Guerra in Ucraina, blocco riserve estere ed esclusione da Swift: ecco come funzionano le 'armi' dell'Occidente. Schiavo: “Sanzioni colpiranno Mosca nel breve e lungo periodo”
Secondo Stefano Schiavo, direttore della Scuola di Studi Internazionali di Trento, ciò che si rileva dagli ultimi giorni è: “Il segnale lanciato dalle potenze Occidentali: se continuerà a seguire questo percorso la Russia verrà sempre più isolata dal mondo"
TRENTO. “O sanzioni o Terza guerra mondiale”: in sintesi è questo il messaggio lanciato negli ultimi giorni dal presidente americano Joe Biden, intervenuto per sottolineare come dopo l'invasione russa dell'Ucraina (e la minaccia del presidente Vladimir Putin di “conseguenze mai viste nella storia” per chi fosse intervenuto, un velato ma chiarissimo riferimento al possibile utilizzo di ordigni nucleari), le uniche 'armi' in mano alla Nato (esclusa evidentemente l'opzione militare) fossero le sanzioni economiche: ma in cosa consiste il pacchetto di misure previsto, principalmente, da Unione Europea e Stati Uniti? Per approfondire la questione il Dolomiti ha contattato il direttore della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento, Stefano Schiavo.
“Le sanzioni – spiega l'esperto – sono in pratica studiate per colpire la Russia sia nel breve che nel medio-lungo periodo. Procedendo per ordine, il congelamento delle riserve valutarie della Banca Centrale Russa, detenute per la maggior parte all'estero, sta avendo un'impatto importante e sostanzialmente immediato”. Non potendo più accedere alle riserve estere (si tratta, dice la Bbc, di circa 630 miliardi di dollari) infatti, la Banca Centrale in questa fase non è più in grado di sostenere il valore del rublo, che negli ultimi giorni è crollato deprezzandosi del 40% nei confronti del dollaro. “Chi possiede rubli oggi – dice Schiavo – vende per acquistare valuta estera: il tasso di cambio in questo modo continua a calare, le importazioni diventano sempre più costose (se prima per acquistare un bene erano sufficienti ad esempio 10 rubli, oggi ne servono 14) e l'aumento dell'inflazione riduce il potere d'acquisto di tutti gli attori economici in Russia”.
Un circolo vizioso che impatta anche sul debito contratto in valuta estera, che diventa quindi molto più difficile da ripagare: “Una parte delle imprese russe – spiega infatti il direttore della Scuola di Studi Internazionali – ha contratto debiti in dollari ed ora è possibile che parte di questi prestiti non vengano più rimborsati, con un potenziale impatto negativo sul sistema economico internazionale”. Un impatto però che, dopo il 2014 e le prime sanzioni imposte a Mosca per l'intervento in Ucraina e l'annessione della Crimea, sarà comunque più limitato visto che oggi la Russia è “meno esposta sui mercati mondiali” dice Schiavo e la sua economia è in parte “già isolata” nei confronti del resto del mondo: “Un ridotto impatto negativo sugli istituti europei e italiani ci sarà comunque, un impatto 'di rimbalzo' il cui ordine di grandezza sarà però completamente diverso rispetto agli effetti che le sanzioni stanno portando in Russia”.
L'altra grande misura di cui si è tanto discusso negli ultimi giorni poi è l'esclusione di alcuni istituti bancari russi dal sistema internazionale di pagamento Swift, fondamentale per il movimento di asset a livello mondiale : “Si tratta in poche parole di un circuito per i pagamenti bancari internazionali – dice Schiavo – e per la Russia l'isolamento finanziario è la minaccia maggiore a breve termine. Ci sono delle alternative, come il sistema sviluppato dagli stessi russi e da quello cinese, ma come molti altri servizi si tratta di un meccanismo che funziona sulla base dell'economia di rete: è utile se viene utilizzato da molti agenti”. E Swift, nato nel 1973 e con sede in Belgio, connette 11mila banche ed istituzioni in oltre 200 Paesi in tutto il mondo. “In una fase di estrema incertezza come questa – continua l'esperto – è quindi normale vedere le immagini arrivate negli ultimi giorni dalla Russia, dove si sta verificando una vera e propria corsa allo sportello per ritirare la propria liquidità. Sono fasi di panico che non hanno necessariamente una spiegazione razionale: in parte si tratta anche di persone che stanno cercando di uscire dal Paese, portando con loro il capitale fisicamente”.
