"C'è foschia, dalla pianura oggi le montagne non si vedono": l'immagine di un vuoto percepibile nell'ennesima campagna elettorale
Una giornata di foschia in Pianura Padana. Le montagne distanti e nascoste da una strana bruma. Un'assenza che si riflette nella campagna elettorale appena trascorsa, dove la montagna è stata ancora quasi del tutto assente
Cammino tra piatti campi di pianura, la mia pianura. È una strana mattina di inizio giugno avvolta da una foschia rossastra, la cui coltre confonde l’orizzonte, sia a Nord che a Sud.
Pochi metri di dislivello, il massimo che si può chiedere da queste parti, e arrivo in cima ad una collinetta appena accennata, un antico argine naturale del Grande Fiume, il Po. Da questo crinale modestissimo, in giornate terse ben diverse da quella di oggi, amo osservare le Alpi e gli Appennini che si guardano, come fronti di due eserciti contrapposti.
Le prime a Nord, più lontane ma ben visibili, con le loro punte aguzze e le nevi perenni del Monte Rosa distinguibili anche d’estate, chissà per quanto poi. I secondi a Sud, più vicini, più verdi, più morbidi. E qui in mezzo, tutt'attorno, un dedalo di capannoni e autostrade, di tangenziali e ferrovie, di paesi allungati lungo le grandi arterie viarie e di campi, campi, campi, poi stalle, campanili e ancora campi.
Cammino sul mio umile crinale e penso a quelle montagne oggi quasi invisibili, maledetta foschia. Come mai, mi chiedo spesso, sono finito a studiare, ad appassionarmi e a scrivere di montagne essendo nato in questo posto? Ripenso così a Walter Bonatti, grande alpinista ed esploratore, anche lui legato a questa terra. Mi ripeto a memoria alcune sue parole che ho stampate in testa da tempo e mi dico che... sì, forse è andata proprio così.
“Ero ragazzo e dalla Pianura Padana, dove per qualche anno ho vissuto, guardavo la linea azzurrina dei monti lontani sull’orizzonte. E sognavo”, scriveva Bonatti. “Amavo molto starmene per ore intere a fantasticare sulle rive del Po. Là c’erano distese di sabbia e la grande corrente. Nella mia testa ne facevo dei deserti e degli oceani. Seduto su quelle rive sabbiose viaggiavo con il pensiero a cavallo di un pezzo di legno portato dal fiume. Arrivavo così ai mari, all’Est e all’Ovest, e fino agli oceani. Sì, su quelle sabbie sono cresciuto, sognando. Il Po era il mio mare, le sue boscaglie le grandi foreste, e le secche i miei vasti deserti”.
Forse è andata davvero così. Questo tratto di pianura, grande sì, ma non troppo, ti stimola a sognare, ti obbliga a guardare lontano, a chiederti costantemente cosa c’è laggiù, dove l’orizzonte non è una linea piatta ma una lama di sega fatta di denti apparentemente infiniti. Questo posto ti fa venir voglia di inforcare la bicicletta, di caricare in macchina zaino e scarponi. Ti fa venire voglia di partire… e poi di tornare.
Sono tornato a casa per votare, questa volta. Chissà perché, nonostante abiti lontano da ormai tanti anni, non mi sono ancora deciso a cambiare residenza. È una radice, il nome di questo luogo impresso sulla carta d’identità, che non riesco proprio a recidere.
Ho appena espresso il mio voto per le elezioni europee e mi rendo improvvisamente conto di quanto questa bruma, che oggi offusca Alpi e Appennini, sia un’immagine nitida che riflette un vuoto assai presente tra i simboli delle schede elettorali. Di montagna non si è parlato, se non marginalmente, in questa campagna elettorale (grazie a chi, controcorrente, lo ha fatto!). Di montagna, in politica, si parla sempre troppo poco in un Paese, il nostro, che è fatto di colline e montagne. La foschia è costante, sempre più cupa, odora di disinteresse e d’abbandono. Ma ciò che si fa o non si fa lassù, tra quei rilievi lontani, tra quelle “linee azzurrine” che descriveva Bonatti, si riflette anche qui, tra città, autostrade, campi e capannoni. In montagna c’è ambiente e biodiversità, ci sono materie prime rinnovabili, c’è energia, c’è acqua, c'è vita - lavoro, paesaggio, cultura, storia - e c’è la crisi climatica, con le sue conseguenze che dai versanti arrivano proprio quaggiù, a valle.
È normale - penso scendendo dal mio ridicolo crinale - che la politica viva delle istanze della maggioranza dei cittadini, che qui in pianura, nelle città e lungo le coste vivono e lavorano in massa. Ma proprio come accade in certe giornate terse dal mio paese, bisognerebbe avere le montagne sempre lì, sulle agende politiche, ben visibili, a ricordarci che esistono e che le pianure, in fondo, sono “minoranza geografica”. Sempre lì, a farci ragionare, a porci domande e dubbi, a raccontarci storie utili, a rammentarci sfide necessarie.
E poi, come diceva Bonatti... a farci anche un po' sognare, ad invitarci a guardare lontano.
Luigi Torreggiani è giornalista e dottore forestale. Collabora con la rivista “Sherwood - Foreste ed Alberi Oggi” e cura per Compagnia delle Foreste la comunicazione di progetti dedicati alla Gestione Forestale Sostenibile e alla conservazione della biodiversità forestale. Realizza e conduce podcast, video e documentari sui temi forestali. Ha pubblicato per CdF “Il mio bosco è di tutti”, un romanzo per ragazzi, e altre storie forestali illustrate per bambini. Per People ha pubblicato “Sottocorteccia. Un viaggio tra i boschi che cambiano”, scritto a quattro mani con Pietro Lacasella.