Contenuto sponsorizzato

“A Taiwan nessuno vuole innescare la scintilla, ma a forza di mostrare i muscoli il pericolo (anche di errori) aumenta: è una situazione da Guerra Fredda"

L'analisi del direttore della Scuola di Studi Internazionali di Trento Stefano Schiavo dopo i tre giorni di esercitazioni militari condotte dalla Cina intorno a Taiwan: “Come al solito sullo sfondo ci sono gli accadimenti politici, con il recente incontro in California della premier taiwanese Tsai Ing-Wen con il presidente della Camera dei rappresentanti, il repubblicano Kevin McCarthy”

Di Filippo Schwachtje - 11 aprile 2023 - 20:04

TRENTO. “Manovre congiunte per affilare la spada”. Al di là dei fatti (e tra il dispiegamento dei nuovi aerei da combattimento J-15 e della portaerei Shandong, il fiore all'occhiello della marina cinese, i fatti non sono certo cosa da poco), anche solo le parole scelte dalle autorità cinesi per denominare i tre giorni di imponenti esercitazioni militari portate avanti intorno a Taiwan (dall'8 al 10 aprile) restituiscono in toto la dimensione muscolare nella quale, da tempo ormai, si muove il Dragone nei confronti della “provincia ribelle” al largo delle coste della Repubblica popolare. Nel solo terzo giorno di mobilitazione cinese, la Difesa di Taiwan ha rilevato ben 11 navi da guerra e 59 aerei intorno all'isola mentre poco più a sud, nel Mar Cinese Meridionale, un cacciatorpediniere americano ha condotto una “missione sui diritti e la libertà di navigazione” vicino ad un arcipelago (le isole Spratly) rivendicato da Pechino, scatenando l'ira delle autorità cinesi.

 

“La situazione è tesa – sintetizza a il Dolomiti Stefano Schiavo, direttore della Scuola di Studi Internazionali dell'Università di Trento – nessuno degli attori in campo, Stati Uniti e Cina ovviamente in primis, ha interesse nel far scattare una scintilla, ma allo stesso tempo nessuno vuole fare un passo indietro che possa essere interpretato come un segno di debolezza. Gli stessi Stati Uniti hanno dato il via in questi giorni alle annuali manovre congiunte con le forze armate filippine, manovre che hanno raggiunto quest'anno dimensioni ben maggiori del solito (è coinvolto il personale militare di una quindicina di Paesi alleati) proprio per dimostrare alla Cina che la sua posa muscolare viene percepita come aggressiva e che gli Usa ed i suoi alleati non rimarranno a guardare in caso di aggressione”. Nessuno in sostanza vuole la guerra a Taiwan, ma a forza di mostrare i muscoli il pericolo aumenta, dice Schiavo, anche solo in riferimento ad un possibile incidente in grado di dare il via ad un'escalation non desiderata.

 

“Come al solito – spiega il direttore della Scuola di Studi Internazionali di Trento – sullo sfondo ci sono gli accadimenti politici, con il recente incontro in California della premier taiwanese Tsai Ing-Wen con lo speaker della Camera dei rappresentanti, il repubblicano Kevin McCarthy. Un incontro che la Cina vede come un affronto, una provocazione, un po' come per quanto accaduto lo scorso anno in occasione della visita a Taiwan dell'allora speaker Nancy Pelosi (Qui Articolo)”. Il tutto s'inserisce poi in un contesto generale di rapporti tesi tra Usa e Cina. C'è quindi il rischio che la situazione a Taiwan degeneri? “Come già detto, nessuno vuole la guerra – ribadisce Schiavo – ma nessuno in questo delicato momento di grandi tensioni internazionali vuole mollare di un centimetro. Siamo in una situazione nella quale va ricercato un equilibrio, chiaramente instabile, mostrando i muscoli senza però oltrepassare, per così dire, la linea rossa”.

