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Nuovi dazi europei sulle auto elettriche dalla Cina: provvisori ma rilevanti

DAL BLOG
Di Orizzonti Internazionali - 14 June 2024

Docenti di studi internazionali dell'Università di Trento

di Andrea Fracasso, professore di economia, Scuola di Studi Internazionali e Dipartimento di Economia e Management dell’Università di Trento

 

La Commissione europea ha recentemente annunciato di aver concluso, in via provvisoria, un’indagine sulla produzione dei veicoli elettrici a batteria in Cina. L’indagine era iniziata a fine 2023 dopo un forte e rapido aumento delle vendite di auto elettriche cinesi in Europa. La Commissione europea, con una mossa inusuale, aveva scelto di muoversi in autonomia, senza ricevere una segnalazione specifica fa parte di imprese o soggetti danneggiati. La Commissione ha trovato evidenze che le imprese cinesi beneficiano di ricche sovvenzioni pubbliche che permettono loro di vendere le auto elettriche nel mercato europeo a prezzi bassi. Queste condizioni pongono il rischio che si verifichi un serio pregiudizio economico ai produttori dell'Ue, non solo nel breve termine ma anche in prospettiva qualora questo stato di cose riducesse le opportunità di sviluppo dell’industria europea (come già avvenuto in passato per i pannelli solari). 

A partire dal 4 luglio, così, l’Ue alzerà provvisoriamente i dazi sulle importazioni di auto elettriche dalla Cina dall'attuale 10% a valori che arrivano fino al 48,1%, differenziando i dazi per ciascuna casa automobilistica a seconda del vantaggio competitivo ricevuto dalle sovvenzioni cinesi e alla luce della collaborazione offerta alla Commissione durante l’inchiesta (per esempio BYD subirà un aumento “solo” del 17,4%). Una approfondita discussione con la controparte cinese permetterà alla Commissione di comprendere meglio la natura della situazione, l’adeguatezza delle misure provvisorie anti-sovvenzione dell’Ue e le eventuali azioni correttive che la Cina può scegliere di intraprendere. Questo processo di confronto segue le procedure stabilite dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) per dirimere le controversie commerciali senza che esse sfocino in vere e proprie guerre tariffarie. I dazi dell’Ue dovranno essere stabiliti in via definitiva entro 4 mesi dall’imposizione di quelli provvisori.

 

Nell’immediato, dato che la Cina contesta il merito delle decisioni europee, essa potrà alzare i dazi su alcuni beni importati dall’Europa come rappresaglia. La scelta dei prodotti europei da vessare dipenderà dal tipo di pressione che la Cina vorrà esercitare sulla Commissione e sul Consiglio. La Germania, contraria alle nuove tariffe e favorevole a mantenere basso l’attrito con la Cina, non dovrà essere convinta, ma l’eventuale aumento di dazi cinesi su esportazioni sensibili per la Germania potrebbe rafforzare la determinazione con la quale i tedeschi chiedono alla Commissione un approccio moderato. I prodotti più a rischio di ritorsione cinese sono quindi quelli francesi (in prossimità di una delicata tornata elettorale) e quelli di altri paesi a favore delle misure europee. Tuttavia, dato che la Commissione ha posto misure molto più moderate di quelle americane (con dazi pari al 100%) e diversificate a seconda del grado di aiuto ricevuto dall’impresa e della collaborazione nell’inchiesta della Commissione (fornendo una conferma dei sussidi ricevuti), la rappresaglia Cinese potrebbe essere moderata. La Cina lamenta soprattutto il fatto che l’Ue abbia agito unilateralmente tramite la Commissione (secondo le procedure dell’OMC) invece che negoziare bilateralmente (tra paesi), secondo il modello di relazioni internazionali che la Cina preferisce adottare. La Cina ha infatti chiesto all’Ue di "gestire adeguatamente le frizioni economiche e commerciali attraverso il dialogo e la consultazione". Possibile quindi che il confronto porti a dazi finali meno elevati, da un lato, e a un impegno cinese a ridurre i sussidi, dall’altro.

Un aspetto diverso da considerare riguarda le imprese cinesi ed europee nel caso in cui i dazi definitivi fossero confermati a questi alti livelli. Le imprese che producono in Cina potrebbero infatti decidere di spostare parte della produzione in Europa per vendere sul mercato unico senza essere soggetti ai dazi di importazione. Nonostante molti diano questa possibilità come probabile, alcuni distinguo sono necessari. Se le imprese cinesi in Europa continuassero a vendere a prezzi ridotti grazie agli aiuti ricevuti dalla madrepatria, la Commissione potrebbe aprire delle procedure di competizione scorretta con i nuovi strumenti della politica di concorrenza che consentono all’Ue di considerare ogni tipo di sussidio pubblico distorsivo ricevuto dalle imprese. Se invece le imprese cinesi in Europa iniziassero a vendere a prezzi più elevati, esse godrebbero sia degli aiuti cinesi (non più distorsivi del mercato, ma presenti) sia degli elevati prezzi di vendita. Questo creerebbe un incentivo alla crescita di collaborazioni industriali con la Cina in Europa, a spese dei consumatori di auto elettriche e a beneficio delle imprese automobilistiche europee che collaborano in Europa con quelle cinesi. Di certo la transizione energetica, in ritardo in Europa anche per via degli alti costi delle vetture elettriche, non ne trarrà beneficio.

 

La complessità della situazione viene spesso sottostimata. La nazionalità della proprietà delle imprese, la localizzazione della produzione e i mercati di vendita si sovrappongono. Abbiamo imprese europee che operano in Cina e imprese Cinesi che operano in Europa, imprese che producono in Cina (Europa) e vendono in Europa (Cina), e abbiamo imprese europee (cinesi) che forniscono beni intermedi per la produzione all’estero. Comprendere l’impatto delle misure tariffarie sui paesi, sui produttori e sui consumatori è tutt’altro che semplice. Inoltre, l’impatto varia se gli attori si riorganizzano a seguito delle politiche. Si può forse tutelare la produzione locale e le forze di lavoro locali impegnate in essa, ma non è chiaro chi benefici e chi paghi per tale tutela. Non è nemmeno semplice capire dove si collocheranno le nuove imprese euro-cinesi nell’Ue: la Spagna è già stata scelta da BYD e Chery, l’Ungheria è sulla mappa e le imprese tedesche nel settore hanno dimostrato interesse all’integrazione. Non è quindi un caso che la risposta alle misure provvisorie della Commissione da parte delle stesse case produttrici europee sia stata molto diversificata. 

 

Questa complessità è in fondo una delle ragioni per cui la soluzione del (più) libero mercato è stata preferita per molti decenni nell’epoca d’oro della globalizzazione. Il ritorno della “geoeconomia” mostra che lo spirito dei tempi è molto cambiato e che un approccio “muscolare” al commercio internazionale potrebbe godere di un crescente consenso, nonostante i suoi esiti redistributivi rimangano alquanto incerti.

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