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Attualità

''Le guide nepalesi? Sfruttate, costrette a lavorare in condizioni indegne, incastrate in un business tutto occidentale'', il turismo sull'Everest e la nuova via di Mario Maschio

Mario Maschio e l'avventura di Himalaya Exped per un cambio di paradigma sul turismo in Nepal: "Vogliamo rimettere al centro le guide locali. Bibi, il mio socio, si è ritrovato a guidare spedizioni su strade diventate fiumi di fango rischiando più volte di finire in un burrone, prendendosi non solo tutti i rischi del caso ma pure la responsabilità di dover decidere se proseguire o meno, abbandonato a sé stesso. Inutile dire che era arrabbiato, frustrato e deluso da questa situazione che abbiamo deciso di cambiare"

di
Marcello Oberosler
20 novembre | 18:00
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

Tutti quelli che amano la montagna sognano, prima o poi, l’Himalaya.

 

Ma i sogni sono materia delicata: fragili e bellissimi, capaci di ispirare o di illudere. Di Nepal, “sogni da migliorare” e modelli alternativi ci parla Mario Maschio, trevigiano classe 1983, che nel trekking sull’Everest Base Camp del 2022 ha fatto i conti con un sistema troppo spesso basato su “condotte eticamente scorrette”.

 

UN SISTEMA DA... SISTEMARE.

 

Mario, ingegnere gestionale con 15 anni di esperienza nel marketing B2B e un amore immenso per la montagna, quella realtà l’ha vissuta e osservata, con sguardo attento e mente aperta. Ma a differenza di molti altri, non si è limitato a prenderne atto per poi continuare la sua vita tra gli uffici di Milano, dove lavora: Mario ha deciso di provare, nel suo piccolo, a cambiare le cose.

 

“Era tutto organizzato – racconta parlando della sua esperienza dell’ottobre 2022 - da un’agenzia europea che si appoggiava a una locale in Nepal; mi sono sentito sballottato e trattato come un pacco postale da spedire e far arrivare a destinazione. Una volta lì, mi ha impressionato il ruolo delle guide locali, spesso sfruttate dagli intermediari e ‘incastrate’ in un meccanismo per cui sono di fatto costrette a lavorare in condizioni indegne. Forte di questa esperienza, al mio ritorno ho iniziato a riflettere su come poter proporre qualcosa di diverso”.

 

È nata così l’idea di creare un’agenzia di trekking: Himalaya Exped, di cui Mario Maschio è fondatore e uno dei quattro soci. Insieme a lui c’è un altro italiano, Roberto Caccia: Roberto, ora in pensione, ha avuto una lunga carriera da It manager fino a diventare CIO di Publicis. A rendere unica la composizione della società è la presenza di due guide nepalesi, Bir “Bibi” Bahadur e Dolam Magar, soci di Himalaya Exped al 50%. “Bibi” parla peraltro un ottimo italiano: per sette estati ha lavorato in Italia come stagionale al Rifugio “Città di Novara”, vicino ad Alessandria in Piemonte.

 

 

Insomma, la motivazione era quella di dare vita ad un’agenzia “messa a disposizione delle guide locali”, come ama definirla Maschio. “Sono uomini di montagna straordinari - riprende riferendosi alla categoria delle guide nepalesi -, ma si scontrano con un modello economico che li taglia fuori da qualunque possibilità di mettersi in proprio, o di aprirsi una loro agenzia. Uno stipendio medio, in Nepal, è sui 250-300 dollari al mese. Per aprire un’agenzia bene che vada ne servono almeno 10 mila, più altra liquidità per la banca e le assicurazioni: insomma, non è difficile capire perché le guide locali non riescano a inserirsi in questo mercato che è diventato rapidamente un ‘businesstutto occidentale, o quasi”.

 

SOLDI E FRUSTRAZIONI.

 

Il business, per definizione, non si ferma mai: ma da quelle parti il capitalismo si scontra con la forza dominante del clima, della montagna. Della natura. “Noi occidentali siamo viziati. Non si può pretendere di fare qualunque cosa in qualunque momento: a volte sulle Dolomiti sorridiamo quando vediamo arrivare qualche turista americano che vorrebbe sciare in luglio, ma poi magari siamo quelli che avendo ‘ferie’ in agosto pretendono di poter fare un trekking in Himalaya in quel periodo dell’anno. E invece da quelle parti in agosto ci sono i monsoni, il che vuol dire avere a che fare quotidianamente con la stessa quantità di pioggia che ha colpito Valencia qualche settimana fa, tanto per farsi un’idea. Bibi, il nostro socio, nel 2023 per questioni di carte e burocrazia non è riuscito a venire in Italia a lavorare in estate, e si è ritrovato ‘costretto’, per far quadrare i conti, a lavorare ad agosto per un’agenzia che lo ha spedito con alcuni turisti che si erano impuntati a voler fare un trekking nel distretto del Mustang. ‘Se non vuoi andare, troviamo qualcun altro’, gli è stato detto. Bibi così si è ritrovato a guidare la spedizione su strade diventate fiumi di fango rischiando più volte di finire in un burrone, prendendosi non solo tutti i rischi del caso ma pure la responsabilità di dover decidere se proseguire o meno, abbandonato a sé stesso. Uno che a 41 anni che ha accumulato tantissima esperienza. Inutile dire che era arrabbiato, frustrato e deluso da questa situazione”.