Come detto però, le sanzioni sono studiate per colpire l'economia russa non solo nel breve periodo, ma anche nel medio e nel lungo. “Molte delle importazioni russe – spiega infatti il professore di UniTn –, che diventeranno man mano sempre più care, sono beni strumentali, macchinari, apparecchi per le telecomunicazioni, per l'aeronautica, per il trasporto: privati di questi prodotti le imprese e l'economia russa perderanno nel tempo sempre più competitività, finendo per faticare a competere sui mercati internazionali. Un altro aspetto è il controllo del capitale operato da parte delle autorità russe, con le imprese occidentali costrette a convertire in rubli gran parte delle loro riserve: se queste operazioni si protrarranno nel tempo sarà un segnale negativo per potenziali investitori che renderà ancora meno appetibile la Russia come destinazione d'investimento. Le sanzioni americane poi, sul modello di quanto fatto in Cina con Huawei, si sono concentrate sul settore hi tech della telecomunicazione, uno dei comparti in cui la Russia importa di più, che porterà Mosca a faticare nello stare al passo nel medio-lungo termine, minando la crescita futura di un settore strategico”.
Sul fronte energetico invece, tanto importante per l'economia russa, uno dei settori colpiti è quello petrolifero, in particolare per quanto riguarda il raffinamento del greggio: “Le imprese occidentali – dice il direttore della Scuola di Studi Internazionali – non potranno più trasferire macchinari, prodotti e tecnologia ai russi. Ovviamente nel contesto della transizione ecologica, il settore dell'esportazione di combustibili fossili non potrà che diventare via via meno strategico, ma colpire le potenzialità tecnologiche russe in questo contesto fa sì che le prospettive di medio-lungo termine siano preoccupanti”. Sul versante delle esportazioni di gas invece a pesare è in particolare la decisione del cancelliere tedesco Scholz di bloccare il Nord Stream 2, arrivata all'indomani dell'invasione. “E' una scelta – dice l'esperto – che indica la decisione politica di smarcarsi in futuro dalla dipendenza nei confronti delle risorse, e quindi delle decisioni, russe: a mio parere si tratta di un progetto che non credo verrà ripreso”. Anche dopo la fine del conflitto insomma, il mondo “non tornerà come prima” e chi parla di una possibile ulteriore saldatura con Pechino per 'spostare' le esportazioni di materie prime verso est non sta tenendo in considerazione i rapporti di forza con la Cina.
“La Cina è un Paese talmente grande che se decidesse di acquistare più gas – continua Schiavo – potrebbe sostituire facilmente buona parte delle forniture europee, ma i rapporti di forza tra Mosca e Pechino non sono gli stessi. In poche parole: è la Cina a decidere il prezzo. Bisogna poi considerare che un gasdotto non si può realizzare dalla sera alla mattina, la Russia ha margini per aumentare le proprie infrastrutture presenti ma ci vorrebbero anni. Senza contare che lo scenario più probabile, già osservato in diverse parti del mondo, sarebbe di vedere la Cina prendere in mano la parte infrastrutturale per poi chiedere il passaggio di gas a prezzi molto convenienti. Non si tratta esattamente di un ottimo cliente”. Altre sanzioni hanno poi colpito i singoli (come lo stesso Putin o il ministro degli esteri Sergei Lavrov) ma sarebbero secondo l'esperto “più simboliche che altro”, un modo insomma per aumentare la pressione.
In conclusione però, dice Schiavo, ciò che si rileva mettendo insieme quanto fatto negli ultimi giorni è: “Il segnale lanciato dalle potenze Occidentali: se continuerà a seguire questo percorso la Russia verrà sempre più isolata dal mondo. L'Europa ha agito unita, accettando di pagare un prezzo per queste sanzioni, ancora una volta si tratta di un segnale politico molto importante e diverso da quanto si è verificato negli anni in altri contesti, o nella stessa Ucraina nel 2014. Non è banale che i Paesi dell'Unione stiano inviando armi in Ucraina, è la prima volta che succede. D'altronde però siamo in una situazione di gravità mai vista dalla fine della Seconda guerra mondiale”.