“La guerra non se n'è mai andata, è stata solo esportata: la lunga 'pace' in Europa esiste solo se ci raccontiamo una favola"
Con l'invasione russa dell'Ucraina anche nel cuore d'Europa è tornato l'orrore (ed il terrore) della guerra: ma il racconto di un Vecchio continente in pace dalla fine del secondo conflitto mondiale, al di fuori quasi della storia, corrisponde alla realtà? Tra "l'esportazione della violenza interna" ed un nuovo "conflitto intergenerazionale", lo storico Francesco Filippi spiega a il Dolomiti le circostanze che hanno caratterizzato gli ultimi decenni della storia europea e la grande prova che oggi il continente si trova ad affrontare con la guerra in Ucraina
TRENTO. “La storia non ha mai lasciato l'Europa, è stata solo relegata in altri ambiti: nel Vecchio Continente abbiamo assistito ad un cinquantennio in cui si sono solidificate grandi sacche di benessere, delle quali hanno comunque goduto al massimo 2 o 3 generazioni, mentre nel resto del mondo si sono susseguiti guerre e scontri 'esportati'”. Insomma, spiega a il Dolomiti lo storico Francesco Filippi, dopo il 1945 è stato costruito nel Vecchio Continente una sorta di “racconto, nel quale l'Europa ha eletto sé stessa come culla della civiltà 'più alta', un luogo dove non si sarebbe più immaginata una nuova guerra”. Un'illusione che oggi sembra essersi definitivamente esaurita, mentre in Ucraina si sta combattendo uno dei più sanguinosi conflitti sul territorio europeo dalla fine della Seconda guerra mondiale e la prima economia dell'Unione, la Germania, ha ritoccato in rialzo le previsioni di spesa militare per i prossimi anni.
Guardando indietro però ai quasi 70 anni di relativa pace vissuti dal Vecchio Continente, sottolinea Filippi, sono molte le circostanze da valutare: “Innanzitutto la presunta 'eccezionalità' di questo periodo è stata percepita solo in una parte del continente. Va poi detto che è un'illusione anche parlare della Guerra Fredda come di un periodo di pace: si sono affrontate due visioni del mondo completamente opposte e ne abbiamo visto i risultati, pensiamo al Vietnam, ai golpe in Sudamerica, alle destabilizzazioni portate avanti in Asia, in Africa”. Si parla insomma di un benessere dovuto in parte “al malessere altrui”. “Il ragionamento portato avanti in Europa è chiaro – continua lo storico –: qui certe cose (guerre e conflitti ndr) non succedono. Quando poi pezzi d'Europa non rientrano più all'interno di questa narrazione (pensiamo per esempio alla guerra in Jugoslavia e oggi al conflitto in Ucraina), allora si ricorre ad un costrutto retorico che vedrebbe la violenza 'alle porte', o 'ai confini' dell'Europa, che non riguarda insomma il 'vero' Vecchio Continente, i cui confini cambiano situazione per situazione in base alle necessità”.
Secondo questa stessa narrazione, dice Filippi: “Non sarebbe 'Europa' quella colpita dalle bombe nei Balcani, né quella che tratta con Erdogan e le milizie libiche per la gestione dell'emergenza migratoria”. E proprio parlando di accoglienza, continua lo storico, in questa fase si sono sì aperte le porte ai rifugiati ma “non a caso solo a quelli che sentiamo più simili a noi”. Un pensiero che negli scorsi giorni si è manifestato anche nelle parole di alcuni esponenti politici, tra i quali l'europarlamentare della Lega Susanna Ceccardi, che si è detta addirittura preoccupata della possibilità che la guerra in Ucraina possa diventare l'occasione per gli immigrati africani di entrare in Europa impunemente (Qui Articolo). “Nel 2015 per esempio – dice lo storico – c'è stata una presa di posizione da parte di una leader come Angela Merkel, che ha deciso di aprire le porte del Paese ai rifugiati siriani, pagandone però uno scotto politico: in sostanza l'elettorato ha punito i leader che hanno interpretato i valori sbandierati dalla popolazione stessa in maniera troppo ampia”.
La speranza al momento è che il sistema d'accoglienza (“ma anche il sistema dei valori”) sia in grado di reggere 'l'urto' dell'arrivo dei profughi ucraini (negli scorsi giorni si parlava di un totale di oltre 1,5 milioni di persone, destinato però ad aumentare), che in base all'evoluzione della situazione potrebbe prolungarsi nel tempo. “Sarà una grande prova per tutta l'Europa – spiega lo storico – per verificare se la popolazione è in grado di accogliere veramente quei valori sui quali il 'racconto' europeo citato in precedenza è stato predicato nel tempo. In Italia per esempio, con l'arrivo dei primi cittadini albanesi nel nostro Paese, la solidarietà e lo slancio d'ospitalità iniziale sono stati grandi ma nel tempo la visione è cambiata e si sono create delle frizioni sulle quali hanno poi speculato alcuni partiti politici che (non si sa bene a che titolo) si sono intestati la 'difesa dei valori di tutti'. Tutta l'Europa però ha sofferto questo drammatico iato tra la volontà di sembrare solidali e accoglienti e l'effettiva capacità di esserlo”.
Nel corso del suo lungo periodo di pace insomma, dice Filippi, il Vecchio Continente ha comunque continuato ad “esportare la propria violenza interna, spargendola nel mondo: pensiamo all'intervento militare francese nel Sahel portato avanti anche per assicurarsi le forniture di uranio presenti nell'area, ai rapporti avuti nel corso degli anni con la Libia (dopo l'occupazione) per il petrolio, ai rapporti avuti con personaggi come Gheddafi: che risvolti ci sono stati per le popolazioni che hanno vissuto questo tipo di politica estera? In Europa si è deciso di isolare i propri valori all'interno dei propri confini, esportando il resto”. La lettura di sottofondo di tutte queste dinamiche, spiega lo storico, si ottiene guardando al modo in cui l'Unione Europea ha gestito l'emergenza migranti: “Sono stati sovvenzionati personaggi che non corrispondono in nessun modo all'ideale occidentale di leader, da Erdogan fino alle milizie libiche, per tenere lontano dagli occhi e dalle telecamere occidentali il dramma che si stava consumando”.
Un altro punto d'attrito che è destinato ad avere importanti risvolti in futuro, conclude poi Filippi, è quello della contrapposizione generazionale che si è venuta a creare nel Vecchio Continente: “Come detto, il grande benessere che ha visto l'Europa nel corso di un cinquantennio è stato vissuto da circa 3 generazioni: queste sono le stesse persone che hanno in sostanza vissuto in un mondo disegnato intorno a loro. Dopo la guerra in Italia le scuole sono state costruite fino agli anni '70, quando c'è stato bisogno di un welfare più solido negli anni '80 si è portato avanti un programma di riforme che ha fatto esplodere il debito pubblico: tutt'oggi uno dei temi più discussi e più importanti di questo Paese è quello relativo alle pensioni, piuttosto che alla costruzioni di posti di lavoro per i più giovani. Oggi, in particolare di fronte al dramma che sta avendo luogo in Ucraina e che ha riportato il terrore della guerra in Europa, è normale che tra queste generazioni in molti pensino che il mondo stia peggiorando sensibilmente, anche se non capiscono che in massima misura questo è il mondo che loro stessi hanno costruito o, peggio, che non sono riusciti a cambiare. Tutti i nodi verranno al pettine alla fine, ma le conseguenze (in primis quelle che deriveranno dalla crisi climatica) si scaricheranno sulle generazioni future”.