 

La categoria insomma soffre e non trova un modo di riscattarsi: “Spesso sono persone che accettano qualsiasi condizione pur di lavorare: e che poi portano in giro tutti i giorni i clienti assumendosi responsabilità e rischi enormi, vivendo perlopiù delle mance dei turisti. La nostra visione a Himalaya Exped è diversa: le guide sono soci, scegliamo solo passaggi sicuri in momenti specifici dell’anno”.

 

Con maggiore attenzione anche ad aspetti non sempre ben regolamentati: “Le guide dovrebbero farsi autonomamente le assicurazioni, ma tanti preferiscono risparmiare. Ai portatori addirittura non è richiesto nemmeno il patentino, obbligatorio per le guide ma molto facile da ottenere. E ci sono pochi controlli. Per risparmiare alcune agenzie mettono una guida per gruppo, e a volte i gruppi sono di 20 persone. Noi ci siamo dati come regola, una guida ogni 6 persone”.

 

IL “MAL COMUNE” DELLE MONTAGNE NEL MONDO: OVERTOURISM.

 

Turismo da Instagram”. Lo definisce con questa espressione, Mario Maschio. Ma effettivamente coglie un punto che sembra collegare con un virtuale filo rosso tanti luoghi diversi del mondo dove il turismo assume dimensioni incontrollabili e spesso dannose.

 

“Ci sono alcuni ‘hotspot’ in cui per un motivo o per l’altro tutti vogliono andare, magari anche solo per farsi una foto: da noi mi vengono in mente le Tre Cime di Lavaredo, per capirsi. Pensate alle tantissime vallate nelle nostre montagne che sono bellissime e accoglienti, ma che collezionano una frazione dei turisti che vanno alle Tre Cime e in pochi altri luoghi. L’Everest Base Camp è un ‘hotspot’ pazzesco, ed è in effetti davvero ‘super instagrammabile’. Però capite, siamo a oltre 5.000 metri di altitudine, il clima buono per arrivarci c’è in ristrette finestre temporali: tra ottobre e novembre, e tra metà marzo e metà maggio. Per arrivare sulla cima, giusto una ventina di giorni a maggio. Non c’è da sorprendersi se in quelle settimane poi si concentra l’afflusso di migliaia e migliaia di persone, considerato che l’Himalaya è il grande sogno di chiunque si affacci al mondo della montagna. E allora possono verificarsi anche le condizioni, sul sentiero che conduce alla cima, in cui si creano veri e propri ‘ingorghi’ per la gente in fila”.

 

“L’80-90% di chi viaggia per la prima volta sull’Himalaya – continua Mario - lo fa con la voglia di vivere l’emozione dell’Everest Base Camp. Il restante 10-20% invece si rivolge a noi invece per trovare itinerari e spazi meno ‘mainstream’, magari proprio con la richiesta di vivere un’esperienza il più possibile lontana da altri turisti. Per esempio scegliendo bellissimi trekking sull’Annapurna Circuit, il Manaslu Circuit e lo stesso Mustang”.

 

Una percentuale in crescita? A dire la verità, no. “Perché è una minoranza che magari cresce di numero, ma non al ritmo con cui cresce il turismo ‘generalista’. Ecco, il trend impressionante è proprio questo: sull’Everest non si tratta più di turismo di montagna, ma di turismo. Punto. La gente sembra chiedersi: ‘Dove andiamo quest’anno in vacanza? In qualche città d’arte in Italia, in spiaggia alle Hawaii, o sull’Everest?’. Con tutte le conseguenze del caso”.

 

 

LA POLITICA NEPALESE.

 

Sulle Dolomiti ogni tanto torna d’attualità il dibattito sull’introduzione del “numero chiuso” di accessi turistici per fronteggiare i danni da overtourism: il governo nepalese per il momento il “traffico” lo gestisce alzando sempre di più i costi che i turisti devono sobbarcarsi per ottenere i permessi necessari ad accedere a vette, percorsi di trekking e zone specifiche del Paese.

 

"Il Nepal è un Paese povero, ed è chiaro che vive di turismo. Il governo usa i permessi per tentare di fare cassa: tanto per fare un esempio, per scalare l’Everest servono permessi che costano 11 mila dollari, più altri 4 mila di cauzione rimborsabile per la gestione dei rifiuti. Prezzi che hanno anche il compito di ‘limitare’ gli accessi: per poter fare un trekking su altre aree come per esempio il distretto del Mustang che ho già citato, luogo straordinario diventato il nuovo Tibet, occorrono 500 dollari. Questo è uno dei tour accessibili a tutti, visto che il percorso si può fare anche interamente in jeep e la quota massima raggiunta è intorno ai 3.800 metri di altitudine. Però insomma, il prezzo di quel determinato permesso non è chiaramente legato a costi di gestione, ma serve appunto a ridurre e per certi versi indirizzare il turismo. Il volo interno che porta al famoso aeroporto Lukla, quello reso celebre dalla sua pista molto corta e in pendenza, è una tappa obbligata per i tanti che puntano all’Everest Base Camp: un volo di 20 minuti che in due anni è passato da costare 200 a oltre 500 dollari, con un impatto notevole su un viaggio complessivamente intorno ai 1.600 euro di budget”.

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