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Ucraina, la lezione (di quasi 20 anni fa) di Anna Politkovskaja su Putin (prima di essere ammazzata) e cosa dobbiamo fare come Occidente adesso

Lettera di Ermanno Arreghini che ricorda il pensiero della giornalista oppositrice al regime di Putin e che spiegava, già nei primi anni 2000, chi era il tiranno russo quando ancora Berlusconi era uno dei suoi principali sponsor in Europa. E poi tre azioni per cercare di arrivare alla fine di questa terribile guerra. Tre strade da percorrere per raggiungere il cessate il fuoco tanto sperato 

Di L.P. - 19 dicembre 2022 - 16:24

TRENTO. Mentre in Ucraina la pace sembra ancora lontanissima con entrambi i fronti che si preparerebbero a controffensive forti del fatto che con l'inverno i terreni gelano e gli spostamenti di mezzi pesanti sarebbero facilitati, in Europa ci si interroga su cosa fare, come e, in qualche caso, anche perché. In Italia, infatti, il fronte della sinistra anti-Nato spinge per una ''pace'' che non è altro che disinteresse verso i destini del popolo ucraino chiedendo lo stop ai governi (in particolare il nostro) europei all'invio di armi.

 

Dall'altro lato, fortunatamente, l'Europa è compatta e il sostegno a Zelensky e alla resistenza ucraina resta prioritario sia con le politiche di sanzioni alla Russia di Putin che con l'invio di armi all'esercito del popolo invaso. In questo senso ospitiamo la lettera di Ermanno Arreghini, medico-psichiatra di Trento, che qualche settimana fa ha lanciato una petizione per chiedere le dimissioni dei parlamentari europei italiani che hanno espresso voto contrario (Francesca Donato (ex Lega); Pietro Bartolo (Pd); Andrea Cozzolino (Pd); Massimiliano Smeriglio (Pd) o si sono astenuti (i 5 Stelle) alla risoluzione in cui si è riconosciuta la Russia come stato sponsor del terrorismo per le atrocità commesse dal regime di Vladimir Putin contro il popolo ucraino.

 

Arreghini spiega come nelle parole di Anna Stepanovna Politkovskaja giornalista russa uccisa nel 2006 dopo aver condotto una strenua ''battaglia'' a colpi di ''penna'', parole e idee, contro il regime di Putin e la guerra condotta in Crimea, ci fosse già tutto. Come ci spiegasse già, perfettamente, chi era Putin, cosa stava facendo e come si stava muovendo (anche grazie all'amicizia con Silvio Berlusconi ''suo paladino in Europa''). E riletta oggi ci aiuta a capire cosa dovremmo fare adesso: da un lato sostenere la causa ucraina con le armi e le risorse che possiamo mettere in campo; dall'altro distinguere sempre tra ''la cupola mafiosa che governa la Russia'' e il suo popolo; infine spingere per dei referendum veri, credibili, sotto l'egida della Nato che, qualora dovessero dare un esito favorevole all'accorpamento di alcuni territori occupati alla Russia siano rispettati fino in fondo: ciò che sarà Russia a quel punto vivrà la sua storia, nell'isolamento della storia.

 

Dovrà essere il popolo russo, a quel punto, a liberarsi del suo tiranno mentre l'Europa e con essa l'Ucraina potrà tornare a vivere in pace e per la pace. Ecco la lettera completa.  

 

 

 

Egregio Direttore,

Le sarei grato di avere ancora un po’ di ospitalità sul Suo quotidiano con queste poche riflessioni, sempre siano di interesse generale, che derivano da uno sguardo un po’ più ampio sui fatti recenti del conflitto russo-ucraino.