 

Il riferimento più vicino, dice il professore, è la Guerra Fredda: “E' dalle tensioni che hanno caratterizzato i decenni di Guerra Fredda che non vediamo una situazione del genere. Fino a 10-15 anni fa la Cina non aveva mai assunto queste posture da superpotenza, aveva sempre dichiarato di voler ottenere un suo 'posto' nel mondo ma dal punto di vista economico, non per arrivare ad avere una posizione assertiva sullo scacchiere geopolitico mondiale. Cosa che invece sta avvenendo con il terzo mandato del presidente Xi Jinping, che ha ormai definitivamente cementato la propria posizione e che potrebbe quindi farsi progressivamente meno prudente”.

 

Di certo c'è che sul lungo periodo una soluzione per la questione, al momento, non esiste: “Per la Cina non ci sono discussioni – dice infatti Schiavo –: Taiwan è a tutti gli effetti una Provincia cinese. La posizione occidentale è invece più complessa dal punto di vista diplomatico, visto che da una parte gli Stati Uniti (e la maggior parte dei suoi alleati) non riconoscono formalmente l'indipendenza di Taiwan ma dall'altra si impegnano comunque a difenderne l'autodeterminazione. Gli Stati Uniti in particolare hanno pubblicamente dichiarato che, in caso di aggressione, interverrebbero militarmente a Taiwan: il contesto quindi è molto diverso rispetto, per esempio, a quello ucraino e se la situazione dovesse degenerare gli Usa faticherebbero non poco a non entrare in gioco, visto e considerato che sul piano delle forze armate il contesto sarebbe ancora più sbilanciato in favore del Paese aggressore”. La posizione americana serve ovviamente come deterrente ma, nonostante la dimostrazione di forza di questi ultimi giorni, nemmeno la Cina avrebbe interesse in questa fase ad entrare in un conflitto viste le difficoltà dell'economia del Dragone ed i timori per il sistema finanziario cinese, dice Schiavo.

 

Proprio per questo la Repubblica Popolare potrebbe tentare strade diverse, cercando di favorire la vittoria nelle prossime elezioni a Taiwan (saranno nel gennaio del 2024) del Kuomintang, il principale partito d'opposizione nel Paese e più favorevole, al contrario del Partito democratico progressista della presidente in carica, ad un riavvicinamento con la Cina: “La stragrande maggioranza della popolazione però – sottolinea Schiavo – è schierata nettamente per il mantenimento dell'indipendenza di Taiwan e personalmente non credo che, a prescindere da chi vincerà le prossime elezioni, questo consenso possa cambiare. I taiwanesi hanno visto quello che è successo ad Hong Kong, le leggi restrittive per la libertà di associazione, di pensiero”. Allo stesso modo però, Taiwan è ben consapevole di non avere le forze per rendersi indipendente in autonomia.

 

“Ecco quindi – conclude Schiavo – che il continuo bilanciamento e la ricerca di un equilibrio diplomatico tra esigenze è ben presente a livello politico anche all'interno dell'isola. Guardando alle esercitazioni cinesi degli ultimi giorni, la visione più ottimistica è che si tratti in sostanza di 'valvole di sfogo' che permettono alle autorità di Cina e Stati Uniti di lanciare un messaggio rivolto in particolare ai propri cittadini, sperando di ottenere un risvolto politico positivo in patria mantenendo però, di fatto, lo status quo a livello internazionale. Quel che è certo però, come detto, è che al momento manca una soluzione a lungo termine”. E nel frattempo il Dragone affila le spade.

Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato
In evidenza
Ambiente
22 gennaio - 12:44
Pubblicato lo studio indipendente di Greenpeace Italia ''Acque Senza Veleni''. Livelli elevati si registrano in Lombardia (ad esempio in quasi [...]
Cronaca
22 gennaio - 11:19
I militari stanno cercando di ricostruire diversi aspetti dell'accaduto, compreso il movente dell'aggressione ai danni dello studente - lavoratore, [...]
Cronaca
22 gennaio - 11:10
Giorgio Del Zoppo (per tutti 'Gufo') è stato trovato a letto esanime dopo esser stato stroncato, a soli 55 anni, da un malore
Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato
Contenuto sponsorizzato