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Berlino chiama Italia e Trento e Bolzano non rispondono con lo scadimento delle due Province nell'autoreferenzialità

Il contributo di Sergio De Carneri avvocato, già parlamentare con il Partito comunista italiano negli anni '70

Di Sergio De Carneri - 24 gennaio 2023 - 19:50

TRENTO. In un recente articolo di fondo su di un quotidiano regionale dal titolo “Riportare al centro Berlino,” Gianni Bonvicini, studioso di questioni europee e di politica estera dell’Istituto Affari Internazionali, evidenzia gravi lacune della politica estera italiana nelle relazioni con la Repubblica federale tedesca cui siamo legati da un complesso di relazioni, economiche e non, di importanza cruciale. Al riguardo l’articolo segnala che nel corso di decenni, sottovalutando la rilevanza di questo rapporto strategico, l’Italia si è limitata ai tradizionali rapporti diplomatici col maggiore stato europeo, mentre la Francia nel contempo li ha portati a ben altri livelli e dimensioni.

 

La Repubblica francese, infatti ha stabilito negli anni molteplici e consolidati legami collo stato tedesco che prevedono istituzionalizzati rapporti fra i due governi, i relativi ministri , gli apparati statali, scambio pianificato fra alti funzionari, accademici , economisti imprenditori, e molto altro, in funzione di obbiettivi strategici comuni. Tutto questo induce l’autore a invocare una svolta strategica in direzione di uno straordinario e pianificato incremento a tutto campo dei rapporti fra Italia e Germania. A ben vedere, le esigenze esposte nello scritto, pienamente condivisibili, trascendono i rapporti fra le due nazioni e riguardano lo sviluppo dell’intera costruzione europea che richiede la reciproca compenetrazione fra stati e popoli.

 

Ma questa tematica non può non chiamare in causa il Trentino Alto Adige, che Bonvicini menziona nel suo scritto come area particolarmente sensibile, in quanto secolare sede di insediamento di popoli delle due nazionalità e di comuni istituzioni di autogoverno locale. Ci troviamo quindi in una area cruciale dell’Europa, e quanto vi è accaduto e vi accade dimostra il ruolo rilevante di questi territori nelle vicende del nostro continente, e in particolare nei rapporti col mondo tedesco.

 

Da qui, dall’obbiettivo di conquistare questo territorio fino al confine” fatidico” del Brennero, sono partite le spinte all’ intervento in guerra dell’Italia nel 1915, che fu decisivo per la vittoria delle potenze dell’Intesa; da qui, 20 anni dopo, con le opzioni, ebbero inizio le trasmigrazioni forzate di popoli provocate dalla Germania nazista, che si ritorsero poi contro di essa con la sconfitta e con la fuga verso occidente di molti milioni di tedeschi.

 

Ma qui, solo qui, le popolazioni di lingua tedesca poterono tornare, reintegrate nei loro diritti, nel quadro della speciale autonomia regionale, e in adempimento dell’Accordo De Gasperi Gruber. E questa Speciale autonomia, della cui istituzione e vita il Trentino è stato ed è parte costituente, superando crisi interne e di carattere internazionale ,ha accompagnato e propiziato la costruzione europea, ed è tuttora un modello che l’Unione europea propone ai popoli di questo continente per risolvere i conflitti etnici che li affliggono.

 

E tuttavia, in contraddizione con tutto questo, le classi dirigenti di questo territorio appaiono oggi in larga parte distanti, nelle loro concezioni, da quella dimensione europea che il passato e la realtà presente richiedono, soprattutto dal punto di vista dell’incontro fra i popoli, quello tedesco e italiano innanzitutto. Il bilinguismo in Alto Adige dopo oltre 70 anni dalla nascita dell’autonomia, è ancora una meta lontana per il gruppo linguistico italiano, sia per difficoltà obbiettive che per precise scelte politiche.

 

Altrettanto è da dire per il Trentino, dove il dialogo col mondo tedesco, la Germania innanzitutto, in armonia col quadro regionale, era nei piani strategici della Provincia di Trento nella stagione di Bruno Kessler (istituto italo germanico, gemellaggio col Land tedesco della Renania Westfalia) poi rigorosamente cancellati. D’altronde a questi fallimenti ha corrisposto una progressiva involuzione delle istituzioni autonomistiche. La spogliazione della Regione e l’usurpazione da parte delle Province a turno, della figura del Presidente della Regione, ha rappresentato un sovvertimento dei principi fondanti dello Statuto, su cui il governo nazionale dell’epoca ha colpevolmente chiuso gli occhi.

 

Ne è seguito lo scadimento delle due Province a territori dove la difesa della identità culturale è diventata autoreferenzialità e rifiuto del dialogo cogli altri gruppi linguistici. Due Università, una per ogni provincia, e parecchie istituzioni scientifiche create dall’autonomia, che si ignorano a vicenda, con enormi danni da diseconomie per tutto il territorio!

 

E a questo punto è da chiedersi come potrebbero istituzioni così “provinciali” fungere da ponte verso l’Europa. Se il processo di smantellamento della Regione, e dello Statuto speciale, non sarà invertito, entrambe le province rischiano di pagare costi cruciali. In Alto Adige la minoranza nazionale italiana, già ora emarginata, vedrebbe aumentare il suo isolamento, con possibili reazioni a livello di convivenza sul territorio, nelle istituzioni, e nel quadro geopolitico. In Trentino, la progettata aggregazione ad una super regione del nordest metterebbe in crisi la sua appartenenza al quadro dello Statuto speciale, che è già periclitante.

 

Nelle elezioni di autunno i nodi di questa crisi, che destabilizza dalle fondamenta un assetto statutario frutto di un lungo, travagliato, percorso nazionale e internazionale, sono destinati a venire al pettine. Ed una questione sarà prioritaria e dirimente: la nomina o meno di un vero Presidente della Regione, dopo la lunga, avvilente stagione delle “staffette.

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