 

Nel 2004 Anna Stepanovna Politkovskaja, due anni prima di essere freddata nell’ascensore della propria abitazione di Mosca da ignoti - espressione che nella Russia di allora e di oggi è un eufemismo che nasconde ciò che è invece noto a tutti - scriveva: “Perché ce l’ho tanto con Putin? Per tutto questo. Per una faciloneria che è peggio del latrocinio. Per il cinismo. Per il razzismo. Per una guerra che non ha fine [la seconda guerra cecena]. Per le bugie. Per i gas nel teatro Dubrovka [dove è avvenuto il sequestro da parte di separatisti ceceni di quasi mille ostaggi fra il 23 e il 26 ottobre 2002, risoltosi con l’uso improvvido e criminale di un gas dalla composizione non nota]. Per i cadaveri dei morti innocenti che costellano il suo primo mandato. Cadaveri che potevano non esserci (p. 354, La Russia di Putin, Adelphi, 2022).

 

E ancora: “Vorrei davvero che i nostri figli potessero essere liberi. E che i nostri nipoti ci nascessero, liberi. Per questo invoco il disgelo. Gli unici a poter cambiare il clima, però, siamo noi. E nessun altro. Aspettarcelo dal Cremlino, com’è accaduto con Gorbačöv, oggi è sciocco e irrealistico. Né ci potrà aiutare l’Occidente, che poco si cura della «politica antiterrorismo di Putin» e che invece mostra di gradire la vodka, il caviale, il gas, il petrolio, gli orsi e un certo tipo di persone…(p. 370).

 

In continuità con la petizione che questo giornale ha ospitato, nella quale chiedevo le dimissioni di alcuni parlamentari europei italiani che avevano votato contro (o si sono astenuti) la risoluzione del Parlamento Europeo del 23 novembre contro la Russia - votazione sulla quale nulla vale aggiungere, che nasce da una corrente di pensiero auto-colpevolizzante nei confronti del Cremlino non così peregrina in Italia e che speriamo sia almeno autonoma, dati i recenti fatti di corruzione all’interno dell’assemblea europea - sento invece di sottolineare all’attenzione pubblica la nostra vera colpevolezza, quella dell’Unione Europea nel ventennio passato ed anche mia personale, in quanto cittadino europeo, che, di nuovo, Anna Politkovskaja ci esprime con angosciante lucidità: Del resto il revanscismo sovietico seguito all’ascesa e al consolidamento del potere di Putin è lampante. A renderlo possibile, però – e va detto – non sono state solo la nostra negligenza, l’apatia e la stanchezza seguita a tante – troppe – rivoluzioni. Il processo è stato accompagnato da un coro di osanna in Occidente. In primo luogo da Silvio Berlusconi, che di Putin si è invaghito e che è il suo paladino in Europa. Ma anche da Blair, Schroeder e Chirac, senza dimenticare Bush junior oltre oceano. Il nostro ex KGBista non ha trovato inciampi sul suo cammino. Né in Occidente, né in un’opposizione seria all’interno del Paese”.

 

Si tratta di parole scritte nel 2004, quasi vent’anni fa, durante una guerra, la seconda guerra cecena, che sembra la riedizione di quella attuale in Ucraina, nella quale, allora, non vi è stata nessuna “provocazione” da parte della Nato, nessuna offesa alla dignità e all’onore, ammesso che ne abbia, di questo piccolo ex tenente colonnello del KGB, che la vecchia nomenklatura sovietica aveva collocato in una posizione di nessun conto, così come si addice alle sue caratteristiche personali. Si tratta di parole che lanciano un monito forte e grave ai Russi stessi e all’Occidente e che sono le parole da cui partire di nuovo oggi, da parte dei governi, dell’Unione Europea, di noi singoli cittadini europei.

 

Tutti, qui in Occidente, singoli e istituzioni, dovremmo esprimere fortemente la nostra contrizione per aver sbagliato, per aver negato, per aver sottovalutato, per non aver aiutato il popolo russo, popolo che ha sofferto enormi tragedie in tutto il ‘900 e che è parte fondante della cultura europea, artefice e vittima, come altri paesi europei, delle grandi catastrofi del secolo scorso. Dobbiamo esprimere la nostra contrizione per non aver aiutato il popolo russo a liberarsi di questa immane tragedia che è l’essere governati da una cricca corrotta che ha reso il paese marcescente, condannandolo alla povertà in ampi strati della popolazione, condannandolo al silenzio, condannandolo alla sudditanza verso il tiranno, condannandolo ora, con questa ennesima guerra non necessaria e propulsa dalle necessità di questo zar privo di umanità, ad ulteriori e maggiori tragedie.

