Contributi ai giovani agricoltori: c'è chi dice no. Serve un convegno per rivedere le politiche di incentivo
Laureato in Scienze Agrarie all'Università di Padova, dal 1961 al 1994 è stato docente all'Istituto Agrario di San Michele
Giovani che sono figli di agricoltori e decidono di continuare l’attività di famiglia dopo aver acquisito un titolo di studio adeguato o il brevetto di imprenditore agricolo frequentando il corso biennale di S.Michele o il quadriennio del professionale.
Giovani che, non provenendo da famiglia di agricoltori, scelgono di dedicarsi a coltivazioni marginali ma pregiate, magari biologiche, perché non hanno i soldi per acquistare grandi superfici di terreno. Giovani non più giovanissimi che, appartenendo ad una famiglia di agricoltori e/o di allevatori, decidono dopo i 30 anni, quindi in età matura, di continuare l’attività del padre che ha superato la soglia della pensione. Giovani che ereditano campagna magari acquistata da padri non agricoltori, ma facoltosi, e scelgono il settore primario per passione (raramente) o sospinti da suggestioni mediatiche.
Il quadro è composito, ma andrebbe analizzato a livello socioeconomico e politico per stabilire se è proprio oro quello che luccica o se vi sono incentivi e/o disincentivi da attivare. Paolo Dalla Valle, coordinatore del corso biennale per imprenditore agricolo da quasi tre decenni, sostiene l’opportunità di un convegno o di un’analisi organizzata sull’argomento. Ritiene che chiedere o concedere il premio di insediamento a giovanissimi sia inopportuno o consenta situazioni di fittizio trasferimento di responsabilità gestionali.
Non si può dargli torto.