Contenuto sponsorizzato
Attualità

''Ieri baracche per pastori come riparo, niente strade, spazi deserti; oggi negozi, Wi-Fi e turisti da tutto il mondo'', l'Himalaya com'è cambiato in 40 anni

Giuliano Zugliani, forestale e guida alpina trentina oggi in pensione, nel 1986 è partito all'avventura con due amici verso il Nepal ed è rimasto folgorato dal fascino e dalla maestosità delle montagne himalayane dopo un viaggio rocambolesco e "romantico", in un Paese fermo ad un "passato remoto" fatto di tanta povertà e pochissimo turismo. "Da allora ci sono tornato altre 12 volte - racconta a L'Altra Montagna - assistendo a un cambiamento impressionante che ha finito per stravolgere non solo i luoghi, ma anche le tradizioni e la cultura stessa di chi abita quei posti meravigliosi"

di
Marcello Oberosler
27 novembre | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Dicembre 1986: quanto era diverso il mondo? Nelle cuffie dei walkman risuonavano le note di “The Final Countdown”, al cinema spopolava “Top Gun” e il Trento Calcio, guidato da mister Paolo Ferrario, giocava un campionato da protagonista in C1.

 

Un mondo che, a ben vedere, non era troppo diverso da oggi; ma al tempo stesso profondamente diverso. Un mondo in cui, e questo non è cambiato, gli appassionati di montagna avevano un grande sogno: l’Himalaya.

 

Ma cosa trovava chi, quasi 40 anni fa, attraversando mezzo mondo arrivava in Nepal? Non il turismo organizzato e iperconnesso di oggi, ma un mondo povero, spoglio, lontano dalle tecnologie. Un mondo che, nel corso dei decenni, si è trasformato a tal punto da risultare quasi irriconoscibile.

 

Di questo e molto altro ci parla con un rassicurante mix di trasporto emotivo e lucido buonsenso Giuliano Zugliani, primierotto “doc” e vero e proprio pioniere del turismo verso l’Himalaya e non solo.

 

Giuliano oggi è in pensione, ma ha dedicato la sua vita alla montagna e alla sua tutela: una carriera da ispettore forestale per la Provincia di Trento, uomo di vette, appassionato esploratore sempre in viaggio. Con il suo brevetto di guida alpina, Zugliani ha accompagnato gruppi sulle salite di tutto il mondo, dall’Africa al Sudamerica, ma il Nepal occupa un posto speciale nel suo cuore. "Ho avuto la fortuna di viaggiare molto e vedere posti bellissimi – spiega il diretto interessato -, ma il Nepal mi ha dato emozioni uniche. Anche se è cambiato tanto, resta un luogo straordinario".

 

 

LA PRIMA VOLTA: 1986

 

La prima volta non si scorda mai, si dice. Nel caso del primo viaggio in Nepal di Giuliano, è verissimo: il racconto è ricco di dettagli, sfumature e sensazioni. È il racconto di un’avventura nata quasi per caso e poi diventata una memoria indelebile.

 

“Era il novembre 1986. Eravamo io e altri due amici e colleghi guide alpine: ‘l’assist’ ce lo fornì il grande alpinista Sergio Martini durante un pranzo delle guide alpine di San Martino di Castrozza. Si festeggiava il decimo anniversario della salita alla cima del Dhaulagiri, un Ottomila in terra nepalese; eravamo affascinati dai suoi racconti di quei posti esotici e lontanissimi, lui ci disse: ‘Andate andate, vi do io qualche dritta sull’itinerario da seguire’. E noi poche settimane dopo, a dicembre, partimmo veramente”.

 

“Ci sentivamo come dei pionieri”, prosegue Giuliano. “Per certi versi, lo eravamo. Abbiamo prenotato un volo e siamo arrivati a Katmandu, una città deserta, semi-sconosciuta al grande turismo di massa occidentale: da lì l’idea era quella di spostarsi con un volo interno su Lukla, ma a quei tempi si volava ‘a vista’. Insomma, se non c’erano condizioni di visibilità perfette non si partiva. Quindi dopo un paio di giorni di attesa, capendo che il maltempo era destinato a durare, abbiamo deciso di cambiare programmi: abbiamo preso un vecchio bus e poi camminato a piedi per 7 giorni per arrivare a Nanche Bazar, villaggio principale della regione del Khumbu a quasi 4.000 metri di quota. Faceva davvero molto freddo. Allora abbiamo deciso di andare verso in villaggio di Thame, da dove c'era la possibilità di salire una cima di quasi 6.000 metri”.