 

Ma, nella pratica cosa possiamo effettivamente fare? Cosa possiamo sentire e trasformare poi in una molla potente, costruita e consolidata dall’indignazione ma anche dal dolore, cosicché i nostri governanti possono essere sollecitati, senza se e senza ma? Io penso, per prima cosa, che dobbiamo distinguere la cupola mafiosa che regge la Russia di oggi dai singoli abitanti di quel paese, molti dei quali sono anche nel nostro paese a dare il loro contributo di lavoro e di conoscenza. Dobbiamo quindi far sì che i nostri governi accolgano senza alcuna formalità, come profughi, come schiavi che vogliano liberarsi, tutti i cittadini russi che intendano trasferirsi in Occidente. Questo consentirebbe il vero affratellamento che Putin non vuole, quello tra il popolo ucraino e il popolo russo, che sono stati fratelli nell’ex Unione Sovietica ma lo sono stati anche all’interno di numerosissime famiglie nei decenni passati, quando nulla impediva matrimoni misti, numerosissimi, e percorsi di vita e di lavoro perfettamente integrati fra le due comunità, nonostante le tragedie passate, una su tutte l’Holodomor del 1932.

 

Per seconda cosa penso che i governi dei paesi della Nato e di tutti i paesi di buona volontà debbano continuare a rifornire, senza esitazione, di mezzi per vivere e per combattere l’Ucraina, stimolando tuttavia un pensiero nei vertici politici di quel paese: gli Ucraini che vivono nei territori occupati dall’esercito russo e dai suoi mercenari, quelli occupati oggi e quelli presi arbitrariamente nel 2014, è giusto che continuino a far parte di un Ucraina che non vogliono? Io ritengo che i vertici ucraini debbano giungere ad un referendum che sia però monitorato e implementato dalle Nazioni Unite mettendo Putin con le spalle al muro e chiedendo effettivamente ai residenti delle zone orientali dell’Ucraina se vogliono democrazia e civilizzazione o barbarie e tirannide; se vogliono libertà e futuro o se vogliono schiavitù e sofferenza. Se è vero che qualcuna delle province dell’Ucraina dell’est preferisce Putin all’Occidente o ritiene di essersi sufficientemente abituata al regime russo o se per qualche motivo che non mi è noto vuole rimanere nel dolore e nella sofferenza, ci resti! Ci resti per sempre, resti sulla zattera della Medusa e se ne vada in balia dell’alto mare!

 

In terzo luogo, una volta che effettivamente una porzione di Ucraina voglia scientemente e liberamente starsene con il tiranno, stia col tiranno. Una volta presa questa decisione, sperando che sia sufficiente a far terminare questa tragedia immane, una nuova cortina di ferro, un muro impenetrabile fatto innanzitutto di indignazione, di censura, di disprezzo per la nomenklatura russa e per il suo tiranno andrà costruito dal Mar di Barents a Odessa, finché il popolo russo non deciderà di abbatterla per ricongiungersi alla comunità dei popoli europei. Così smetteranno finalmente di piangere le madri e i padri di giovani mandati a morire senza mezzi e senza istruzione militare, coscritti e kontratniki, proletari e non eroi, che non pensavano di trovarsi proiettati in una fornace il cui fuoco è stato attizzato del loro tiranno, tiranno che non è impastato della bontà televisiva che diffonde con la propaganda bensì di male e cattiveria, di disprezzo e di odio, incoercibili dalla sua insufficiente ragione.

 

 

Ermanno Arreghini, medico-psichiatra, Trento

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