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Attualità

Fiumi d'odio si stanno riversando su Ottavia Piana, speleologa intrappolata nella grotta di Bueno Fonteno, ma nell'oscurità c'è una luce preziosa

Centinaia di dita accusatorie si stanno riversando negli anfratti angusti imputando alla giovane speleologa incoscienza, inconsapevolezza, sfrontatezza e, addirittura, impertinenza. Accuse immature, spesso partorite da menti ignare delle effettive dinamiche. Tuttavia c’è un numero che offre un po’ di luce alle tenebre ipogee e culturali in cui questa vicenda ci sta proiettando: 126

di
Pietro Lacasella
17 dicembre | 19:47
Questo articolo si rispecchia nei nove punti del Manifesto,
di cui il Comitato scientifico dell’AltraMontagna è garante.

C’era da immaginarselo. Purtroppo c’era da immaginarselo. La risonanza mediatica acquisita dalla vicenda di Ottavia Piana, speleologa trentaduenne intrappolata nella grotta di Bueno Fonteno (Bergamo) ha scatenato fiumi di acredine. Commenti particolarmente livorosi, poiché era la seconda volta in poco più di un anno che la speleologa rimaneva bloccata nella stessa grotta.

 

Migliaia di dita accusatorie si sono dunque riversate negli anfratti angusti, che si sviluppano per un'estensione di 19 chilometri a partire dal comune di Fonteno, imputando alla giovane speleologa incoscienza, inconsapevolezza, sfrontatezza e, addirittura, impertinenza. Accuse immature, spesso partorite da menti ignare delle effettive dinamiche.

 

Questa mancanza di empatia riflette un altro vuoto, forse ancora più tetro e profondo. Perché se da un lato il lavoro di Ottavia Piana aveva anche un ruolo comunitario - ''Gli speleologi", ha spiegato al Fatto Quotidiano Sergio Orsini, presidente della Società Speleologica Italiana, "lavorano per la società per restituire gratuitamente dati sul sottosuolo a enti pubblici e di ricerca'', dall’altro denota un diffuso e preoccupante cinismo che ignora la rete di relazioni che avvolge la ragazza. Familiari, amici, conoscenti sicuramente anch’essi sprofondati in lunghe, lunghissime, ore di angoscia.

 

Un terreno culturale pregno di incomprensibile rancore evoca sensazioni sinistre che, senza tanti giri di parole, rimandano a parentesi storiche inquietanti.

 

Tuttavia c’è un numero che offre un po’ di luce alle tenebre ipogee e culturali in cui questa vicenda ci sta proiettando: 126. Fino a questo momento sono stati impegnati 126 tecnici del Soccorso Alpino e Speleologico che hanno formato cinque squadre di soccorso. Questa mobilitazione, così larga, rileva un importante slancio di etica civile. La figura del soccorritore si fa infatti metafora di una propensione comportamentale a cui tutti dovremmo mirare per favorire una società più solidale, dove gli interessi individuali a volte possono essere accantonati per favorire quelli della collettività.

 

È a questo prezioso bagliore, capace di spezzare l'intensità del buio, che bisogna mirare per trovare fiducia nel futuro.

 

Di questo episodio abbiamo parlato anche QUI

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