 

A dare il “benvenuto” alla spedizione, una fortissima nevicata. “In due giorni è caduto circa 1 metro di neve. D’altronde in inverno quello è lo scenario e in parte lo sapevamo. Seppur sconsigliati dal proprietario di casa dove alloggiavamo, un vecchio sherpa, partimmo per l' avventura. Sopra i 5.000 metri di quota era letteralmente impossibile salire, affondavamo fino alla pancia in quel gelido oceano bianco. Ci siamo fermati a dormire per due notti in una baracca utilizzata d'estate dai pastori di yak, ma alla fine ci siamo arresi, e siamo dovuti tornare indietro: il proprietario di casa in cui avevamo tra l’altro lasciato del materiale era felice di rivederci, direi quasi sollevato. Ricordo che ci preparò una cena indimenticabile: patate bollite che intingevamo in una salsa di chili, menta e formaggio di yak”.

 

“Arrivati all’aeroporto di Lukla - riprende Zugliani - siamo tornati a Kathmandu con un volo: si partiva da questa ‘pista’ che assomigliava più ad un grande campo di patate in pendenza. I mezzi decollavano finita la discesa, praticamente in picchiata. Un’avventura nell’avventura. Ma che posti incredibili. Quelle montagne immense ti entrano nel cuore. A quel punto siamo tornati a Katmandu e abbiamo passato qualche giorno a Pokhara, che abbiamo raggiunto con un viaggio di 12-13 ore di bus su sentieri, più che su strade. Per tornare a casa siamo anche rimasti bloccati intere giornate a Kuwait City perché non partivano i voli. Diciamo una prima volta indimenticabile sotto tutti i punti di vista”.

 

Tanto che Giuliano in Nepal ci è tornato altre 12 volte: le successive, quasi sempre accompagnando dei gruppi come guida e avendo la possibilità di visitare gran parte delle valli nepalesi, anche in varie stagioni differenti.

 

 

UN MONDO CHE CAMBIA

 

“Quello che mi ha colpito di più, oltre alla grandiosità della natura, le montagne alte, l’ambiente, le vallate, era quella sensazione di essere catapultati nel passato. Di ritornare indietro di 70 o 80 anni, a come era la vita sulle nostre amate Dolomiti: la gente semplice, i villaggi isolati, poche strade, nessun albergo. Si dormiva nelle case chiedendo ospitalità alla gente del posto, ed ero affascinato dalla cultura e dal modo di vivere quei territori delle popolazioni locali. Che vivevano di piccola agricoltura e zootecnia, lontane dalla modernità, in una povertà impressionante ma allo stesso tempo in perfetta simbiosi con le montagne. Trovavo i loro ritmi di vita assolutamente affascinanti”.

 

Oggi quel mondo è stato cancellato con un colpo di spugna dal modello di crescita economica che abbiamo prima messo in moto sulle nostre montagne e poi esportato con entusiasmo - e grande efficacia - in ogni angolo del globo. Figuriamoci nel punto del pianeta a più alta densità di vette memorabili e montagne iconiche.

 

“Oggi – riprende Zugliani - negli stessi posti dove quasi 40 anni fa ho incrociato in qualche settimana forse una decina di occidentali, ogni anno si riversano decine di migliaia di turisti da tutto il mondo: i cinesi, al comando delle operazioni, costruiscono strade a ritmi forsennati, collegando il Nepal col Tibet e il resto del continente asiatico. Pokhara è diventata a tutti gli effetti una città turistica, tutti i piccoli villaggi in cui passano le ‘rotte’ dei trekking ora sono attrezzati con piccoli alberghi, lodge (un corrispettivo dei nostri bed and breakfast); luoghi a misura di turista, con connessione internet Wi-Fi e televisioni. Insomma, è cambiato tutto: alcuni luoghi che ho visto 38 anni fa non esistono più. O sono perlomeno irriconoscibili”.

