per la produzione di energia. Inoltre, era possibile classificare come sottoprodotti anche sfalci e potature derivanti dalla manutenzione del verde pubblico o privato. Tuttavia, tale interpretazione è stata messa in discussione a seguito delle risposte a due interpelli da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica che presentavano conclusioni divergenti. Questa incertezza è stata ulteriormente alimentata da una risposta della Commissione europea di aprile 2024, che è sembrata aderire a un’interpretazione restrittiva della nozione di “sottoprodotto”, qualificando come rifiuti anche i residui derivanti dalla manutenzione del verde.
AIEL ha stimato che attualmente, in Italia, circa 3 milioni di tonnellate all’anno di biomassa legnosa derivano da potature, manutenzione di parchi e giardini, manutenzione di viali alberati, pulizia degli alvei e raccolta del legname fluitato. Un quantitativo enorme, che potrebbe essere facilmente trasformato in energia rinnovabile alimentando filiere corte e locali e sostituendo così fonti fossili.
“Questo emendamento rappresentava un’opportunità unica per coniugare sviluppo economico, sostenibilità ambientale e sicurezza del territorio”, spiegano UNCEM e le Associazioni firmatarie, “invece si è rivelata un’occasione persa per tutti: per le imprese della filiera legno-energia, che non potranno più approvvigionarsi di questi residui per la produzione di energia rinnovabile vedendo così sfumare un possibile guadagno di circa 45 milioni di euro; per i Comuni, che non potranno più contare su questa filiera per svolgere un servizio di manutenzione e presidio del territorio e che anzi si troveranno ad affrontare un costo stimato tra 150 e 180 milioni di euro per il loro smaltimento; infine i cittadini, che dovranno pagare una TARI maggiorata”.
Nel comunicato viene accusato specificatamente il Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica: “Stupisce che un emendamento, proposto da Senatori rappresentanti di forze politiche sia di maggioranza sia di opposizione non abbia riscosso il parere positivo del Ministero dell’Ambiente, vero e unico artefice di questa mancata volontà di promuovere fattivamente l’economia circolare”.
Seguiremo l'evolversi di questa singolare situazione, auspicando una profonda riflessione rispetto al possibile utilizzo di quel legno, tantissimo, che oggi è considerato rifiuto senza una motivazione convincente.