Aree interne e montagna: la politica non si volti dall'altra parte, servono nuove geografie. Le riflessioni di Marco Bussone
Nelle prime tre settimane di marzo il lemma "aree interne" è comparso appena 33 volte sui quotidiani nazionali. La parola "città", invece, è stata usata in ben 796 articoli. L'attenzione dei media per le aree interne è senz'altro un ottimo indicatore della difficoltà di mettere il tema dello spopolamento e dei servizi essenziali di cittadinanza al centro delle politiche pubbliche
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.
Nelle prime tre settimane di marzo il lemma "aree interne" è comparso appena 33 volte sui quotidiani nazionali. La parola "città", invece, è stata usata in ben 796 articoli. L'attenzione dei media per le aree interne è senz'altro un ottimo indicatore della difficoltà di mettere il tema dello spopolamento e dei servizi essenziali di cittadinanza al centro delle politiche pubbliche. E questo è successo nonostante il mese si sia aperto con le elezioni in Abruzzo (una Regione dove il 66% dei Comuni è classificato come "area interne", contro una media nazionale del 48%). Dei 33 articoli ricordati, ben 7 sono usciti sul Sole-24 Ore: il quotidiano di Confindustria ha messo addirittura il tema in prima pagina, con un lungo approfondimento firmato da Carlo Marroni domenica 17 marzo. Agli articoli di quel dossier, che contiene tra gli altri un intervento di Luisa Corazza, direttrice del Centro di ricerca per le aree interne e gli Appennini dell'Università del Molise ("l'abbandono dei paesi è sembrato a tutti il naturale prezzo da pagare per l'ammodernamento dei Paesi" scrive Corazza, rimandando agli anni Sessanta l'avvio della disattenzione delle politiche pubbliche verso le aree interne), ha fatto seguito un accorato intervento di Marco Bussone, presidente di UNCEM, l'Unione nazionale dei comuni, comunità ed enti montani.
Il testo, una lettera aperta al direttore del Sole, si apre con alcune domande: "dove è finita la SNAI, Strategia nazionale Aree interne? Dove si è persa l'attuazione della legge sui piccoli Comuni 158/2017? Dove abbiamo lasciato lo spirito e la voglia di dare corpo all'ultima legge per la montagna, la 97/1994 varata dal Parlamento trent'anni fa? Dove sono nelle Alpi e negli Appennini i benefici dei fondi del PNRR?".
Bussone parte da una considerazione: "I dati che il Sole presenta, non sono purtroppo entrati abbastanza nelle ultime campagne elettorali", e il riferimento è a Sardegna e Abruzzo, "non sono sufficientemente conosciuti da tutti coloro che vengono eletti. Non spingono le coscienze. Non ribaltano i paradigmi di sempre. Eppure sono lì, in mezzo a chi pensa che le soluzioni alle questioni poste oggi dal Suo giornale sono nella 'borghizzazione' dei Paesi, con misure quali il 'Piano borghi' che il PNRR ha varato - buttando via 1 miliardo di euro - oppure con un po' di trasferimenti dal centro alle periferie, misure assistenziali che andavano bene forze negli anni Sessanta, fino agli Ottanta: io da Roma, Torino, Napoli, do a te, Sindaco e territorio delle Alpi e degli Appennini, un po' di soldini. Tu mi dai i voti, anche se pochi, per essere eletto" scrive Bussone, che se la prende con quello che definisce uno scambio assistenziale "soldi-voti", che in totale trasparenza ha relegato nel municipalismo e nell'isolamento i territori.