 

 

 

STRADE E PROGRESSO

 

Cosa è cambiato di più da allora a oggi, anno del Signore 2024? Giuliano non ha dubbi. “Le strade. Le strade sono l’elemento più impattante nella trasformazione di questi luoghi. Perché hanno velocizzato tutti i cambiamenti successivi: dove servivano 10 o 12 giorni a piedi per raggiungere alcuni villaggi o attraversare certe distanze, oggi occorrono poche ore di jeep, sulle strade girano le mountain bike. Addirittura alcuni trekking i turisti li fanno esclusivamente con i mezzi motorizzati. E con questi cambiamenti si è trasformata anche la gente locale, la cultura dei nepalesi: le persone del posto si sono abituate a vivere di turismo, le attività di sussistenza di anni fa sono completamente dimenticate, o portate avanti dagli anziani un po’ più ‘tradizionalisti’ dei villaggi. I giovani vestono alla occidentale, se hanno qualche soldo in tasca vanno a studiare nelle città più grandi o addirittura all’estero: d’altronde hanno internet, la tv, conoscono il mondo là fuori’. I portatori sono quasi spariti, un po’ perché ora si muovono molti più mezzi di trasporto insieme ai gruppi di turisti e un po’ perché le persone del posto non ci stanno più a prendere paghe da miseria per sforzi fisici enormi. Insomma, giustamente tutti in un modo o nell’altro sfruttano questa situazione per cambiare il loro modo di vivere, per stare meglio economicamente, per sviluppare i propri villaggi, le proprie città, le proprie infrastrutture”.

 

E quelli che anni fa agli occhi degli occidentali apparivano come paradisi “incontaminati”, oggi si sono trasformati in hotspot turistici che attirano, gestiscono e ospitano migliaia e migliaia di persone. Con tutti i pro e i contro del caso dal punto di vista economico, sociale e ambientale.

 

“Ma di cosa ci stupiamo? È lo stesso modello di business, turismo, crescita economica e modo di vivere la montagna che abbiamo applicato dalle nostre parti, penso alle Dolomiti. A Katmandu ad ottobre e novembre, i mesi di picco del turismo, non si riesce a camminare per le strade da quanta gente c’è. E trovi negozi di abbigliamento di montagna delle migliori marche del mondo, accessori, souvenir, di tutto: nel 1986 in quelle stesse strade, semideserte e fangose, ricordo che gli unici negozi di attrezzatura da montagna rivendevano giacche, ramponi e materiale di seconda mano, roba raccattata dagli sherpa o lasciata indietro da qualche turista occidentale. E avere migliaia e migliaia di turisti di passaggio anche in piccoli villaggi un impatto sull’ambiente lo ha eccome, a maggior ragione in un contesto in cui non c’è una rete strutturata di depuratori o discariche per la gestione dei rifiuti”. 

 

Alcune zone meno battute, come il Dolpo o il Naar Phu, conservano ancora il fascino di un tempo: quel fascino che Giuliano ha percepito “scoprendo” anni fa il Mustang, una regione rimasta chiusa al turismo per decenni. "Quando ci sono stato per la prima volta, era un’esperienza davvero fuori dal mondo, dal tempo e dallo spazio. I templi buddisti, i monasteri e la cultura lamaista erano intatti, cristallizzati. Magnetici".

 

E quando gli si chiede cosa lo spinga a tornare in Nepal e rivedere quelle montagne immense, la risposta è semplice: "Finché la salute me lo permetterà, continuerò. Ogni viaggio è un’avventura, e il Nepal è una parte di me".

SOSTIENICI CON
UNA DONAZIONE
Contenuto sponsorizzato
recenti
Sport
| 22 gennaio | 13:00
Donato al Museo etnografico Dolomiti, è stato esposto dopo un’accurata ripulitura e manutenzione che lo ha portato all'originario splendore
Ambiente
| 22 gennaio | 12:00
Beatrice Citterio, ricercatrice in trasformazioni territoriali alla libera università di Bolzano, è ospite della nuova puntata di Un quarto d'ora per acclimatarsi, il podcast de L'AltraMontagna che approfondisce i problemi ambientali e sociali sperimentati dalle terre alte tramite la voce di chi le vive, le affronta e le studia
Sport
| 22 gennaio | 11:00
Ad imporsi è stata la Svizzera, che annoverava tra le proprie fila anche ex calciatori di assoluto livello come Benaglio, Mehmedi, Chapuisat e Frei, che in finale ha piegato per 8 a 6 la Germana. L'evento si disputa dal 2010, è giunto alla 13esima edizione e richiama un gran pubblico nella città del Canton Grigioni
Contenuto sponsorizzato