“La visita di Pelosi a Taiwan? La partita si gioca guardando all'elettorato americano più che alla geopolitica”
Il direttore della Scuola di Studi Internazionali di Trento Stefano Schiavo: “Per gli Usa quello relativo a Taiwan è un dossier più di 'facciata' potremmo dire: essere duri nei confronti della Cina paga sempre in termini di consenso interno ed in questo momento, mentre ci avviciniamo alle elezioni di medio termine, la popolarità di Biden non è certo alle stelle. In ogni caso non mi stupirei se poi, alla fine, il viaggio non si facesse”
TRENTO. Non è ancora chiaro, alla partenza di Nancy Pelosi per il suo lungo viaggio in Asia, se la Speaker democratica della Camera dei Rappresentati farà tappa anche a Taiwan, come anticipato negli scorsi giorni, ma nel frattempo la tensione fra Stati Uniti e Cina (almeno a parole) è salita, con Pechino che ha minacciato di scortare con i suoi caccia l'aereo della terza carica statunitense. Una 'partita' che s'inserisce in un contesto internazionale già fortemente aggravato negli scorsi mesi dall'invasione russa dell'Ucraina ma che, secondo il direttore della Scuola di Studi Internazionali di Trento Stefano Schiavo, si gioca in realtà “guardando più all'elettorato americano che alla geopolitica”.
“Non credo ci sia il rischio diretto di una escalation – dice infatti Schiavo a il Dolomiti – aggiungere benzina sul fuoco in questo momento non avrebbe alcun senso, in particolare per gli Stati Uniti. Per gli Usa quello relativo a Taiwan è un dossier più di 'facciata' potremmo dire: essere duri nei confronti della Cina paga sempre in termini di consenso interno ed in questo momento, mentre ci avviciniamo alle elezioni di medio termine, la popolarità di Biden non è certo alle stelle. In ogni caso non mi stupirei se poi, alla fine, il viaggio non si facesse”.
Si tratta in sostanza di una direzione nella quale si è mosso negli ultimi anni anche Trump: “Anche la sua guerra commerciale – sottolinea Schiavo – si giocava più guardando all'appoggio interno in America, si tratta di mosse che hanno un eco molto più importante internamente e servono a mostrarsi in un certo modo agli elettori americani. Credo sia questa la lettura principale”. D'altra parte, nel quadro generale il rapporto tra Usa e Cina non è migliorato particolarmente dopo l'elezione di Biden.
“Trump aveva portato avanti un atteggiamento molto duro nei confronti della Cina dal punto di vista commerciale – dice il direttore della Scuola di Studi Internazionali di Trento – ma Biden, pur non avendo fatto nulla per aumentare la tensione, non ha nemmeno intrapreso passi distensivi netti”. Lo stesso Biden ha ribadito negli scorsi giorni, durante il colloquio con il presidente Xi, come sia necessario mantenere lo status quo rispetto a Taiwan: “E' vero che gli Stati Uniti – dice Schiavo – soffrono meno rispetto all'Europa per gli aumenti diretti del costo dell'energia e che l'inflazione americana è meno legata al conflitto, ma in questo momento avrebbero solo da perderci in nuove tensioni sul piano internazionale”.
In tanti in questa fase tracciano un parallelo tra la situazione a Taiwan e l'invasione russa dell'Ucraina: “I due dossier ovviamente non sono collegati direttamente ma in molti – conclude Schiavo – individuano un paragone, soprattutto perché la Cina non ha mai condannato nettamente l'invasione e sembra, anzi, essere passata ultimamente su posizioni più vicine a quelle del Cremlino. Allo stesso modo però non ha nemmeno mai appoggiato in pieno l'azione russa e tanti leggono quest'ambiguità come un tentativo di tenersi in sostanza le mani libere per un futuro intervento a Taiwan. Va ricordato però che gli Stati Uniti però si sono impegnati a difendere l'isola e per loro sarebbe quindi difficile girarsi dall'altra parte in caso di attacco”.