Il riferimento successivo è invece alla legge sulla montagna del 1994, "interessante e moderna": è l'ultima della Prima Repubblica, e forse anche per questo è rimasta lettera morta. "Discussa e nata dai territori in dialogo. Stupenda. Inattuata e per trent'anni forse anche troppo ingombrante per chi ha sempre visto solo una certa montagna da 8mila euro al metro quadrato di appartamenti, o la Sardegna dei villaggi turistici e delle grandi ville, o che non sa come funzioni un paese senza più bar (200 in Italia, 500 a rischio). Ingombrante per chi non sa come è fatta una valle dove strada e versanti implodono nei cambiamenti climatici. E a chi crede che la neve degli ultimi giorni (il riferimento è alle precipiazioni intense dei primi giorni di marzo, in particolare sulle Alpi, ndr) salvi il clima che degenera a causa nostra. Mistificazioni di una certa montagna, del Paese, per far restare tutto com'era". Segue l'affondo: "La questione montana è stata 'risolta', dal 2005 in poi, azzerando il fondo montagna nazionale e smontando le 'Comunità montane', quelle che (il libro) 'La Casta' gettava in pasto all'antipolitica nascente, spesa delle spese. Pure chi ha scritto il libro si è pentito, ex post. Così sono iniziati l'allontanamento dello Stato dai territori, la distruzione del tessuto istituzionale, che affondava la Storia nella Residenza e nei 'Consigli di Valle' su Alpi e Appennini".
Si passa poi in rassegna la Strategia nazionale aree interne promossa nel 2012 da Fabrizio Barca. Bussone la definisce "ambiziosa, evoluta". È una novità "che piace, muove centri di ricerca, assistenze tecniche, professionisti, soldini per comporre progetti dei territori. La necessità di vedere paralleli, senza dare priorità, alla riorganizzazione dei servizi pubblici, scuola, trasporti, sanità e assistenza, e allo sviluppo sociale-economico, è peraltro importante. Moderna. Come efficace è la necessità di obbligare i Comuni delle aree interne, per fare la Strategia, a lavorare insieme. Piccoli e grandi. Vuoi i finanziamenti? Smettila di credere che nel campanilismo ti salvi. Si deve lavorare insieme. Bene.
Troppe Regioni in questa Strategia iniziano a non credere dal 2015" sottolinea Bussone.
Cita i numeri della spesa della Strategia aree interne pubblicati dal portale unico nazionale sui fondi delle politiche di coesione, Open Coesione: "sono drammatici" spiega Bussone. "Dal 2014 a oggi, 11% di progetti conclusi, 4% di progetti liquidati, 29% (su 1904 progetti monitorati) di progetti non avviati. Chi sta remando contro? Dove si ferma il meccanismo? Quali sono i problemi? Uncem lo continua a chiedere alle regioni e anche alle aree. Così non va bene. E la migliore Strategia non si può perdere così dopo 10 anni" aggiunge, in relazione alle difficoltà di avviare il secondo ciclo SNAI nel nuovo periodo di programmazione, il 2021-2027.
"La crisi ecologica e demografica avrebbe tanto tanto bisogno di usare Strategia delle aree interne - insieme alla moderna Strategia delle Green Communities, unica componente del PNRR che non è imperniata sul campanile, ma sull'insieme - anche per ridefinire le geografie istituzionali nel Paese che perde abitanti. Piccoli e grandi Comuni devono lavorare insieme, cosa che invece il Piano nazionale di ripresa e resilienza e tutti i bandi fatti, uno dietro l'altro, senza disegno e senza strategia d'insieme, ha impedito. Quasi vietato" sottolinea.
Bussone non è pessimista, però: "Quando mi muovo tra le Valli alpine e appenniniche del Paese, trovo una vitalità grande. Bellissima. Sindaci e amministratori che sono artefici delle loro comunità, le plasmano, le coinvolgono, fanno un bando in meno, ma sanno quanto sia importante trovarsi al bar che è rimasto e che resiste a discutere di quel progetto e di quella fognatura, per il bosco. Una vitalità che le città - ci lavoro, a Torino e Roma - non hanno".
Ecco perché un "patto tra aree rurali, montane, interne e città, deve crescere". È interesse mutuo che ciò avvenga. Per renderlo possibile, servono nuove politiche pubbliche.
(San Leo (RN), fa parte dell'area interna dell'Alta Valmarecchia, al confine tra Emilia-Romagna e Marche - foto di @Luca Martinelli)