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Uno, nessuno o centomila? Storie moderne di organismi chimera – II parte

Continua l'approfondimento su questo tema. Le ultime scoperte ci dicono che ciascuno di noi, di fatto, non è unicamente sé stesso, ma piuttosto una “chimera” (quasi) perfettamente funzionante e sana. E questo concetto si estende ancor di più, anche se non si parla più di chimerismo, se ricordiamo la moltitudine di microrganismi che popolano in maniera simbiotica il nostro corpo, influenzando le sue dinamiche
Photo Credits: Derek Bromhall/ Getty Images
DAL BLOG
Di Open Wet Lab - 09 April 2018

Siamo un'associazione di giovani studenti o ex-studenti, impegnati nella divulgazione scientifica. La wet biology è l'attività di ricerca che si fa in laboratorio e a noi piace mettere le mani in pasta

Nello scorso articolo abbiamo parlato di chimere e introdotto il concetto di microchimerismo. Come dicevamo, il microchimerismo fetomaterno consiste in un interscambio di cellule dal feto alla madre attraverso la placenta e nella circolazione materna. Una volta compiuto il trasferimento, queste cellule hanno la capacità di insediarsi nel corpo materno per dare origine a porzioni di tessuto anche piuttosto ampie e complesse.

 

Alcune prime prove di questo meccanismo risalgono ai tardi anni ‘70 (per quanto già teorizzate diverso tempo addietro), quando leucociti fetali furono scoperti circolare nel sangue della madre. Questa scoperta è stata consolidata negli anni da indagini effettuate “filtrando” il sangue della madre con uno strumento (per gli intenditori, FACS - Fluorescence Activated Cell Sorter) che trattiene selettivamente le cellule non materne, caratterizzate dalla presenza di materiale genetico estraneo. In quel caso, la scelta più ovvia fu quella di ricercare cellule che contenessero caratteristiche maschili, e quindi il cromosoma Y. Il risultato fu lampante e diede inizio a un ramo di ricerca assai proficuo e tutt’ora prolifico.

 

Uno studio più recente, eseguito su corpi di donne decedute accomunate dall’aver avuto gravidanze pregresse, ha confermato la presenza di gruppi di cellule con cromosoma Y anche all’interno dei cervelli di più di metà dei soggetti analizzati. Gli autori di questo studio, forti di analisi genetiche, suggeriscono che queste cellule appartengono ai figli delle pazienti, e che si sono annidate nel corpo materno durante la gravidanza. In questo modo gli autori hanno ricercato specificamente le cellule dei figli maschi escludendo potenziali figlie femmine, per difficoltà nel trovare un tratto distintivo sempre presente. Se fosse possibile ricercare anche la presenza di cellule delle figlie, il microchimerismo a livello cerebrale sarebbe stato sicuramente ancora più lampante.

 

Ma com'è possibile che un evento come questo avvenga? Ovviamente, questo scambio non può che avvenire tramite la placenta, punto di contatto primario tra madre e feto. La placenta umana, in particolare, tra tutti i placentati, è quella caratterizzata da un maggior grado di invadenza, insediandosi in profondità nel nel corpo della madre. Questo avviene al fine di controllare il flusso sanguigno materno - pur senza scambi diretti di fluidi con il feto - per garantire nutrimento e ossigenazione. È proprio in questo frangente che, molto probabilmente, il feto ha la possibilità di rilasciare nel circolo sanguigno materno delle cellule, seppure in una maniera ancora non ben chiara. Altrettanto noto è che anche le cellule della madre possono passare con lo stesso principio al feto.

 

La ricerca in questo campo non è solo importante per capire come e perché avvenga questo fenomeno, ma anche per il grande impatto clinico che questa scoperta può avere. Diversi gruppi di ricerca stanno proponendo il potenziale coinvolgimento di queste cellule in casi di risposta autoimmune, dal momento che metà corredo genetico è materno e metà è del padre. La risposta immunitaria che si viene a generare sarebbe simile a quella riscontrata nei casi di rigetto in seguito a trapianto di organi o tessuti (menzionata anche nella prima puntata). Le cellule embrionali, grazie al materiale genetico paterno, esprimono delle caratteristiche, quali la presenza di proteine di superficie o la secrezione di composti al loro esterno, che vengono riconosciute come estranee e attaccate dal sistema immunitario materno. E lo stesso avverrebbe per il feto, in età adulta.  

 

Diversi studi correlano infatti il microchimerismo fetomaterno con malattie autoimmuni quali sclerosi sistemica, lupus eritematoso sistemico, sclerodermia e tiroidite cronica autoimmune, proprio per la presenza di cellule proliferanti parzialmente “estranee” al corpo della madre. Una correlazione è stata suggerita anche tra cellule fetali e frequenza di aborto spontaneo in gravidanze successive alla prima e preeclampsia (disturbi sistemici nel corpo della madre durante la gravidanza), fenomeni assai ricorrenti nelle gravidanze umane.

 

Il microchimerismo fetomaterno, quindi, potrebbe ad esempio spiegare casi di complicazioni derivanti da trapianti allogenici di midollo osseo e sangue, dal momento che cellule con genoma diverso (maschile) da quello del donatore (femminile) sono state ritrovate nel sangue destinato a trapianto di cellule staminali.

 

Nonostante la “fama” negativa che negli anni il microchimerismo fetomaterno ha acquisito, diversi studi suggeriscono un considerevole numero di effetti “benèfici” di queste cellule nel corpo della madre. In particolare, queste sembrano correlare con una maggiore facilità nel riparare i tessuti corporei, tramite la produzione di collagene. Inoltre, queste cellule sembrano agire come delle “sentinelle” per controllare la tumorigenesi nella madre (in particolar modo, nel seno)

 

Alcune cellule fetali sono state anche rilevate nel tessuto cardiaco, dove sembrano essere coinvolte nella riparazione di eventuali danni che possono formarsi a livello del miocardio. Esse sembrano agire quasi come cellule staminali, differenziando in un tessuto funzionale molto simile a quello cardiaco. Queste scoperte sono sensazionali, se si pensa all’alto livello di selettività negli interscambi a livello placentare. Ancor più, non è noto come queste cellule possano superare la barriera emato-encefalica materna, per entrare persino nel cervello. Sapendo inoltre, che questo processo è bidirezionale, queste considerazioni sono potenzialmente anche valide per il feto, e per le cellule 100% materne che alloggiano nel suo corpo fino alla sua senilità.

 

Questa scoperta ci fa rendere conto che ciascuno di noi, di fatto, non è unicamente sé stesso, ma piuttosto una “chimera” (quasi) perfettamente funzionante e sana. E questo concetto si estende ancor di più, anche se non si parla più di chimerismo, se ricordiamo la moltitudine di microrganismi che popolano in maniera simbiotica il nostro corpo, influenzando le sue dinamiche.

 

Il microchimerismo fetomaterno mantiene nel corpo di ciascuno di noi - anche per tutta la durata della nostra vita - cellule di nostra madre, di nostro figlio e, possibilmente, anche dei nostri fratelli maggiori o delle nostre nonne.

 

In noi vivono, quindi, tracce del nostro passato e del nostro futuro, in un sensazionale e ancora misterioso continuum intergenerazionale.

 

di Lorenzo Povolo

 

Per saperne di più (in inglese):

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